Condividi

Roubini: “Le elezioni Usa, il populismo e i mercati”

L’economista e guru che vide in anticipo la grande crisi del 2008, è stato ospite a Milano della Global Thinking Foundation. L’analisi sugli scenari possibili nel caso vinca Trump e l’impatto di una eventuale vittoria di Clinton tra spinte populiste e tentazioni protezionistiche. “La tensione politica resterà alta” e ciò potrà pesare su crescita e Borsa.

Roubini: “Le elezioni Usa, il populismo e i mercati”

Come si presenta l’America alla svolta del dopo Obama? “Comunque vada a finire sono cambiate molte cose, rispetto al quadro tradizionale. Ormai lo scontro non è tra repubblicani e democratici, ma tra populisti e non. Oppure, se preferite, tra vincitori e vinti nel quadro dell’economia globale”. Nouriel Roubini, il celebre “mister Doom” cui va il merito di aver visto in anticipo i rischi della crisi finanziari del 2008/09, ha fatto tappa a Milano, ospite della Global Thinking Foundation, fondazione nata nel 2016 per iniziativa di Claudia Segre con la missione di promuovere l’educazione finanziaria. Un testimonial d’eccezione per la finanza meneghina cui deve molto: è qui in Bocconi che l’attuale professore della Stern University ha mosso i primi passi nella “triste scienza”. “Mio nonno – dice il liceale premiato per l’occasione per aver vinto un concorso per imprenditori in erba – è stato suo professore. Fu lui a dirgli: non ti fermare qui, l’Italia è troppo piccola per te”. E da allora Roubini monitora, spesso con successo, le sorti dell’economia globale.

Chi vincerà tra Clinton e Trump? “Ovviamente non lo so. Hillary Clinton è agli occhi dei mercati la candidata della continuità. La sua prima preoccupazione, in caso vittoria, sarà di affinare gli obiettivi della politica perseguita da Barack Obama. Una sorta di fine tuning, insomma”. E Donald Trump? “La sua è l’immagine del disruptor, in tutta onestà non me la sento di far previsione su Trump nelle vesti di presidente: potrebbe, come a suo tempo avvenne con Ronald Reagan, adattarsi alle regole e ai meccanismi di governo che condizionano la libertà di movimento del presidente. Oppure interpretare il ruolo in maniera radicale, come lascia intendere la sua campagna elettorale”. In sintesi, l’impatto di una vittoria di Hillary Clinton promette di essere soft. Altra musica per Trump.  “Con la vittoria di Clinton avremo una stabilità delle politiche interne ed estere. Mentre per le dichiarazioni radicali di Trump su immigrazione, accordi commerciali, tassi politica estera, ci potrebbe essere una forte correzione sul listino americano, seguita da una caduta del dollaro e da incertezza economica e geopolitica non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo”.

Passato il primo impatto, però, la strada della presidente Clinton, la più accreditata per il successo secondo i sondaggi, si profila più contrastata di quel che non si immagini. “Il nuovo presidente dovrà agire in un quadro internazionale estremamente complesso, Per citare un esempio, il cambiamento climatico ci sta ponendo problemi epocali dai risvolti inediti. Prendiamo il caso dell’immigrazione. La siccità è la prima causa del movimento delle popolazioni, già 15-20 milioni a livello globale. E’ stata l’acqua la causa scatenante della guerra in Siria. In questo contesto il protezionismo, parente stretto del populismo, potrebbe avere conseguenze pericolose”. Non c’è solo il muro che Donald Trump promette. Non si sa con quale grado di serietà, tra Usa e Messico. Anche Hillary Clinton, sotto la pressione dell’elettorato, ha già fatto passi indietro sulla strada degli accordi commerciali, a partire dal Ttip. “Le forze populiste si stanno organizzando a livello politico. Non c’è solo Trump. In campo democratico ha un grande peso l’ala rappresentata da Bernie Sanders”.   Questo sentiment potrebbe trasdursi in maggiori difficoltà (e minori finanziamenti) per l’economia digitale e altri campi che promettono i tassi di sviluppo più rapidi, a favore delle esigenze immediate dei blue collars, vittime della globalizzazione. “L’amministrazione Clinton punterà su un piano straordinario per le infrastrutture che richiederà una fiscal policy impegnativa, nell’ordine di decine di miliardi di dollari. Ma dovrà fare i conti con l’ostilità del Congresso, probabilmente ancora a maggioranza repubblicana. Senza trascurare il ruolo che potrebbero avere le indagini sulla Clinton Foundation o sulle e-mail. E’ prevedibile che fin da subito comincerà la corsa di Paul Ryan per dimenticare lo sfidante repubblicano per la Casa Bianca nel 2020. E’ inevitabile che la tensione politica continuerà ad essere molto alta”. E questo potrebbe (dovrebbe) pesare sulla crescita dell’economia reale e della Borsa, che non potrà fare ancora grande affidamento sulla politica monetaria.

Commenta