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Sardine in banca: la caccia agli untori non basta a capire le crisi

La richiesta delle Sardine di un’informazione che “si avvicini alla verità” è sacrosanta soprattutto di fronte alle crisi bancarie: la mala gestio, dove c’è, va colpita severamente ma non si capisce nulla delle banche se non si tiene conto del contesto economico

Sardine in banca: la caccia agli untori non basta a capire le crisi

Tra i vari solleciti verso una politica “non populista” che eviti di confondere gli elettori con messaggi iper-semplificati, le Sardine richiamano il mondo dell’informazione affinché “protegga, difenda e si avvicini alla verità e traduca tutto questo sforzo in messaggi fedeli ai fatti” (punto n. 4 dei 6 punti programmatici delle Sardine). L’argomento ove questo richiamo è forse messo da anni a più dura prova in Italia è quello delle crisi bancarie. 

Ricostruendo sinteticamente l’accaduto, le crisi bancarie in Europa sono iniziate dopo lo scoppio della Crisi Finanziaria Globale (CFG), legata ai mutui subprime e alla finanza strutturata che, oltre dieci anni fa, portò al fallimento di Lehman Brothers, scuotendo a fondo la finanza globale. Di lì a poco, in vari Paesi europei fioccarono le crisi bancarie. Inizialmente, furono coinvolte le banche che si erano più esposte investendo nella finanza strutturata. Vari governi europei, tra cui in Germania, intervennero pesantemente per salvare molte delle proprie banche dal dissesto. E, per inciso, è proprio da lì che derivò l’impulso a introdurre in Europa la normativa sul bail-in, che cerca di evitare (o quantomeno ridurre) gli interventi statali nel salvataggio delle banche. 

In quella prima fase, le banche italiane rimasero ai margini della crisi perché avevano mantenuto un modello di business orientato all’intermediazione tradizionale – raccolta di depositi per fare credito – limitando assai gli investimenti finanziari. Però, siccome l’economia italiana subì una forte recessione nel 2009 (per la CFG), ne subì un’altra nel 2012 (per gli interventi di austerità del governo Monti) ed è rimasta in sostanziale stagnazione negli anni restanti, il buio è arrivato anche per le banche italiane con le crescenti difficoltà dei debitori a ripagare i prestiti ricevuti. Così, dal 2015 le crisi bancarie in Italia sono diventate ricorrenti.

Allora, pur trovando il modo di salvare il Monte dei Paschi, il governo lasciò che andassero in risoluzione (si dice così nell’epoca del bail-in) quattro banche regionali a novembre 2015, provocando non pochi mal di pancia presso clienti spesso ignari dei rischi che avevano assunto sui loro risparmi e ora se li ritrovavano decurtati. Altre crisi importanti si sono poi avute con le due popolari venete e con la cassa di risparmio di Genova. Nelle scorse settimane la Banca d’Italia ha, infine, deciso di porre in amministrazione straordinaria la banca popolare di Bari, la più grande banca a proprietà locale rimasta nel Mezzogiorno, dopo la stagione di crisi che, negli anni ’90, le banche meridionali le aveva eliminate o portate sotto proprietà esterna. 

Come ho lasciato trasparire nelle righe precedenti, penso che avere fallimenti bancari sia un evento doloroso ma quasi fisiologico quando un Paese subisce un grave arretramento del PIL, come successo in Italia (quasi -10%), senza trovare il modo di attivare una pronta e robusta ripresa. Se posso citare un’esperienza personale, nel 1998, nel gorgo della crisi asiatica, l’Indonesia subì un crollo del 15% del PIL e il 50% delle banche del Paese erano tecnicamente in dissesto. È evidente che, in questi casi i massicci fallimenti bancari non dipendono principalmente da cattive scelte aziendali, bensì dal contesto macroeconomico negativo. Diverso il caso di singoli fallimenti bancari quando il contesto è favorevole: allora sì è legittimo ricercare le responsabilità degli amministratori. 

Ebbene, tornando al richiamo delle sardine, le crisi bancarie sono rappresentate correttamente dal sistema dell’informazione in Italia? Generalmente no. Infatti, il tipico editoriale parte senza neanche fare riferimento al contesto macroeconomico e si concentra a ricercare le responsabilità nelle scelte sbagliate degli amministratori della banca. Naturalmente, va precisato che ove quelle responsabilità ci siano è giusto perseguirle. Però, se non si mettono le crisi all’interno del contesto macroeconomico sfavorevole, si rischia di fare un’informazione “populista”, alla ricerca dell’untore, gettando discredito potenzialmente sull’intero settore bancario, cosa ingiusta e molto dannosa. 

Il tono dell’informazione sulle crisi bancarie diverrà più veritiero, seguendo le indicazioni delle Sardine, con i lavori della nuova Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario? 

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