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Salone del libro di Torino, appuntamento con De Chirico

Il volume inaugura la collana Novecento Sacro, ideata e promossa dalla Fondazione Crocevia, che vuole mostrare come i grandi maestri – nonostante nella manualistica il soggetto sacro sembri scomparire – abbiano continuato a indagare il rapporto tra Dio e l’uomo anche nella contemporaneità.

Salone del libro di Torino, appuntamento con De Chirico

Domenica 19 maggio, alle ore 14.30, presso il Salone del Libro di Torino, Spazio Sant’Anselmo, si terrà la presentazione del volume Giorgio de Chirico. Catalogo ragionato dell’opera sacra. 

Parteciperanno i curatori, Giovanni Gazzaneo ed Elena Pontiggia, affiancati da Paolo Picozza, presidente della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Andrea Dall’Asta, direttore del Centro culturale San Fedele di Milano, Fiorella Minervino, critica d’arte, e Davide Rondoni, poeta.

Il libro, con le introduzioni di Lorenzo Ornaghi e del cardinale Gianfranco Ravasi, contiene i saggi dei due curatori, di Paolo Picozza e Pierangelo Sequeri e la catalogazione, a cura di Salvatore Vacanti, di oltre centocinquanta opere, molte delle quali inedite o di rara pubblicazione e riunisce per la prima volta i lavori nell’ambito dell’arte sacra realizzati dal Pictor Optimus (Volos, 1888 – Roma, 1978), indagando così uno degli aspetti meno conosciuti della sua produzione.

Il volume inaugura la collana Novecento Sacro, ideata e promossa dalla Fondazione Crocevia, che vuole mostrare come i grandi maestri – nonostante nella manualistica il soggetto sacro sembri scomparire – abbiano continuato a indagare il rapporto tra Dio e l’uomo anche nella contemporaneità.

De Chirico, il padre della Metafisica, ha prodotto dalla fine degli anni Trenta e con frequenza più intensa negli anni Quaranta e Cinquanta opere di soggetto religioso che testimoniano come l’universo poetico e filosofico dell’artista sia andato profondamente rinnovandosi con una ricerca affascinante, dagli esiti complessi e problematici.

Le riflessioni offerte intendono mettere in luce come sia subentrata, in concomitanza con la seconda guerra mondiale, un’apertura verso il mistero divino che ha modificato la concezione esistenziale professata dal Maestro negli anni della Metafisica – quando riteneva che il mondo intero fosse il regno del “non senso” – e che si è tradotta sia in scritti teorici, sia in opere d’arte che sanno sorprendere, a partire dall’Apocalisse, le cui tavole sono realizzate nella seconda metà del 1940.

Scrive il cardinale Gianfranco Ravasi: “Ancor oggi sul cavalletto del suo studio è collocata la copia incompiuta del celebre Tondo Doni di Michelangelo custodito agli Uffizi. Già nel 1921 de Chirico, con grande rispetto, si era confrontato con questa Sacra Famiglia, “il quadro più difficile a interpretarsi e copiarsi”, come egli confessava. Giunto al crepuscolo della sua esistenza, il Pictor Optimus aveva compiuto questo estremo tentativo di venerazione per un soggetto religioso e per un artista così eccelso, e idealmente la sua mano si era fermata dopo aver colmato di colore solo il volto della Vergine Madre. Era questo il suggello simbolico a un lungo itinerario artistico che non aveva certo ignorato il sacro, inoltrandosi “oltre la metafisica”, lungo i sentieri d’altura dello spirito, tra i panorami delle grandi narrazioni bibliche”.

