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Resuscitare l’inflazione? Serve un miracolo

Segnali di aumento dei prezzi in USA. Gelo nell’Eurozona, sconti in Asia. Prezzi delle materie prime in ascesa, tranne il re petrolio. Costo del lavoro avanti adagio, quasi fermo

Resuscitare l’inflazione? Serve un miracolo

Per i miracoli non siamo ancora attrezzati. Questo dovrebbero riconoscere i banchieri centrali che cercano disperatamente di rianimare l’inflazione. Una missione ben più difficile di quella dei medici e degli infermieri che curano i malati di Covid-19 finiti nel girone semi-dantesco della terapia intensiva e dei ventilatori polmonari.

Sanno benissimo che esistono potenti asimmetrie al lavoro nei sistemi economici. A seconda che il sistema viaggi a buon ritmo e sia prossimo alla piena occupazione. O che sia in difficoltà. Per quanto riguarda la politica monetaria e la sua efficacia sui prezzi, queste asimmetrie sono ben riassunte nel vecchio adagio che paragona l’azione delle banche centrali a una corda: quando la tiri funziona molto bene, molto male quando la spingi.

Pare che di queste asimmetrie si siano recentemente accorti anche i ricercatori alla frontiera più avanzata degli studi economici: l’acqua calda è sempre una bella scoperta, che spesso ha meritato il Nobel. E pure la FED che ha varato la nuova strategia: lasciare lasca la corda finché non ci sono evidenti e prolungate tensioni sui prezzi. Ossia finché non si vede l’inflazione nel bianco degli occhi.

A suo modo la BCE lo sta facendo da un po’, quando dice che per alzare i tassi serve che «l’inflazione si muova verso l’obiettivo in modo sostenibile, il linea con il suo (della BCE, ndt) impegno». Lo ha ribadito da ultimo David Lane, capoeconomista e membro del Consiglio della BCE.

Il fatto è che la strada delle Banche centrali per raggiungere un po’ più di inflazione è lastricata di buone intenzioni. Ma, appunto perché gli tocca ora spingere sulla corda, continuano a implorare ad ogni occasione i governi di varare una politica di bilancio più espansiva. Perché questa può davvero alzare la domanda e quindi rimettere in moto il processo di crescita che, alla lunga, porterebbe a maggior dinamica dei prezzi. Forse.

Guardando i dati qualitativi e quantitativi, qualcosa inizia a muoversi nei listini. Ma solo negli USA. Dove sia l’incremento dei prezzi al consumo (qualunque misura si voglia usare) sia le risposte all’indagine PMI sottolineano rincari diffusi, nel manifatturiero e nei servizi. E, qualora Biden vincesse e avesse una maggioranza amica anche al Senato, allora la spinta del bilancio sarebbe sufficientemente potente da risvegliare incrementi salariali e dell’inflazione.

Nell’Eurozona e nell’Asia lontana, invece, dominano gli sconti, per carenza di domanda, forte concorrenza, ampia capacità inutilizzata, aumenti di produttività grazie alle nuove tecnologie. Si stanno, cioè aprendo due oceani nuovi, oltre a quelli naturali esistenti, che rendono l’America economica più lontana. Sarà interessante esaminarne l’evoluzione e misurarne l’eventuale allargamento.

D’altra parte, le spinte sul lato dei costi si sono normalizzate. Le quotazioni delle materie prime si sono stabilizzate su livelli analoghi a quelli prepandemici. Solo il petrolio è di oltre un terzo più basso, e pesa molto.

Il costo del lavoro sta salendo, ma non perché le retribuzioni unitarie aumentino. Anzi, molte persone hanno accettato riduzioni temporanee dei salari pur di rimettersi a lavorare e non restare a casa. Piuttosto perché, con la ripresa delle attività, questo costo è tornato a essere nei bilanci delle imprese, mentre prima stava in carico a quello dello Stato attraverso gli ammortizzatori sociali.

D’altra parte c’è ovunque un enorme esercito di lavoratori inoccupati o sottoccupati. Una realtà che si vede meglio dai tassi di occupazione che dai tassi di disoccupazione, perché molte persone non cercano un impiego per paura di contagiarsi e perché scoraggiate nella ricerca. Veder meglio non vuol dire veder bene: oltre alle persone uscite dal mercato del lavoro, ci sono quelle costrette ad accettare impieghi part-time perché full-time non c’è. Con tutta questa offerta di lavoro che preme sulla domanda sarà ben difficile osservare incrementi salariali nei prossimi trimestri, anzi anni. E se il costo del lavoro non aumenta viene a mancare il primo motore mobile dei processi inflazionistici, con buona per i banchieri centrali, che stanno facendo tutto il possibile e anche di più, ma che, essere umani pure loro, non sono dotati di tocco né magico né tantomeno miracoloso.

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