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Silvia Ronchey: “Notre-Dame va ricostruita com’era: il passato non si cancella”

INTERVISTA A SILVIA RONCHEY, ordinaria di Civiltà bizantina all’Università Roma Tre: “Ricostruire Notre Dame com’era è un atto d’amore verso il passato, senza il quale non c’è futuro. Perfino il successo della serie televisiva Trono di spade conferma che nel pubblico c’è bisogno di passato”

Silvia Ronchey: “Notre-Dame va ricostruita com’era: il passato non si cancella”

“La cattedrale di Notre-Dame va ricostruita così come era: va compiuto un atto d’amore verso il passato, quel passato che abbiamo in parte perso nell’incendio e senza il quale non c’è futuro”.  Silvia Ronchey, intellettuale di spicco e professore ordinario di Civiltà bizantina all’Università di RomaTre, conosce bene la cattedrale parigina, in parte distrutta dalle fiamme lo scorso 15 aprile. Il suo ultimo libro, uscito l’anno scorso da Rizzoli, si intitola proprio “La cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto”. “La sacralità di una cattedrale – spiega la Ronchey nell’intervista concessa a FIRSTonline – non è solo religiosa ma riguarda la nostra interiorità individuale e la nostra identità collettiva. Notre-Dame attraverso la sua infinita ragnatela di simboli testimonia la complessità del passato: un passato universale, che appartiene a tutti, senza distinzioni di nazionalità o di fede. Ecco perché il suo incendio ha commosso il mondo intero”. 

Professoressa, perché la cattedrale parigina è così universale?

“Perché è un simbolo, a sua volta composto da una molteplicità di simboli ancestrali, che ci toccano nell’inconscio, che appartengono a una moltitudine di confessioni e di culture e che anche per questo rendono questa cattedrale, come e più di altre, densa di significati spesso indecifrati, ma attivi dentro di noi. In pochi sanno, ad esempio, che lo stile delle cattedrali gotiche deriva dall’architettura dei turchi selgiuchidi, vista e importata dai crociati, e quindi che se è vero che sono simbolo della cristianità, è anche vero che hanno a che fare l’Islam, che anzi l’Islam selgiuchide ne è forse storicamente il punto di partenza. Gli studi hanno poi evidenziato nelle cattedrali la presenza di figurazioni e motivi iconografici provenienti dall’oriente indoiranico, ad esempio buddisti. Notre-Dame simboleggia la capacità umana di costruire mediante la ragione ma attraverso i simboli. Quella notte ci siamo resi conto che l’umanità costruttrice di cattedrali rischiava di trasformarsi in un’umanità distruttrice. Notre-Dame simboleggia in definitiva la complessità del passato di cui tutta l’umanità è tessuta, e il suo incendio ha commosso e toccato nel profondo anche chi non è religioso”. 

Per quale motivo?

“Perché il senso del passato ci riporta a una sacralità che non è religiosa in senso confessionale: a quel ‘sacro perduto’ di cui l’umanità è oggi collettivamente alla ricerca, per citare il titolo del mio libro. Inoltre, non bisogna sottovalutare il valore storico e politico di Notre Dame. La sua è una vicenda che abbraccia secoli di storia francese ed europea, ha a che fare con la Rivoluzione del 1789, ma ancora prima con la monarchia francese di diritto divino, che già nel XIII secolo rivendicando il ruolo dell’Impero Romano sancì l’affrancamento del monarca dal potere temporale della Chiesa: nel 1204, quando Costantinopoli fu conquistata e saccheggiata dai crociati, le più preziose reliquie custodite nella Cappella Palatina della Vergine del Faro vennero trasferite nella Sainte-Chappelle, voluta dal re di Francia, come vero e proprio clone di quella bizantina. Quelle reliquie erano emblema di un potere sacro che si trasferiva dal basileus di Bisanzio al re di Francia. E’ solo un esempio della densità di passato racchiusa in Notre-Dame”.

Un passato che rischiamo di perdere ma di cui invece abbiamo tanto bisogno.

