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Salvini e i conti pubblici: resa ingloriosa all’Europa

Dopo mille sceneggiate anti-Ue, il leader leghista s’è dovuto accucciare di fronte alla realtà e accettare le regole europee che hanno spinto il Governo a tagliare 7,5 miliardi

Salvini e i conti pubblici: resa ingloriosa all’Europa

Tanto rumore per nulla? Il governo vara l’assestamento di bilancio, taglia 7,5 miliardi e si presenta a Bruxelles con i conti a posto; la Commissione raccomanda all’Ecofin di archiviare la procedura d’infrazione; lo spread crolla, insieme ai tassi di interesse sui BTP; il deficit rientra nei limiti concordati con la Ue in occasione della legge di bilancio 2019. La guerra con le istituzioni europee non ci sarà, anche perché quelle nuove (abbiamo già visto e apprezzato gli accordi per le cariche più importanti) terranno una linea di sostanziale continuità con quelle che stanno terminando il loro mandato. La politica dell’Unione rimane la stessa perché – ce ne eravamo già accorti nel caso della Grecia – non ne esiste una diversa.

Il nostro Paese, messo alle strette, rientra nelle regole, come aveva già fatto nell’autunno del 2018 dopo le esibizioni festose e i brindisi dal balcone: Lo ha rifatto in queste ore dopo una serie di dichiarazioni avventate, oltraggiose ed arroganti da parte dei due condomini di maggioranza con una frequenza e un’ostinazione che, a cavallo delle elezioni europee, hanno visto invertirsi le parti in commedia con il Capitano Matteo Salvini divenuto principale protagonista della campagna anti-Ue. Tanto che Luigi Di Maio ha ritenuto opportuno congratularsi pubblicamente con Giuseppe Conte per come ha condotto il negoziato con Bruxelles.

Silenzio del Capitano tuttora intorcinato nella vicenda Sea Watch, alle prese con la GIP che gli ha dato torto. Tutti sappiamo che la Lega di Salvini ha quasi raddoppiato i voti in un anno (a scapito del suo alleato) e che i sondaggi la danno ancora in crescita. Quando il ministro di Polizia, indossata la divisa da ammiraglio, riesce a sventare un’invasione di migranti e fa la voce grossa contro una giovane “sbruffoncella” e qualche decina di profughi che non sono riusciti a sbarcare alla chetichella, il tasso di consenso si impenna, perché in Italia “pietà l’è morta”.

Ma sarei curioso di sapere cosa pensano di un conducator che parte lancia in resta contro il vincolo del 3% e considera non solo suo diritto, ma suo dovere superarlo; che – strada facendo – autorizza i suoi giannizzeri a propagandare i minibot (strizzando l’occhio ad un ripristino della sovranità monetaria); che annuncia vistosi ed irrinunciabili tagli alle imposte, attraverso l’introduzione della flat tax, senza porsi il problema della sterilizzazione dell’incremento dell’Iva come previsto dalla legge, a partire dal 1° gennaio dell’anno prossimo (ricordate? Dopo le elezioni europee nessuno, secondo Salvini, avrebbe preteso l’aumento dell’Iva, perché i sovranisti avrebbero espugnato la Ue). Poi, quando viene il momento di rimangiarsi tutto, il “difensore” della sacralità dei confini se la cava disertando la riunione del Consiglio dei ministri che stila l’atto di resa.

In queste settimane, i manutengoli del regime hanno dominato nei talk show televisivi esponendo al ludibrio popolare i “nemici” dell’Italia – a partire da Pierre Moscovici – che pretendevano il rispetto degli impegni da noi liberamente assunti (a cui alla fine il governo ha aderito). Si saranno accorti i suoi accoliti che il Capitano ha vinto una battaglia nel suo Paese, ma ha perso la guerra in Europa? L’aria che tira a Bruxelles e a Strasburgo è sempre la stessa, anche se è divenuta un po’ maleodorante per gli olezzi emanati dai sovran-populisti. E sarà ancora la stessa in autunno, quando il governo dovrà mettere nero su bianco il disegno di legge di bilancio 2020.

L’aspetto più patetico dell’ultima scaramuccia con la Ue è stata la sua inutilità. Giovanni Tria (con l’appoggio di Conte, che si sta rivelando una persona di buonsenso) aveva proposto la soluzione a cui si è arrivati prima ancora che cominciasse lo sferragliare delle sciabole. La minaccia della procedura non si sarebbe neppure ipotizzata; l’apertura è divenuta, invece, necessaria proprio per respingere le provocazioni provenienti dall’Italia a partire dalla quadriglia che il governo ha ballato intorno alla lettera del MEF.

Ma non c’è limite al peggio: l’assenza dei due vicepremier dal Consiglio dei ministri sull’assestamento di bilancio è stato un tentativo palese (ancorché assurdo) di delegittimare quella decisione e di tenersi le mani libere. Ormai, la nostra è una Repubblica teocratica, in mano ai due ayatollah custodi della rivoluzione, che pretendono di avere l’ultima parola.

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