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Salari, la sorpresa del Giappone: da Honda e Toyota sono le aziende ad aumentarli, anticipando i sindacati

Dal Giappone arriva la novità di primavera nel mondo del lavoro: non sono i lavoratori a chiedere aumenti salariali ma i datori di lavoro a concederli in anticipo e la nuova Bank of Japan sta al gioco

Salari, la sorpresa del Giappone: da Honda e Toyota sono le aziende ad aumentarli, anticipando i sindacati

Sorpresa. I padroni aumentano gli stipendi. No, non ai super banchieri, bensì ai dipendenti. Sia alle tute blu che ai colletti bianchi. È la novità di primavera che arriva dal Giappone, nella stagione in cui fioriscono i ciliegi e si rinnovano i contratti, prima di presentare i bilanci agli azionisti. 

Da Uniqlo a Honda e Toyota: ecco chi ha aumentato gli stipendi

Ad inaugurare la tendenza, un mese fa, è stato il gigante del retail Uniqlo, presente a Milano in piazza Cordusio, che ha spiazzato la Borsa di Tokyo annunciando aumenti in busta paga fino al 40 per cento. Ha proseguito Honda con un più modesto 5 per cento. Non è ancora definito il rialzo in casa Toyota, ma Koji Sato, che salirà alla guida del colosso dell’auto il prossimo 1° aprile, ha già spiazzato i sindacati. Dopo aver ascoltato le richieste delle Unions ha replicato: “Vi risponderemo a breve. Ma posso dirvi che avevamo già intenzione di offrirvi di più. Toyota si impegna ad una redistribuzione più equa dei profitti”. Un pesce d’aprile? No, perché in settimana hanno annunciato robusti rialzi altre aziende leader del Sol Levante: Nintendo, Suntory ed il colosso delle polizze Nippon Life Insurance.

Stipendi più alti in Giappone? Ecco perché

Perché questa svolta? E perché proprio adesso? Da anni che il premier Kishida chiedeva alle aziende di allargare i cordoni della borsa per favorire la ripresa dei consumi interni. A fronte di una disoccupazione da prefisso telefonico (lo 0,4%) i lavoratori si sono accontentati negli anni della grande deflazione di aumenti minimi, quasi simbolici. Lo stipendio medio ammonta così a 40 mila dollari circa, ben al di sotto della media del G7 (51 mila dollari) davanti solo all’Italia ferma attorno ai 30 mila dollari. Ma le aziende finora avevano fatto orecchie da mercante. 

Che cosa è cambiato? La spiegazione è arrivata oggi. “È vero: la politica dei tassi ultra bassi danneggia le nostre banche. Ma è importante oggi sostenere l’economia con una politica accomodante per consentire alle aziende di aumentare i salari”. Non capita tutti i giorni di ascoltare parole del genere da un banchiere centrale. Ma è quanto, secondo quanto riferito da Reuters, ha sostenuto al Parlamento di Tokyo Ryozo Himino, in procinto di essere accolto nel board della Bank of Japan in qualità di vice del governatore Ueda che ad aprile prenderà il posto di Kuroda, il banchiere che ha inaugurato la politica dei tassi sotto zero poi adottata dall’America per uscire dalla crisi dei subprime e dalla Bce dell’era Draghi (compagno di scuola in Usa del neo governatore Ueda). 

I mercati scommettono sulla nuova Bank of Japan

Anche per questo i mercati scommettono che la nuova Bank of Japan cambierà presto rotta adeguandosi alla politica della Fed e della Bce. Ma prima, a giudicare dalle parole della nuova squadra della Bank of Japan, è necessario utilizzare i tassi bassi per far ripartire i salari. Assieme all’inflazione, praticamente assente per decenni, oggi risalita al 4,3%. La spinta all’aumento degli stipendi, dunque, è motivata dall’obiettivo di scacciare una volta per tutte il fantasma della deflazione risvegliando gli “animal spirits” dell’economia. 

In sostanza, ribaltando la politica tenuta dal Duemila in poi grazie anche alla concorrenza assicurata dai partner asiatici a basso costo (le fabbriche in Thailandia, Vietnam ed in Cina), i Big del Sol Levante hanno accolto la diagnosi del premier Kishida: solo una forte ripresa del mercato interno, è la convinzione di banca centrale e governo può spezzare il circolo vizioso di un sistema che poggia su tassi negativi, bassa natalità ed un mercato pubblico sostenuto da famiglie sempre più anziane a scapito della produttività del sistema. 

Tutti i primati del Giappone

Sarà la terapia giusta? Forse sì, se il messaggio verrà raccolto da milioni di piccole imprese che occupano il 70 per cento della manodopera. 

Toccherà a loro far fronte non solo all’aumento del costo del lavoro ma anche al successivo aumento dei tassi necessario per ridare elasticità ad un sistema estremamente rigido: il Giappone, oltre ad essere il Paese dal debito pubblico più alto del pianeta (sostenuto dal risparmio interno più alto) detiene altri primati. Dopo la pioggia pluridecennale di acquisti di titoli da parte della banca centrale, i due terzi del flottante  della Borsa di Tokyo sono ormai nelle mani della banca centrale mentre i fondi pensione operano sui mercati obbligazionari mondiali  La grande liquidità, lungi dall’alimentare la crescita, serve a finanziare i Big della grande finanza (specie Usa) che s’indebita in yen a basso costo per poi operare sulle piazze occidentali, a basso costo ed alti profitti, Con il carry trade basta una telefonata per indebitarsi in un J bond a dieci anni allo 0,5% per poi comprare un Btp al 4,50%.

Ora il gioco può cambiare. A partire dalla rivincita dei salari. I più bassi del mondo avanzato con l’eccezione dell’Italia che non può certo concedersi il lusso di una mossa del genere. A meno che non si affronti il tema del rilancio della produttività che in casa nostra soffre come l’inflazione a Tokyo. 

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