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Quartapelle (Pd): “Von der Leyen e Lagarde sono un bene per l’Italia”

INTERVISTA A LIA QUARTAPELLE, deputata del Partito Democratico ed esperta di politica internazionale: “Sulle nomine europee il Governo merita un 2” – “L’agenda di Bruxelles deve ripartire da fiscalità e lavoro” – Sulla Libia: “Nessuno scontro nel Pd, la nostra posizione è quella giusta. Il Governo dovrebbe convincere gli Usa ad avere di nuovo un ruolo centrale a Tripoli”.

Quartapelle (Pd): “Von der Leyen e Lagarde sono un bene per l’Italia”

“Von Der Leyen e Lagarde? Oltre che due donne, sono due figure con un curriculum molto solido. E soprattutto, se il Governo lo capisse, sono due nomine positive per l’Italia”. A commentare con FIRSTonline le nomine europee e gli ultimi casi scottanti di cronaca internazionale, dalla Sea Watch al rifinanziamento della guardia costiera libica, è l’Onorevole Lia Quartapelle, 36 anni, già alla seconda legislatura come deputata del Partito Democratico e grande esperta di questioni internazionali, al punto che negli anni scorsi si era ventilata la sua candidatura alla guida del Ministero degli Esteri al posto di Federica Mogherini. E’ stata lei, nei concitati giorni tra l’arresto della comandante Carola a Lampedusa e l’attentato al campo profughi di Tripoli che ha provocato almeno 60 morti, a redigere il documento del Pd che sulla Libia sposava la linea Minniti, anche se poi il partito – per tenere insieme tutte le sue anime – ha preferito astenersi: “C’è stato un normale confronto, nessuna divisione. E il risultato raggiunto è quello giusto”.

Onorevole, cosa intende esattamente per risultato giusto sulla Libia? Quello di non confermare gli accordi con Tripoli dei governi di centrosinistra?

“Gli accordi restano in vigore e nel documento votato dai gruppi se ne riconosce la validità. Con il nostro voto abbiamo rimesso in discussione solo la missione della Guardia costiera (una delle quattro in Libia) perché in Libia la situazione è completamente cambiata, in peggio, soprattutto per quanto riguarda i salvataggi in mare. Prima esisteva un sistema di salvataggio coordinato dalla Guardia costiera italiana, che teneva insieme le Ong, le missioni europee, la missione Mare Sicuro e la Guardia costiera libica. Oggi invece i libici agiscono senza coordinamento e per di più in una situazione di conflitto nel Paese. Questo avviene anche per colpa del Governo italiano, al quale Tripoli continua a chiedere collaborazione, senza ricevere risposta”.

Il Ministro dell’Interno Salvini preferisce incassare consenso piuttosto che risolvere davvero il problema. Dopo il caso Sea Watch, sta esplodendo quello della nave Alex. Come giudica alcune recenti esternazioni del leader leghista, anche nei confronti di istituzioni democratiche come i giudici?

“Mi spaventa molto. Il fatto che un ministro chieda l’arresto di una persona tramite una diretta Facebook è molto grave, e credo che tutti noi dovremmo condannarlo. Arrestare o meno una persona è prerogativa della magistratura e del diritto, non viene stabilito sulla base di opinioni politiche. I modi di Salvini sono preoccupanti”.

Alcuni esponenti del Pd sono saliti a bordo della Sea Watch per esprimere solidarietà all’equipaggio. Lei ha preferito una linea più neutra, ma è d’accordo con Minniti che ha ammesso che la capitana Carola ha fatto il suo dovere?

“Carola ha agito in base alla propria coscienza e alla propria professionalità, visto che lei è una professionista del mare. Ha salvato delle persone: il problema non è lei, ma chi ha fatto in modo che si arrivasse a quella situazione di stallo e di tensione”.

Assodato che il Governo ha sbagliato, cosa dovrebbe invece fare sulla Libia?

