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Regno Unito senza un Premier tra coronavirus e Brexit

Un vuoto di potere nel bel mezzo della pandemia di coronavirus e con i negoziati sulla Brexit in corso – Il Regno Unito vive uno dei momenti più difficili della sua storia, confortato solo dalla regina Elisabetta

Regno Unito senza un Premier tra coronavirus e Brexit

Il Regno Unito sta affrontando uno dei momenti più difficili della sua storia. E da domenica scorsa lo sta facendo senza il suo Primo Ministro, ricoverato in terapia intensiva all’ospedale St Thomas di Londra a causa del coronavirus. Boris Johnson ha cercato per giorni di rimanere in sella, isolato in una stanza a Downing Street da dove coordinava le azioni del suo Governo impegnato nella lotta al Covid-19. L’aggravarsi delle sue condizioni di salute lo ha però costretto alla resa, lasciando il Paese in un momentaneo vuoto di potere che non si vedeva addirittura dai tempi di Winston Churchill. 

Non avendo il Regno Unito una vera e propria Costituzione, per capire chi, in attesa della guarigione del Premier, dovesse prendere la guida della Nazione – e soprattutto con quali poteri – è stato utilizzato il “Cabinet Manual”, secondo cui il ruolo di vicepremier spetta al Primo segretario di Stato. Al comando c’è quindi Dominic Raab, Primo segretario di Stato dallo scorso 22 marzo, ministro degli Esteri e brexiter duro e puro. 

Senza un premier nella pienezza delle sue funzioni, Raab può farne le veci “dove necessario”, recita il Cabinet Manuel. Il che vuol dire che spetta a lui presiedere ogni mattina le riunioni del Cobra, il comitato di emergenza anti-coronavirus, e cercare di rallentare la diffusione della pandemia. 

IL CORONAVIRUS NEL REGNO UNITO

Il Regno Unito si trova ancora nel pieno dell’emergenza. I contagi continuano a salire ad un ritmo vertiginoso, così come il numero di morti. Il picco sembra essere ancora lontano e secondo le stime bisognerà ancora attendere 1-2 settimane per vedere gli effetti delle restrizioni imposte lo scorso 23 marzo. 

Dopo gli iniziali tentennamenti e la criticata conferenza stampa sull’immunità di gregge, il Governo britannico ha infatti cambiato radicalmente rotta, imponendo misure simili a quelle sperimentate in Italia: scuole, luoghi di culto, biblioteche e negozi chiusi, eccezion fatta per quelli che svolgono servizi essenziali, obbligo di rimanere a casa ed evitare assembramenti, smart working per tutti tranne che per i casi estremi e necessari. Un lockdown totale valido anche lì fino a lunedì 13 aprile. E dopo? La proroga delle misure di contenimento è data per scontata, con l’annuncio ufficiale atteso per domenica o lunedì, nella speranza che nel frattempo le condizioni di Johnson migliorino e che il Premier riesca a dare quantomeno un assenso verbale. Possibile anche un ulteriore inasprimento delle restrizioni, opzione che però è ancora in fase di discussione, anche se alcuni ministri sarebbero favorevoli a valutare almeno la riapertura delle scuole dopo Pasqua. 

CHE FINE HA FATTO LA BREXIT

Nel caos mondiale creato dalla pandemia, la Brexit è finita sullo sfondo, almeno per quanto riguarda i giornali. La questione però è tutt’altro che risolta e i negoziati per trovare un accordo commerciale e per definire i futuri rapporti tra Regno Unito ed Unione Europea continuano tramite video conferenza. Il tempo però è sempre meno: entro il 30 giugno Londra dovrà decidere se chiedere di estendere il periodo di transizione in corso oltre il 31 dicembre. Se infatti di tempo ce n’era poco prima, il coronavirus ha ristretto ancora di più il margine (e le tempistiche) d’azione dei negoziatori. Johnson ha però più volte escluso qualsiasi ulteriore rinvio e anche nel caso in cui dovesse essere Raab a occuparsi delle prossime mosse, la linea dura sembra essere assicurata.

Nel frattempo, la Commissione Europea ha reso noto che la settimana prossima i capi negoziatori Michel Barnier (affetto anche lui da coronavirus, ma in buone condizioni di salute) e David Frost si sentiranno per definire un calendario dei lavori. La strada, secondo la maggior parte degli analisti, è tutta in salita. La distanza tra le parti è ancora troppo ampia e la possibilità che alla fine dell’anno si vada incontro a una hard Brexit diventa di giorno in giorno più realistica. 

In questo frangente c’è però una curiosità da porre in evidenza. Nonostante dal 31 gennaio sia scattata la Brexit e sia iniziato il periodo di transizione, “giuridicamente il Regno Unito è ancora un membro dell’Unione a tutti gli effetti”, sottolinea Justin Frosini, professore associato di diritto pubblico comparato dell’Università Bocconi di Milano. Come conseguenza di ciò “la Commissione ha predisposto un ingente piano di aiuti per le imprese britanniche che consistono in sovvenzioni dirette, garanzie di stato sui prestiti, prestiti pubblici e aiuti all’esportazione. Per fortuna dei cittadini britannici”, conclude Frosini, “anche degli stessi sostenitori dell’uscita dalla Ue”. 

A questo punto sorge spontanea una domanda: non è che data la crisi economica scatenata dal coronavirus, allungare il periodo di transizione e prendersi alcuni dei benefici destinati ai membri dell’Unione non diventi per Downing Street un’opzione appetibile?

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