 “Nessuno – sottolinea Elena Pontiggia –, da almeno mezzo millennio, aveva disegnato un’Apocalisse così poco apocalittica come de Chirico. E nessuno, forse, ne aveva raffigurato gli eventi con tanta tranquilla serenità, venata in alcune parti da un candore addirittura fanciullesco. Il libro sacro più misterioso e terribile, tradizionalmente interpretato come profezia della fine del mondo (anche se in realtà è più una meditazione sulla dolorosa storia dell’uomo che sul suo destino escatologico e culmina con la luce sfolgorante della Nuova Gerusalemme e del trionfo dell’Agnello); diventano in de Chirico un racconto fiabesco, insieme spontaneo e colto, soffuso in certi punti di un evangelico spirito d’infanzia, in altri di solenni accenti classici”.

Il catalogo, grazie ai saggi e all’antologia di scritti del Maestro sull’arte sacra riportata in appendice – essenziale per la comprensione di un tema tanto trascurato dalla critica quanto rilevante invece per l’artista –, porta un contributo nuovo e fondamentale agli studi sull’opera del Pictor Optimus. Per Giovanni Gazzaneo: “De Chirico è stato tra i pochi artisti del Novecento ad aver colto il paradosso del Cristo che è insieme il “più bello fra i figli dell’uomo” (Salmo 45,3) e l’Ecce homo senza “bellezza né apparenza” (Isaia 53,2). Sono questi i due volti sempre presenti nell’arte cristiana, come ha in più occasioni sottolineato Benedetto XVI: il volto del dolore (che il secolo scorso ci ha proposto nel segno della croce) e il volto della gloria (che il Novecento ha saputo esprimere molto raramente), entrambi belli perché espressione dell’amore più grande, quello che dà la vita. La Salita al Calvario e l’Apocalisse sono espressioni di questo paradosso antico di duemila anni eppure sempre nuovo, a cui de Chirico ha saputo offrire forma e colore”.

Proponiamo un bel estratto dal saggio del volume “Giorgio de Chirico. Catalogo ragionato dell’opera sacra” (edito da Silvana) “
Analizzare i temi religiosi, e specificamente cristiani, nell’arte di de Chirico significa prima di tutto porsi un problema di metodo: quali sue opere, al di là di quanto suggerisce il titolo, vogliono realmente rappresentare un soggetto biblico o evangelico?

La questione non è così semplice come sembra. Il Pictor Optimus, infatti, inizia a dipingere soggetti pienamente ispirati alla tradizione cristiana alla fine degli anni Trenta e vi si dedica con qualche continuità negli anni Quaranta e Cinquanta, più episodicamente nei successivi. Anche qualche suo quadro precedente contiene nel titolo riferimenti alla Sacra Scrittura o alla pietas religiosa, ma si tratta di opere che racchiudono altri significati o nascono da altre motivazioni rispetto al soggetto esplicitamente dichiarato.

Facciamo un esempio, anzi facciamo l’esempio più evidente. Nel 1919 de Chirico dipinge Il figliol prodigo, un tema a cui aveva già dedicato un disegno nel 1917 e che in seguito riprenderà molte volte. Non ha in mente, però, di raffigurare la parabola narrata da Luca. O, meglio, attraverso una vaga allusione alla pagina evangelica vuole teorizzare soprattutto il ritorno al mestiere degli antichi, alle leggi dell’arte, all’esempio del passato. Il padre che riaccoglie il figlio nel suo abbraccio non è un’immagine di Dio come nella parabola, ma dei grandi maestri di ogni tempo e, più in generale, di quella che de Chirico chiama “la divina arte del disegno”, alle cui regole è indispensabile ritornare dopo le sperimentazioni e l’iconoclastia delle avanguardie. Non a caso nelle versioni del quadro dei primi anni Venti il padre ha una fisionomia classica, sia pure pietrificata, mentre il figlio assume le sembianze di un manichino.

