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Spreco alimentare domestico: ogni anno buttiamo mezzo punto di Pil nell’immondizia

Il fenomeno dello spreco alimentare domestico, analizzato dal rapporto Waste Watcher condotto da Last Minute Market e Swg, è stato ridimensionato con la crisi ma è ancora troppo diffuso: ogni settimana la famiglia media italiana butta 213 grammi di cibo, pari a 7,06 euro – Gli italiani iniziano però a prenderne coscienza: il 90% lo definisce molto grave.

Spreco alimentare domestico: ogni anno buttiamo mezzo punto di Pil nell’immondizia

Quante volte ci siamo sentiti dire, da bambini, “non lasciare nulla nel piatto che è peccato”? Oppure, in età adulta, abbiamo fatto attenzione alla scadenza dei prodotti alimentari acquistati, provando rammarico nel doverli talvolta cestinare prima di averli consumati? Con la crisi, quest’ultimo fenomeno si è tuttavia notevolmente ridotto, o comunque è cresciuta la consapevolezza dello “spreco alimentare domestico”, considerato adesso dal 90% degli italiani “molto o abbastanza grave”.

A rilevarlo è il rapporto Waste Watcher, condotto da Last Minute Market e Swg, che però dimostra quanto il fenomeno dello spreco presenti a tutt’oggi dei numeri alquanto drammatici: ogni anno infatti “gettiamo” poco più di 7 euro settimanali a famiglia, ovvero 213 grammi di cibo. Cifra – e quantità – che appaiono relativamente insignificanti, ma che moltiplicate per tutte le famiglie italiane dà un totale pari alla bellezza di 8,7 miliardi di euro all’anno: mezzo punto di Pil letteralmente buttato nell’immondizia.

Per quanto dunque dalla ricerca emerga che il 78% degli italiani è preoccupato da questo problema e che ben il 72% dei cittadini ritiene che lo sviluppo economico debba assolutamente passare dalla tutela dell’ambiente (nel 2007 erano solo il 57%), siamo ancora un popolo figlio del consumismo e propenso allo scarso rispetto del cibo e della natura, alimentando quello che Waste Watcher definisce il “circolo velenoso” che gravita fra il frigorifero e la pattumiera di casa. Nonostante il fatto che oltre la metà di noi (55%) dichiari di riutilizzare gli avanzi o il cibo non più buono e che quasi 9 cittadini su 10 vorrebbero ricevere maggiore informazione sulle conseguenze dello spreco e sui sistemi utili a ridurlo.

Gettiamo infatti dai 4,81 euro (nei casi più consapevoli) ai 13 euro a settimana per famiglia in alimenti non consumati, con particolare predilezione proprio per quelli più sani: frutta nel 51,2% dei casi, verdura nel 41,2% e persino nel 27,8% il pane fresco, che basterebbe tutto sommato congelare. La mappa dello spreco evidenzia poi significative differenze tra le diverse Regioni: mentre infatti in Campania solo il 47% non getta via cibo quasi mai, in Liguria (68%) Sardegna (66%) e Lombardia (62%) tali percentuali risultano superiori al valore medio complessivo, indicando una tendenza a gettare via cibo inferiore alle altre Regioni.

Ma quali sono le cause dell’odioso fenomeno e l’identikit dello sprecone domestico? Il rapporto ha prodotto una segmentazione di 9 spreco-tipi italiani, individuati secondo motivazioni che gli intervistati hanno indicato come cause primarie nella pratica del “buttare via del cibo”. Fra queste cause primeggia la motivazione per cui il cibo “aveva fatto la muffa” (38,94%) o “era scaduto” (32,31%), o “era andato a male fuori dal frigo nel caso di frutta e verdura” (26,69%), o ancora perché “l’odore o il sapore non sembravano buoni” (25,58%). In misura sensibilmente inferiore sono state indicate cause come “l’aver cucinato troppo cibo” (13,29%), l’”aver calcolato male gli acquisti” (13,15%), o addirittura motivazioni più “capricciose” come l’aver acquistato “cose che non piacevano” (6,61%).

A questi spreco-tipi si collegano 9 diversi identikit, di cui cinque si collocano al di sopra della media dei 7,06 euro di costo-spreco settimanale per famiglia: il “fanatico del cotto e mangiato”, il “cuoco esagerato”, “l’illuso del packaging”, “lo sperimentatore deluso” e “l’accumulatore ossessionato”. Nella fascia di coloro che dichiarano di sprecare molto, rispetto allo stile di vita troviamo una maggiore incidenza degli indicatori di un elevato stato di benessere: si tratta di coloro che vanno ai concerti, al cinema, a teatro e in palestra, sono sempre connessi ad internet e vanno in ferie almeno tre settimane all’anno.

La fascia “sprecona” è dunque composta con maggiore incidenza da maschi, cittadini di situazione economica medio-alta, giovani, studenti, con intolleranze al glutine o allergie, occupati professionalmente, del Sud, con titolo di studio elevato e residenti in un grande Comune. Viceversa per la fascia bassa della distribuzione della quantità sprecata di cibo, in cui troviamo soprattutto anziani, femmine, intervistati con coniuge in pensione, del Nord Est, in pensione, casalinghe, senza figli, con bassa scolarità. Gli intervistati di questa fascia non praticano sport, non vanno al cinema e a teatro, si connettono poco frequentemente ad internet, ascoltano poco la radio, vanno a messa tutte le domeniche , non leggono mai i quotidiani e fanno poche ferie. In poche parole: lo spreco, del quale gli italiani iniziano seriamente a prendere coscienza, è figlio della mentalità consumistica.

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