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Risparmio, Censis: il contante per gli italiani non si tocca

Il rapporto Censis-Aipb evidenzia che negli ultimi 10 anni la ricchezza delle famiglie è ferma. In calo Bot e azioni – Privati pronti a investire in infrastrutture strategiche per il Paese, ma servono strumenti, garanzie e incentivi

Risparmio, Censis: il contante per gli italiani non si tocca

Quasi 8 italiani su 10 non vogliono sentir parlare di tasse su contante e depositi bancari. In un Paese in cui la ricchezza finanziaria delle famiglie non è ancora tornata ai livelli pre-crisi, in cui molti dei soldi in circolazione derivano da un’eredità del passato e non da guadagni recenti, in cui investire in titoli di stato e infrastrutture viene considerato rischioso e poco redditizio, il contante rimane l’unica certezza dei cittadini. 

Proprio nel giorno in cui il Governo ha deciso di posticipare l’entrata in vigore delle nuove regole sul tetto ai pagamenti in contanti (la diminuzione da 3mila a 2mila euro entrerà in vigore nel biennio 2020-2021) il 2° rapporto realizzato da da Censis per Aipb (Associazione italiana Private Banking) conferma ancora una volta quanto gli italiani tengano al loro risparmio e alle care vecchie banconote. 

Il report dal titolo “Gli italiani e la ricchezza. Affidarsi al futuro, ripartire dalle infrastrutture” è stato presentato oggi a Roma da Giorgio De Rita, Segretario generale del Censis, e discusso, tra gli altri, da Paolo Langé, Presidente di Aipb, Gian Paolo Manzella, Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico, Innocenzo Cipolletta, Presidente di Assonime e Aifi, Magda Bianco, membro del Comitato per l’educazione finanziaria e rappresentante della Banca d’Italia, Gianfranco Di Vaio, Head of Research di Cassa Depositi e Prestiti, con Mario Sechi, Direttore dell’Agi.

Al centro dello studio non solo il rapporto tra gli italiani e la loro ricchezza, ma anche indicazioni sull’atteggiamento dei clienti private, sempre più lontani dai titoli di stato, ma propensi ad investire in opere strategiche per il futuro del Paese.

LA RICCHEZZA DEGLI ITALIANI: COM’È, DOV’È, QUANT’È

Secondo i dati presentati dal Censis, nel 2018 la ricchezza finanziaria complessiva delle famiglie italiane era pari a 4.218 miliardi di euro, un livello sostanzialmente stabile (-0,4%) rispetto a quello registrato nel 2008, vale a dire prima del deflagrare della crisi finanziaria. Un dato che potrebbe essere letto in positivo e in negativo: se da un lato infatti siamo ancora fermi ai livelli pre-crisi, dall’altro abbiamo recuperato il terreno perso nel periodo di recessione. In questo quadro, sono 500.000 le famiglie italiane che detengono patrimoni finanziari superiori a mezzo milione di euro (circa il 2,5% delle famiglie) e ammonta a circa 850 miliardi di euro il portafoglio di risparmi per investimenti affidati al private banking.

Informazioni interessanti riguardano poi la composizione del portafoglio delle attività finanziarie dei cittadini. Il 33% del portafoglio complessivo degli italiani, pari a 1.390 miliardi di euro, è rappresentato da contante e depositi bancari. Un numero che rappresenta una crescita del 13,7% rispetto a dieci anni fa. Aumento esponenziale (+44,6% sul 2008) per le riserve assicurative, pari al 23,7%. In caduta libera invece le azioni (-12,4%) e i titoli obbligazionari che oggi pesano per il 6,9% del portafoglio, 10 anni fa per il 21%.

NESSUNO TOCCHI IL CONTANTE

“Secondo il 76,8% degli italiani, contante, soldi tenuti fermi sui conti correnti bancari e investimenti finanziari non devono essere tassati in misura maggiore delle risorse che invece vengono investite nell’economia reale. Le idee degli italiani sul risparmio prevedono una difesa intransigente della libertà di scelta del risparmiatore e ancora una predilezione per il contante: amatissimo strumento contro l’insicurezza”, spiega il report Censis-Aipb. Parlando in parole povere, la strada giusta per stimolare gli investimenti non è quella di introdurre una tassazione aggiuntiva sulla liquidità, ma quella di rendere più appetibile gli investimenti in un Paese che al contrario sembra diventato ormai poco affidabile e appetibile. 