Nel dipinto, poi, oltre ai significati programmatici che lo rendono quasi una dichiarazione di poetica, si possono cogliere rimandi diversi, ma sempre estranei al messaggio evangelico: rimandi autobiografici (i temi del viaggio, della partenza e della nostalgia del ritorno attraversano tutta la pittura dechirichiana, divenendo quasi una storia della sua vita, oltre che una metafora della vita senza aggettivi); filosofici (nella continua relazione fra corpo, manichino e statua, fra esistenza e materia inanimata, fra scorrere del tempo ed eternità); psicologici (nell’allusione al rapporto col padre).

Certo, in un’opera d’arte risuonano infiniti significati e, a rigore, non si può escludere un’interpretazione del Figliol prodigo più consona al dettato del titolo. Tuttavia, alla luce del percorso espressivo e degli scritti di de Chirico, sembra improprio collocare il dipinto, come a volte è stato fatto, nella sua produzione d’arte sacra. Qui, in ogni caso, si è preferito considerare solo quei quadri e quelle sculture dove il riferimento biblico-evangelico si traduce in una rappresentazione pertinente, non liberamente metaforica.

Raccogliendo il materiale di questo libro, tra l’altro, si sono espunte varie opere che, nel corso del tempo, erano state erroneamente ritenute di soggetto religioso. La cosiddetta Maddalena del 1952, ad esempio, è in realtà una Testa orientale, com’è intitolata nella monografia dell’artista di Isabella Far (1953), mentre gli Studi di mani con martello non si riferiscono a scene di crocifissione (de Chirico non ha mai dipinto inchiodamenti alla croce), ma sono disegni preparatori per L’officina di Vulcano del 1949. Si sono inoltre corretti certi titoli impropri, come nel caso del bozzetto Tobia e l’angelo, che rappresenta invece la lotta di Giacobbe con la creatura celeste (lo stesso de Chirico titola Giacobbe e l’angelo un disegno analogo, tav.0 

Una ricerca come questa sui soggetti religiosi del Pictor Optimus (o sulla sua arte sacra, come diremo per comodità, ma meno esattamente, perché per de Chirico ”l’arte è sempre sacra, anche quando tratta un soggetto profano. L’arte è sacra in sé”, Antologia, n.3)non ha, si intende, velleità di completezza, considerata anche la vastità dell’opera dechirichiana, e si propone semmai come una riflessione su una tematica poco approfondita della sua pittura. […]

I temi sacri: Nella Bibbia secondo de Chirico le opere ispirate alla nascita di Cristo vengono dopo quelle dedicate alla sua morte. La ragione non è teologica, ma storica. I primi lavori di arte sacra del Pictor Optimus si collocano […] negli anni di guerra, in tempi che suggerivano inevitabilmente immagini di dolore e di lutto. Solo dopo la fine del conflitto de Chirico (se si eccettua una episodica Madonna con bambino  che, con un’Immacolata e un Sanctus Antonius, esegue intorno al 1940 ) si volge ad altri soggetti e, tra le pagine evangeliche, sceglie quelle dell’Annunciazione, della Natività e di alcuni momenti della vita di Cristo, pur senza abbandonare il tema della Crocifissione.

Datata 1945-46 su una foto d’archivio, ma da posticipare verso il 1950 per le assonanze col fondale della Leggenda di Giuseppe del 1950-51, la Natività dei Musei Vaticani, tav. 0, è in realtà un’Adorazione dei pastori. Non a caso si riallaccia nella disposizione delle figure all’omonimo dipinto di Rubens a Fermo, anche se nel motivo degli angeli e dello squarcio di luce sulla destra guarda piuttosto a Tintoretto. Di Rubens e della sensibilità barocca, peraltro, de Chirico riprende l’intuizione principale: l’idea di una continua comunione fra cielo e terra, tra mondo naturale e soprannaturale. Il coro dorato dei cherubini si unisce al popolo opaco dei pastori, il Paradiso scende nella stalla, divino e umano si sovrappongono e si compenetrano.

