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Sindacati e lavoro: serve una nuova legge sulla rappresentanza

Il comportamento della Cgil sul caso Alitalia riporta all’attenzione la necessità di una nuova legge che permetta di dare certezza agli accordi stipulati o approvati dal 51% dei rappresentanti dei lavoratori o validati da una maggioranza referendaria e che impedisca alle minoranze dissenzienti il ricorso a iniziative ostative e ostruzionistiche.

Sindacati e lavoro: serve una nuova legge sulla rappresentanza

La tanto auspicata ripresa non è ancora chiara, non lo sono i suoi fondamenti e la sua sostenibilità. Non si sono ancora viste, o capite, le manovre con cui attuarla: l’Italia è l’unico paese dell’Eurozona che non vede crescere la sua economia. Il nostro sistema produttivo non attrae più – salvo sporadici casi – gli investimenti, tanto italiani che stranieri, come in altri Paesi sta avvenendo da tempo : in questi anni i flussi degli investimenti sono aumentati in Gran Bretagna di oltre 6 punti ed in Germania di 9, mentre in Italia sono diminuiti di quasi il 23%.

Anche la nostra spesa pubblica per investimenti è crollata, ma non quella corrente, vera variabile indipendente, che ha continuato a crescere. Siamo il Paese in cui le infrastrutture sono carenti, la burocrazia è la più contorta, la giustizia è lenta ed aleatoria, le tasse sono le più alte, il costo dell’energia è il più caro, per non parlare della corruzione e della evasione fiscale. Siamo anche il Paese delle caste : quella dei politici e dei partiti, ma anche dei magistrati, degli alti burocrati, delle “gilde” professionali e, last but not least, dei sindacati più o meno massimalisti o corporativi.

Tutte forze che remano contro : contro la modernità, contro il futuro, contro gli interessi collettivi, per garantirsi anacronistici privilegi o inaccettabili veti delle minoranze. I nodi da sciogliere sulla via della crescita sono dunque ancora molti, ma uno è possibile affrontare e risolvere in tempi rapidi : quello della rappresentanza dei lavoratori. Prendiamo ad esempio gli episodi sindacali avvenuti nelle scorse settimane che hanno avuto risonanza internazionale perché hanno interessato due settori strategici della nostra possibile crescita : il turismo culturale e la produzione di alta gamma.

La politica sindacale non può avallare quello che è successo a Pompei, quando un’assemblea di lavoratori ha sospeso per ore l’ accesso di migliaia di turisti, per la maggior parte stranieri, al Parco archeologico. E la politica sindacale non può certo giustificare lo sciopero, peraltro con scarsa adesione tra i lavoratori, indetto dalla Fiom-Cgil contro l’ aumento delle turnazioni di lavoro per far fronte alle crescenti richieste di mercato alla Maserati di Grugliasco, una fabbrica risorta dalle ceneri della ex-Bertone e trasformata nella “boutique del lusso” dell’ automotive con il più grande investimento nella manifattura degli ultimi dieci anni in Italia. 

Lo sciopero, dichiarato dagli stessi rappresentanti sindacali della Fiom che avevano precedentemente firmato l’ accordo che istituiva le turnazioni ora contestate, non solo avrebbe comportato la violazione dei patti sottoscritti, ma avrebbe messo a rischio anche cinquecento nuovi posti di lavoro, conseguenti al maggiore utilizzo degli impianti, se non fossero intervenuti gli altri sindacati a farsi garanti degli accordi sottoscritti.

Questi episodi sono il segnale del permanere di una cultura della tirannia della minoranza, mascherata come espressione democratica del dissenso, ma che in realtà muove da interessi e obiettivi diversi che non riguardano certamente la tutela dei lavoratori e il bene collettivo. Una cultura delle solite vecchie filastrocche populiste, approssimative e inaffidabili, giocate sulla pelle delle persone da tutelare, che non trova più ascolto nelle stanze ministeriali ed è sempre meno ausiliata, rispetto solo ad un anno fa, da quella parte, una volta compiacente, dei mass media della carta stampata e della televisione. 

La complessa vicenda della gestione degli esuberi Alitalia è il caso di questi giorni. L’ accordo sindacale firmato dalla maggioranza dei sindacati ma non dalla Cgil, che si è presa una pausa di riflessione, pone per l’ennesima volta la questione della validità degli accordi sindacali separati, ovvero non firmati dalla organizzazione che si considera il sindacato per eccellenza, anche se in molte realtà è minoritaria.

Infatti, pur se il ministro Lupi ha dichiarato che l’accordo è pienamente valido perché sottoscritto da sindacati che rappresentano oltre il 70% dei lavoratori (e non potrebbe essere che così), l’eventuale mancata firma della Cgil, al termine della pausa di riflessione, comporterebbe per Alitalia un elevato rischio di contenzioso giudiziario da parte di quei lavoratori che si riconoscessero nella Cgil e fossero interessati dai provvedimenti, previsti dall’ accordo sindacale, di ricollocazione e mobilità (un eufemismo del nostro diritto del lavoro in sostituzione del termine “licenziamenti collettivi”).

Una pratica, quella del ricorso alla magistratura, che ha caratterizzato negli ultimi anni l’attività sindacale principale di alcune categorie della Cgil, in primis quella della Fiom, arrivando sino alla Corte Costituzionale. La comparsa, da qualche tempo, di accordi sindacali di rilevante impatto (contratti nazionali di lavoro, premi di produttività, rilanci produttivi) firmati da tutti i sindacati e non dalla Cgil (o da una sua categoria) pone quindi come ineludibile, per garantire la governabilità delle aziende e del sistema produttivo nel suo complesso, la necessità di introdurre meccanismi atti a garantire l’efficacia degli accordi nei confronti di tutta la comunità aziendale, in assenza dei quali si rischiano inaccettabili diversità di trattamenti tra i lavoratori iscritti a sindacati diversi o non iscritti. 

I protocolli interconfederali sulla rappresentatività da soli non bastano a garantire il rispetto e l’esigibilità degli accordi, atteso che una parte del mondo sindacale contesta ancora quei protocolli e un’altra parte non li ha sottoscritti. Occorre un intervento legislativo che permetta di dare certezza agli accordi stipulati o approvati dal 51% dei rappresentanti dei lavoratori o validati da una maggioranza referendaria e che dia piena responsabilità, mediante l’ apposizione di apposite clausole, ai sindacati maggioritari, impedendo alle minoranze dissenzienti il ricorso ad iniziative ostative e ostruzionistiche.

Una legge che permetta infine di applicare anche le opportune sanzioni a chi metta in atto eventuali comportamenti in violazione delle intese raggiunte, siano essi gruppi o singoli lavoratori. La norma dovrebbe infatti garantire la governabilità delle imprese con la regolamentazione del diritto di sciopero, come avviene nei Paesi di grande tradizione sindacale come la Germania e l’Inghilterra o nei Paesi in rapido sviluppo industriale come la Polonia, dove prima di giungere allo sciopero (di azienda, stabilimento, reparto) bisogna attivare procedure di consultazione e approvazione da parte della maggioranza dei lavoratori.

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