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Smart working nella Pa: cosa cambia dal 15 ottobre e dal 1° gennaio 2022

Lo smart working per i lavoratori della Pa potrebbe avere i giorni contanti – In gestazione un provvedimento che regolerà tempi e modalità per il ritorno in ufficio, ma anche per il lavoro da remoto – Accordo quadro in vista anche per le aziende private

Smart working nella Pa: cosa cambia dal 15 ottobre e dal 1° gennaio 2022

Per la Pubblica Amministrazione potrebbe presto terminare l’era dello smart working. Il ministro competente, Renato Brunetta, lo ha più volte anticipato: la PA deve ritornare in ufficio. Dopo l’ok al decreto che estende l’obbligo di green pass a tutti i lavoratori pubblici e privati, il Governo è dunque al lavoro su un provvedimento che definirà i tempi e le modalità del rientro per i dipendenti pubblici.

SMART WORKING: COME FUNZIONA OGGI

Allo scopo di favorire il distanziamento sociale e contenere la diffusione dei contagi da Covid-19, il Governo ha varato lo smart working semplificato che consente ad aziende e amministrazioni di far lavorare i dipendenti da remoto senza il bisogno di firmare alcun accordo. Questa possibilità rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2021, giorno in cui è stata fissata la scadenza dello Stato d’Emergenza. 

Per la Pa, caduta ad aprile 2021 la soglia del 50%, è previsto un unico limite. Le amministrazioni devono garantire che i servizi rivolti a cittadini e imprese non vengano pregiudicati dal lavoro agile, ad oggi utilizzato in oltre il 50% degli uffici. 

SMART WORKING: COSA CAMBIA DAL 15 OTTOBRE

Come detto, il 15 ottobre entrerà in vigore l’obbligo di green pass per i dipendenti pubblici. Il ministro della Pa, Renato Brunetta, ha già anticipato l’arrivo di un decreto che consentirà a tutti i lavoratori della pubblica amministrazione di tornare in ufficio. Il rientro, secondo il Corriere della Sera, sarà graduale: i primi a tornare saranno gli addetti agli sportelli, seguiti dai lavoratori del back office, sia nelle amministrazioni centrali che in quelle periferiche.

LE NOVITÀ DAL PRIMO GENNAIO 

Dopo la fine dello stato d’emergenza gli uffici pubblici dovranno decidere quali attività potranno essere svolte da remoto. La soglia massima sarà pari al 15%. A prevederlo sarà il nuovo contratto per il lavoro da remoto che l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) discuterà con i sindacati nei prossimi giorni. 

La bozza del contratto esclude dalla possibilità di lavorare da casa i lavori in turno, ma anche quelli che richiedono l’utilizzo di strumenti “non remotizzabili”. Bisognerà inoltre firmare accordi individuali in cui saranno indicati orari, giorni di lavoro da remoto e giorni in ufficio. Il contratto prevede inoltre 3 fasce di lavoro da remoto: operatività, contattabilità, inoperabilità. “Durante quest’ultima fascia il lavoratore non è tenuto a leggere mail, rispondere a telefonate e messaggi, a collegarsi al sistema. È facilitato l’accesso allo smart working a genitori con figli minori di 3 anni o disabili e ai dipendenti con disabilità”, spiega il Corriere della Sera.

E I LAVORATORI PRIVATI?

Come riportato dall’Ansa, sui lavoratori privati si è espresso il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sottolineando la necessità di un “accordo quadro nazionale sul lavoro da remoto. Per questo convocherò le parti sociali per riaprire il discorso, perché la contrattazione individuale non può rispondere a fenomeni che si sono sviluppati in questi mesi. Va tenuto conto del tema del diritto alla disconnessione, perché sta sfumando la differenza tra tempo di riposo e di lavoro”. Il ministro ha poi aggiunto che è pronto ad avviare un processo legislativo per regolare questi rapporti lavorativi se non si raggiungerà un accordo tra le parti sociali”.

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