Non sono molti, ma nemmeno molto rari i soggetti religiosi che de Chirico dipinge in questi anni. Ne troviamo una traccia nelle sue mostre e nelle sue monografie, dove ogni tanto ne compare qualcuno: nella personale del 1945 alla Galleria del Secolo a Roma espone La casta Susanna, identificabile con la copia da Rubens; nella grande personale che tiene a Londra nel 1949 presenta La Maddalena; nella monografia del 1953 firmata da Isabella Far pubblica La Maddalena ai piedi del Crocifisso, e Cristo lavoratore.

A volte il soggetto è d’occasione, come i due piccoli Gesù Bambino benedicente, , che l’artista regala alla moglie nel Natale 1950 e che si ispirano a Rubens e alle statue classiche di Ercole infante. A volte, invece, il tema gli viene suggerito dalla committenza, come il Cristo lavoratore, proposto nel 1950 da don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana di Assisi. Qui de Chirico si riallaccia, specialmente nelle figure a torso nudo, alla Fucina di Vulcano di Velàzquez, cui si era già ispirato nella quasi omonima Officina di Vulcano del 1949. Nel dipinto del maestro spagnolo, però, i veri protagonisti sono i forgiatori, mentre qui tutto ruota intorno a Cristo, che emerge monumentale al centro della composizione. La veste del Divino Lavoratore è povera, il suo atteggiamento dimesso, l’attività umile, eppure de Chirico, aumentando innaturalmente le proporzioni della figura, riesce a infonderle solennità e grandiosità. Mentre Vulcano è alto quanto i suoi fabbri e risulta ben poco sacrale, nonostante il serto di alloro che lo corona e la luce che irradia, Cristo manifesta tutta la sua divinità e, insieme, testimonia tutta la nobiltà del lavoro.

Altri soggetti, poi, nascono dalla suggestione di capolavori del passato, come Cristo e la tempesta, erroneamente noto anche come La pesca miracolosa, e il disegno Cristo cammina sulle acque. Si tratta delle uniche due opere dell’artista ispirate a un intervento miracoloso di Gesù. De Chirico non dipinge mai i miracoli: non ci sono nella sua pittura guarigioni, resurrezioni di morti, moltiplicazioni di pani e pesci, come non c’è la Trasfigurazione, la Transustanziazione e non c’è nemmeno la Resurrezione di Cristo. Perché allora tanto interesse per il dominio divino sugli elementi naturali? Più che da una ragione tematica, l’artista muove qui dalla reminiscenza del Miracolo di santa Valpurga di Rubens e del Cristo sul mare di Galilea di Tintoretto, dei quali il suo quadro e il disegno riprendono, rispettivamente, la sintassi compositiva.

Analogamente la convulsa Conversione di san Paolo (1946) dei Musei Vaticani, risolta con un groviglio obliquo di gesti, in uno scoppio di nitriti e grida, mentre l’apostolo è colto un po’ goffamente nell’istante stesso della caduta, deriva dall’interesse per la potente enfasi e la complessità compositiva di opere come l’omonima Conversione di San Paolo e Il martirio di san Livino di Rubens.

Un soggetto cui de Chirico rivolge una continua attenzione, infine, è l’angelo. Il fantasma dell’Angelo ebreo che lo aveva ossessionato nella pittura metafisica; la figura dell’angelo psicopompo che aleggia nelle pagine di Ebdòmero (“Ricevuta l’anima del defunto l’angiolo riprese il suo andare di molla ad angolo acuto lanciata nel vuoto e con l’anima del defunto risalì in cielo”) ritorna nelle sue opere d’arte sacra, sia dove i soggetti lo prevedono necessariamente (Annunciazione, Natività, Annunciazione dei pastori), sia dove potrebbero non prevederlo, come La Leggenda di Giuseppe.

GIORGIO DE CHIRICO –Catalogo ragionato dell’opera sacra (Silvana Editoriale) 

Crocevia – Fondazione Alfredo e Teresita Paglione
via A. Appiani, 1 – 20121 Milano
fondazionecrocevia@gmail.com

 



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