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Sculture di Kengiro Azuma nella casa di Marino Marini

La mostra, che cade ad un anno dalla scomparsa dell’artista italo-nipponico (scomparso, novantenne, a Milano il 15 ottobre 2016), riunisce una selezione di sue opere, diverse per tipologia e natura, tra cui alcune di quelle più significative dell’artista.

In parallelo con la grande mostra “Marino Marini. Passioni visive”, allestita in Palazzo Fabroni, la Fondazione Marino Marini propone un omaggio a Kengiro Azuma, che di Marini fu allievo e amico.

La vicenda è nota: Kengiro Azuma, arriva a Milano dal Giappone nel 1956 iscrivendosi all’Accademia di Brera dove diviene prima allievo e poi assistente di Marino Marini. Il rapporto umano e artistico fra loro è continuato per tutta la vita, guardando l’uno alla ricerca artistica dell’altro pur mantenendo ciascuno la propria identità. Marino per Azuma è stato il più grande Maestro e proprio lo stesso Marino ha sempre spinto il suo bravo allievo a recuperare le origini orientali.

Quella di Azuma è una storia che assume la dimensione di romanzo. Nato nel 1926 a Yamagata in una famiglia di artigiani del bronzo, a 17 anni abbandona gli studi per arruolarsi e combattere nella Seconda Guerra Mondiale come pilota kamikaze dell’esercito giapponese.
Due giorni prima della sua missione “sacrificale” esplode su Hiroscima la prima bomba atomica.

Persa la guerra, caduto il mito del Dio-Imperatore segue un periodo di profonda sofferenza per il giovane Azuma che ha termine quando decide di avvicinarsi alle arti figurative per colmare il vuoto lasciato dalla perdita della fede nel suo Imperatore.
Dopo la laurea in scultura all’Università di Tokyo, con una borsa di studio giunge a Milano nel 1956, dove a Brera diventa prima allievo e poi assistente del suo più grande mito artistico, Marino Marini.
E’ in quest’ottica di legame umano, spirituale e artistico che la Fondazione Marino Marini dedica ad Azuma un’esposizione.

“Opere – sottolinea la curatrice ella mostra, Maria Teresa Tosi, direttore della Fondazione Marini – che con i loro pieni e vuoti esprimono quello che veramente c’è di importante nella vita “cioè l’anima, l’amicizia, la vera solidarietà, il modo di convivere”.

L’idea di Azuma – continua il Direttore Tosi – è quella di rappresentare la parte invisibile dell’uomo, che però non ha una forma ben definita. I sentimenti non hanno una forma precisa, sono cose astratte. “Ho abbandonato la rappresentazione dell’uomo, dedicandomi a quella dell’anima”, egli infatti ebbe a dire”

A proposito delle sue celebri gocce d’acqua, scolpite in bronzo, presenti anche in questa mostra e forme a lui riconducibile più di qualsiasi altra, Azuma, in una intervista, affermò: “Ho realizzato molte gocce d’acqua di bronzo perché la goccia d’acqua non si può mai vedere perfettamente. Appena la goccia si stacca dalla grondaia, assume una forma perfetta che però non riusciamo a cogliere con i nostri occhi. Io credo che la nostra vita sia un po’così. Non saremo mai uomini perfetti come le gocce d’acqua, neanche studiando profondamente. Nella goccia di bronzo faccio poi dei buchi. Quello che rende un bicchiere tale non è il materiale con cui è costruito, ma il vuoto che viene riempito dalla bevanda che vi versiamo. Cerco quindi di esprimere utilizzando lo spazio vuoto ciò che è veramente importante, cioè l’anima, l’amicizia, la vera solidarietà, il modo di convivere. Con la mia sensibilità devo poi capire dove mettere i vuoti per comunicare ciò che intendo comunicare”.

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