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Quanto vale l’acqua? Quasi 1/5 del Pil

Secondo la prima mappa realizzata da The European House – Ambrosetti, la filiera dell’acqua è la seconda in Italia per valore aggiunto e ha resistito alla crisi Covid molto meglio di altri settori industriali: senza questa risorsa, non verrebbero generati 310,4 miliardi di Pil.

Quanto vale l’acqua? Quasi 1/5 del Pil

L’acqua è come noto un bene primario, fondamentale per la sopravvivenza, l’utilizzo domestico, e soprattutto come valore ambientale da tutelare e non sprecare. Ma l’acqua ha anche un ruolo enorme nel ciclo economico, che va dal settore agricolo a quello industriale e civile: si pensi ad esempio alle varie fasi come la captazione, la potabilizzazione, la distribuzione, la fognatura, la depurazione, e il riuso. Proprio per questo The European House – Ambrosetti ha realizzato la primissima mappatura della catena del valore esteso dell’acqua. Ne è venuto fuori intanto che l’acqua, direttamente o indirettamente, vale poco meno di un quinto del Pil del Paese (310,4 miliardi), nel senso che quei soldi non potrebbero essere generati senza la risorsa acqua. Il valore, per dare un parametro, è pari quasi a quello dell’intero Pil del Sudafrica, e supera quello di Finlandia (240 miliardi), Portogallo (212 miliardi) e Grecia (187 miliardi).

E poi che le aziende coinvolte nella filiera dell’acqua, solo in Italia, sono quasi 1,8 milioni, di cui 1,5 milioni di imprese agricole, per le quali l’acqua è l’input produttivo primario, così come lo è per 350.452 imprese manifatturiere definite “idrovore” (che si caratterizzano cioè per un’intensità di utilizzo di acqua e prelievi idrici sopra la media del settore manifatturiero) e per 8.181 imprese del settore energetico. A tutte queste realtà, che fatturano nel loro insieme oltre 1.000 miliardi di euro (60,5 miliardi le imprese agricole, 902 quelle manifatturiere idrovore, 237 miliardi quelle energetiche) e occupano in tutto 4,6 milioni di lavoratori, vanno aggiunte quelle del cosiddetto ciclo idrico esteso, composto cioè da tutte le 3.533 aziende che operano in almeno una delle sette fasi del ciclo idrico integrato (dalla captazione al riuso) e dai fornitori di input per la stessa filiera primaria (provider di tecnologia e software, fornitori di macchinari e impianti).

Il fatturato di queste imprese è di 21,4 miliardi, e creano un valore aggiunto di 9,1 miliardi, dando lavoro a quasi 90.000 persone. Numeri da capogiro, che lo studio di Ambrosetti azzarda di paragonare con altri settori: ne viene fuori che se il ciclo idrico esteso fosse un unico settore, si posizionerebbe come secondo settore in Italia per crescita del valore aggiunto nel periodo 2013-2019. La crescita infatti è stata del 5,8% CAGR, contro l’1,9% registrato nello stesso periodo dal comparto manifatturiero e contro il modesto +0,8% dell’intera economia italiana. Guardando al valore assoluto, il “business dell’acqua” è secondo solo a quello della farmaceutica, che produce valore aggiunto per 9,5 miliardi, ma sopravanza industrie ben consolidate come abbigliamento e pelletteria (8,5 miliardi) e Beverage (compreso il vino, 4,2 miliardi).

Per non parlare della crescita degli occupati: in un periodo storico molto difficile per il mercato del lavoro, ulteriormente complicato dalla pandemia, il settore idrico esteso ha visto gli addetti crescere dell’1,7% CAGR dal 2013 al 2019, un dato in controtendenza visto che ad esempio la manifattura ha avuto una forza lavoro pressoché stabile (+0,1%) e che in tutta Italia nel periodo considerato gli occupati sono cresciuti dello 0,8%. Per fare un paragone, il ciclo esteso dell’acqua occupa 87 mila persone, più dei 79 mila del settore delle calzature, che pure è uno dei punti di forza del made in Italy. Tuttavia, la crisi da Covid avrà purtroppo impatto anche sulla filiera dell’acqua: secondo lo studio di Ambrosetti, la pandemia rischia di provocare una perdita di fatturato di oltre il 4% nel 2020. Un dato comunque contenuto se paragonato al -21% della manifattura e al -10% stimato per il Pil nazionale.

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