“Esattamente. Abbiamo sperimentato, per fortuna in maniera parziale perché la cattedrale è ancora lì, che cosa può significare essere privati del passato: non in senso confessionale o nazionalistico, ma come identità collettiva. Senza il passato, non c’è la possibilità di costruire il futuro. Bisogna difenderlo e conoscerlo, non fosse altro che per non ripeterne gli errori: senza fare un passo indietro, non si fanno passi avanti. Troppo spesso neghiamo il nostro passato per vivere schiacciati nel presente. L’incendio di Notre-Dame è stata un’epifania simbolica di una realtà che ci allarma: parte della nostra storia è stata già amputata, la stiamo amputando non custodendone la conoscenza. Bisogna ripartire dalla scuola: le ore di storia sono state assurdamente ridotte e la materia è sparita dall’esame di Maturità. La grande sfida della cultura e della politica, oggi, è ricominciare a conoscere il passato: per questo ho afirmato e sostengo con convinzione l’appello per la difesa della storia e del suo insegnamento nelle scuole e nelle università, lanciato da Repubblica in occasione del 25 aprile”.

Se viviamo troppo schiacciati nel presente non è anche colpa di Internet?

“La tecnologia di per sé è neutra, e anzi può avere ed ha una grandissima importanza nella diffusione della cultura. Si pensi ad esempio alla digitalizzazione delle biblioteche di tutto il mondo: oggi chiunque, sul pianeta, può accedere all’umano sapere. Però è anche vero che l’utilizzo del web per fini commerciali, che è quello largamente preponderante, ci ruba una quantità sempre maggiore di tempo che regaliamo ai nuovi potentati del capitalismo tecnologico, che sfruttano i nostri dati per fare enormi profitti. Il meccanismo di fidelizzazione  incontrollata e selvaggia così innescato fa sì, cosa ancora più grave, che su molte piattaforme circolino notizie false, che non tutti hanno gli strumenti per distinguere da quelle vere. Il che, di nuovo, danneggia la verità storica e falsifica la discussione politica”.

In un recente articolo, Lei ha fatto un parallelo tra la vicenda di Notre-Dame e la fortunata serie televisiva Game of Thrones (in italiano Trono di Spade). Ci può spiegare meglio perché?

“Perché il successo di quella serie ci conferma che nel pubblico, nonostante tutto, c’è un grande bisogno di passato. Un passato di fantasia, ma dietro al quale c’è un rigoroso lavoro di ricostruzione, che utilizza dettagli e simboli assolutamente corretti anche se poi mescolati in una narrazione deliberatamente ibrida. Da storica posso dire che il Trono di Spade è fatto veramente bene, gli autori hanno studiato moltissimo, e se lo hanno fatto è perché hanno riscontrato che il pubblico chiedeva questo”. 

Notre-Dame c’è ancora, ma ora va ricostruita. Il presidente Macron ha annunciato un’operazione-lampo da 5 anni, ma il mondo culturale francese sta lanciando un appello per non affrettare le cose. E c’è anche polemica su come farlo: Lei preferirebbe la fedeltà al passato o esperimenti modernistici come quello già sperimentato con la Piramide del vicino Louvre?

“Proprio per il discorso che stiamo facendo, penso sia necessaria una dimostrazione di amore verso il passato. Io sono a favore di una ricostruzione fedele a quello che la cattedrale era: dobbiamo fermare il tempo al momento dell’incendio e far tornare tutto come prima. Alcuni fanno presente che la Notre-Dame distrutta dall’incendio era stata a sua volta frutto di varie ricostruzioni, e questo è vero. Infatti il dibattito casomai dovrebbe essere se ricostruirla come era subito prima del 15 aprile o addirittura come era in origine. Ma non si può tradire lo spirito dell’opera: inserimenti arbitrari snaturerebbero il simbolo, il suo valore di testimonianza. A me se devo dirla tutta la Piramide del Louvre non piace affatto”.

Il modello dovrebbe invece essere – con le dovute proporzioni – quello della ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia, ristrutturato esattamente come era dopo il rogo del 1996?

“Sì. La verità è che dietro a questi dibattiti ci sono spesso interessi politici, economici e propagandistici, come dimostra la stessa fretta del presidente francese nell’annunciare lavori a tempo di record. Invece concordo con i colleghi transalpini che hanno firmato l’appello: serviranno almeno 10-20 anni e sarebbe ora, visto che gli esperti ci sono, numerosissimi in tutto il mondo, che siano chiamati loro ad esprimersi sulla ricostruzione. Di Notre-Dame se ne occupino di più gli storici dell’arte e di meno la politica. E non dimentichiamoci che contano anche le persone: la gente che ha pianto davanti al rogo quel lunedì sera vuole rivedere quello che c’era prima, una cattedrale simbolo della storia di tutti noi”. 

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