“Rilanciare un’azione internazionale per la pace. La prima cosa da fare è riportare gli Stati Uniti ad avere un ruolo importante nelle aree di tensione nel Mediterraneo, nell’interesse di tutta l’Europa e dunque anche dell’Italia. Negli ultimi anni Washington si è disinteressata, delegando la faccenda ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ma bisognerebbe convincere la Casa Bianca a riprendere un’iniziativa congiunta con l’Unione europea per stabilizzare la situazione in Libia. Smantellare i campi profughi e creare corridoi umanitari per i rimpatri non è un’impresa: in quelli legali ci sono non più di 6.000-7.000 persone. Serve però la volontà politica di farlo. Ma questo è il Governo dell’isolamento e della chiusura, quindi difficilmente lo farà”.

Prima di convincere Trump, per l’Italia sarebbe bene riprendersi il ruolo da protagonista che le spetta in Europa. Un ruolo che, nomina di Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento a parte, i gialloverdi sono stati ben lontani dall’esercitare, nell’ultima partita delle nomine. Che voto darebbe all’Esecutivo?

“Intanto, la nomina di David Sassoli come presidente dell’Europarlamento non è stata una vittoria del Governo italiano, ma del Pd e del Pse. Anzi, Lega e 5 Stelle hanno votato contro e il vicepremier Salvini non ha mancato di insultarlo. Il mio voto al Governo in questa delicata partita è un 2 secco: c’è stata un’assoluta incapacità, o non volontà, di far avanzare un punto di vista italiano all’interno del dibattito europeo. E pensare che abbiamo avuto tre occasioni: la prima con Enrico Letta al Consiglio, la seconda con la possibile nomina alla Commissione di Frans Timmermans, un amico dell’Italia, che parla la nostra lingua e che sarebbe stato attento alle nostre esigenze, e infine la terza con Sassoli. Anziché considerarlo una sponda nell’Europa che verrà, Salvini lo ha attaccato: ma non dice sempre che bisogna sostenere ‘prima gli italiani’?”.

Alla fine ha vinto l’asse franco-tedesco, con la nomina di due donne a capo della Commissione e della Bce. Cosa pensa di Ursula Von Der Leyen e Christine Lagarde?

“Non sono solo due donne, ma hanno un curriculum molto solido. E mi fanno venire in mente due considerazioni. La prima, su quanto sia ancora lunga la strada da fare per le donne italiane in politica: da noi non c’è continuità negli incarichi, le donne vengono usate e poi lasciate a sé stesse. Nessuna può vantare la solidità dei percorsi di Lagarde e Von Der Leyen, due donne che sono state più volte confermate ad alti livelli. La seconda considerazione è geopolitica: con questi nuovi vertici l’Europa può fare un cambio di passo, teoricamente positivo anche per l’Italia. Dubito che il Governo lo capirà, ma avere una francese alla guida della Bce dopo Draghi è significativo. La Francia è il Paese più vicino alle esigenze italiane, ha bisogno di flessibilità come noi, sul mercato del lavoro ha problemi strutturali simili, tant’è che Macron copiò il Jobs Act di Renzi. Von Der Leyen è tedesca ma fortemente europeista e con lei si possono risolvere importanti dossier come quelli sulle migrazioni e sulla difesa comune europea, da sempre un cavallo di battaglia dell’Italia. Insomma dovremmo essere contenti e disponibili a collaborare”.

Quindi non tutti i mali vengono per nuocere: la nomina di Timmermans alla Commissione avrebbe forse, nei giochi di potere, aperto le porte della Bce al falco Weidmann.

“No, non credo che si sarebbe comunque arrivati a quello. Il presidente francese Macron voleva assolutamente la poltrona di Francoforte, per ridare forza all’Europa partendo dalla stabilizzazione dell’economia dell’Eurozona”.

Quali sono secondo Lei le priorità dell’agenda europea e su quali vi batterete come Pd e Pse?

“Investimenti, fiscalità, lavoro. E soprattutto riformare lo statuto del Consiglio, in modo da poter prendere decisioni anche a maggioranza semplice evitando così veti e ostruzionismi da parte dei Paesi più piccoli, in particolare dell’Est come il blocco di Visegrad, al quale invece strizza l’occhio parte del Governo italiano. Una delle prime cose da fare, quando non ci sarà più la minoranza di blocco, è dare vita a una fiscalità omogenea e ad una concorrenza vera e leale tra i Paesi membri”.

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