ITALIANI-TITOLI DI STATO: UN AMORE FINITO

Un esempio di quanto appena detto sono i titoli di Stato. L’indagine mostra infatti che il 61,2% degli italiani non utilizzerebbe i propri risparmi per acquistare Bot, Btp o altri titoli del debito pubblico. È la fine dei Bot people, quando il risparmio privato alimentava una esplosiva spesa pubblica, che a sua volta foraggiava redditi privati e un sistema di welfare pubblico molto generoso.

Ma perché i titoli di Stato non piacciono più? “Oggi il 66% dei bond europei hanno tassi sotto zero”, spiega il presidente di Aipb, Paolo Langé, caratteristica che senza dubbio non spinge i risparmiatori a puntare sui Bot. Ma a contribuire alla fuga dall’obbligazionario pubblico sono anche la sfiducia verso lo Stato e i timori per il futuro. “Nella percezione delle persone più ricche esiste un rischio-Paese per l’Italia. Per il 53,4% di loro pensare al futuro del Paese desta preoccupazione, per il 23,4% curiosità e solo nell’8,3% suscita un senso di sfida. Sono stati d’animo che non incentivano a investire, soprattutto nel lungo periodo”, recita lo studio. 

INFRASTRUTTURE: PRIVATI PRONTI A INVESTIRE

L’indagine Censis Aipb si focalizza sugli investimenti in infrastrutture. L’Italia ne ha bisogno come l’aria, ma la percezione è che si tratti di investimenti rischiosi e poco redditizi

Secondo il 50,7% degli intervistati “bisogna investire nella messa in sicurezza del territorio contro frane, inondazioni e terremoti, per il 39,3% nelle energie alternative, per il 33,2% nella ristrutturazione di monumenti, chiese, opere d’arte, siti archeologici, per il 22,5% nelle ferrovie e nei treni locali, per il 22% in collegamenti stradali e ferroviari tra il Tirreno e l’Adriatico, per il 20,8% nella connessione internet veloce ovunque e per il 20% nei trasporti pubblici delle grandi città”. Le necessità sono dunque chiare, ma lo sono anche i problemi. Se in Italia le infrastrutture si annunciano e poi non si portano a termine, per il 57,9% degli italiani ciò dipende dalla corruzione, per il 54,1% da regole eccessive e burocrazia lenta, per il 33,7% da controlli insufficienti sulle imprese che realizzano i lavori, per il 31,7% dalla politica che cambia idea sulle opere da realizzare. 

Tutti motivi che dissuadono i cittadini dall’investire i propri soldi negli strumenti di finanziamento delle infrastrutture, compresi i clienti del private banking – vale a dire i più ricchi – che decidono di optare per altri investimenti considerati più sicuri dal punto di vista dei rendimenti. Nonostante tutto ciò, il 35,3% di questi “ricchi” si è detto disposto a investire in infrastrutture.

“Dal 2° Rapporto Aipb-Censis emerge una percentuale importante di clienti Private interessata a investire in infrastrutture e opere pubbliche in Italia”, ha detto Paolo Langé, Presidente di Aipb. “Per incrementare questa quota, è necessario adottare al più presto una serie di azioni per facilitare l’accesso degli investitori: il riconoscimento del livello qualitativo della consulenza evoluta, l’ampliamento della gamma di strumenti finanziari utilizzabili e la creazione, per questi strumenti, di un mercato secondario. Senza trascurare il tema della fiscalità: interventi mirati inciderebbero in maniera significativa sulle scelte di investimento di lungo periodo in infrastrutture”, ha concluso Langé.

Per veicolare il denaro dei più ricchi verso le infrastrutture strategiche servono dunque garanzie, incentivi fiscali e strumenti adeguati. In quest’ultimo campo spiccano gli Eltif, European Long Term Investments Funds. Si tratta di fondi chiusi che puntano ad avvicinare i risparmiatori retail all’investimento illiquido e sono dunque adatti a sostenere investimenti in economia reale e infrastrutture. Introdotti da un regolamento comunitario del 2015 (Regulation EU 2015/760), in Italia sono stati disciplinati dal decreto Crescita che ha previsto, a determinate condizioni, l’esenzione dall’imposta sui rendimenti e dall’imposta di successione. Non abbastanza secondo gli addetti ai lavori che lamentano l’eliminazione durante l’iter di conversione del decreto della norma sulla detrazione IRPEF del 30% della somma investita negli ELTIF per le persone fisiche, così come della deduzione IRES del 30% per le persone giuridiche. 

La strada da fare per cercare di spingere il denaro degli italiani verso le infrastrutture è dunque ancora lunga. La volontà teorica di investire non basta. 

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