Condividi

Sono dieci i ristoranti cool al mondo per Forbes e uno è a Ischia

Grande riconoscimento per lo Chef ischitano Nino Di Costanzo, due stelle Michelin e Ambasciatore Relais Chateaux del mondo. Per il magazine statunitense nel ristorante Dani’ Maison “L’arte è ovunque”

Sono dieci i ristoranti cool al mondo per Forbes e uno è a Ischia

Un atto di fiducia nel ritorno alla normalità. Forbes, la prestigiosa rivista americana che fa tendenza nel mondo, in tempi di pandemia guarda oltre e compila un elenco di 10 ristoranti cool al mondo dove andare a vivere sensazioni uniche quando tutto tornerà alla normalità. E fra questi 10 tempi della ristorazione uno è in Italia, è il Danì Maison di Nino Di Costanzo, due stelle Michelin e  Grand Chef ed Ambasciatore Relais Chateaux ricavato nella sua vecchia casa di famiglia a Ischia trasformata in un giardino delle meraviglie. (First&Food ne ha parlato in Storie di Chef nell’aprile derllo scorso anno)

“In una delle isole della Dolce vita nel Mediterraneo – scrive Forbes – circondato da un giardino fiabesco, lo chef Nino di Costanzo seduce i suoi ospiti con la sua visione innovativa del meglio degli ingredienti e delle proposte campane, elevandoli alla più raffinata arte culinaria. L’arte è ovunque da Danì Mason – racconta, in particolare, Invernizzi – dai piatti unici ai quadri di arte contemporanea sulle pareti, dall’estetica dei dessert allo scrigno di oggetti che impreziosiscono il giardino”.-

Un attestato prestigioso che pone lo Chef napoletano accanto ai grandi della terra. Gli altri ristoranti cool suggeriti dal magazine statunitense sono Atomix ristorante coreano a New York; Boragó di Rodolfo Guzman, sesto posto nella World’s 50 Best dedicata all’America Latinan (First&Food ne ha parlato in Storie di Chef nel febbraio di quest’anno); Higashiyama Wakon a Kanazawa, in Giappone; KOKS nelle Isole Faroe; Noor a Córdoba (Spagna) guidato a Paco Morales; Rote Wand Chef’s Table (Austria) dello chef Max Natmessnig, formatosi alla scuola del tristellato César Ramirez; Table a Parigi, di Bruno Verjus; Ynyshir Restaurant and Rooms in Galles dello chef Gareth Ward; il Sorn di Bangkok, in Thailandia di Khun Ice e chef Yod.

Nino Di Costanzo
Nino Di Costanzo

Bisogna risalire a tre anni fa per trovare il nome di un ristorante italiano nell’ambita lista stilata dai redattori del magazine. Risale infatti al 2017 la citazione di Bros’ a Lecce guidato da Floriano Pellegrino e Isabella Potì. E prima ancora nel 2016 a Le Calandre, 3 Stelle Michelin di Massimiliano Alajmo, il più giovane tristellato d’Europa all’età di 27 anni, che entrò per primo nella prestigiosa lista Forbes.

Nel panorama dell’alta cucina italiana Nino Di Costanzo occupa una posizione di assoluto rilievo. Per lo Chef ischitano la scelta della materia, la cura dei dettagli e i sapienti abbinamenti devono essere capaci di esaltare ogni singolo ingrediente che, “pur nella complessità della proposta, deve essere individuabile e riconoscibile, anche dai palati meno educati. Ricerca tecnica ed innovazione sulla tradizione sono il suo leit mortiv.  La tradizione – precisa – non deve essere considerata un elemento statico, ma qualcosa di dinamico, che si evolve nel tempo ed io sono alla continua ricerca di questo mutamento nella tradizione pur rispettando pienamente i sapori, gli odori, le consistenze “di una volta”.

I suoi sapori giungono al tavolo immersi in macchine e marchingegni fantastici, concepiti come elementi di un gioco di rimandi, come avviene per il suo “Gran cru… do di mare”, presentato su pesantissimi (oltre 20 kg) e variopinti cubi in vetro di Murano, studiati e disegnati personalmente da Di Costanzo che ha fatto realizzare anche un vassoio di carbonio per poterli presentare a tavola, una scenografia a dir poco sorprendente per servire, composti come un mosaico, su un tappeto di legumi e zenzero tagliati a julienne e poi a cubetti Gamberi bianchi e rossi, Scampi, Sfere di mazzancolle alla puttanesca, Carpaccio di palamita, Seppie, arancia e ravanelli inframmezzati a mela verde, yogurt e lime, mandarino, cremoso di bufala, e fresella. Anche i piatti più semplici della tradizione povera napoletana entrano in questo circo fanstatico come “Le Paste… le patate”,   un vortice di 25 formati di pasta trattati con 7 tecniche di cottura, 5 qualità di patate diverse (per colore, forma e consistenza) il tutto posizionato strategicamente in un piatto enorme da mangiare in due, perché diventi un complice gioco di recupero di sapori del passato, che ognuno può ricreare a suo piacimento.

O come avviene con il dessert Napul’è, 10 dolci iconici della napoletanità che arrivano in un teatrino di testimonianze rappresentative della sua realtà nel tempo: Totò, le figurine dei calciatori, le cartoline del golfo con Vesuvio e il rimpianto Pino marittimo delle Gouaches del Gran Tour, la cuccuma del caffè che Il grande Edoardo in “Questi fantasmi” rese immortale in una delle sue grandi interpretazioni affacciato ad un balcone della Napoli dei quartieri  bassi.

Insomma chi entra nel giardino che preannuncia il suo ristorante si sente nella stessa condizione di un’Alice che alla ricerca del coniglio cade in una tana che la immette nel paese delle meraviglie dove tutto assume un valore di gioco e di realtà fantastica,

Commenta