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Quadrio Curzio: “Contro la crisi la credibilità è tutto. Non illudiamoci sulla Cina”

Secondo l’accademico dei Lincei, occorreva procedere con largo anticipo per avviare l’operatività del fondo cosiddetto “salva-Stati”: troppo pochi i 13 miliardi impiegati finora – A proposito dello spread Btp-Bund, Quadrio evoca la determinazione con cui Prodi e Ciampi agganciarono l’euro – Quanto all’aiuto della Cina, “non può sostituire il nostro impegno”.

La lentezza nelle decisioni delle istituzioni europee. O ancor di più la perdita di credibilità, politica più che finanziaria, dell’Italia che rischia di vanificare un percorso eroico per restare agganciata al treno europeo. “Secondo i miei calcoli – spiega il professor Alberto Quadrio Curzio, rettore di Scienze Politiche alla Cattolica di Milano – tra il 2009 ed il 2014 i sacrifici dell’Italia per raggiungere l’obbiettivo del pareggio e rientrare nei parametri deficit/Pil ammonteranno a 250 miliardi: una cifra di tutto rispetto”. Senz’altro, ma nemmeno un programma così impegnativo sembra in grado di rassicurare i mercati. Anzi, a questo punto, perfino un europeista convinto come Quadrio Curzio è costretto a rimettere nel cassetto il progetto degli eurobond, su cui ha lungamente lavorato. “Ma sarà necessario ritirarlo fuori il più in fretta possibile – precisa – quando le condizioni lo permetteranno”.

Il primo passo, professore, consiste nel superare lo scoglio dei limiti al fondo salva Stati. L’appuntamento è con il voto del Parlamento tedesco. E poi?

“La mia idea era che si sarebbe dovuto procedere già da tempo con un altro passo per avviare l’operatività del fondo. Da quanto risulta dal Bollettino della Bce sono stati impiegati finora 13 miliardi su 220. Inoltre, non è stato ancora elaborato il regolamento che consenta al fondo di intervenire sul mercato dei titoli di Stato, sia primario che secondario. Questa lentezza nel prendere decisioni e nell’eseguire le operazioni decise ha lasciato larghissimo spazio alla speculazione che ritiene di poter puntare, con profitto, sulla prospettiva di default di un Paese”.

I meccanismi decisionali della Ue sono il primo colpevole, dunque?

“Non sarebbe stato difficile intervenire con successo sulla Grecia che rappresenta il 2,5% del Pil dell’Unione. Ora, a contagio avvenuto, la situazione è cambiata”.

Qual è a suo avviso il meccanismo che ha fatto scattare l’attenzione verso l’Italia?

“Non credo che l’outlook negativo di un’agenzia di rating sia stato il fattore determinante. Credo, semmai, che dopo i ritardi di Eurolandia la speculazione abbia deciso che era ora di spostare l’attenzione verso un obiettivo più grande. I traballamenti della politica interna da fine luglio a tutto agosto hanno fatto il resto”.

Non è colpa delle manovre, dunque?

“Non credo che c’entri la debolezza delle misure annunciate che, del resto, non sono affatto deboli. Secondo i miei conti, anzi, l’Italia si è impegnata a provvedimenti clamorosi: tra il 2009 e il 2014 tra tagli e nuovi prelievi, l’Italia risparmierà 250 miliardi. Una cifra enorme ”.

Basterà?

“Nel prossimo Dpef è previsto a fine ciclo un avanzo primario del 6%. Un grande risultato purché gli interessi al servizio del debito non salgano al 10%. Molto conterà la credibilità del Paese”.

Quanto per la credibilità?

“Posso dire che, negli anni della rincorsa all’euro, un collega del Nord Europa, non mi ricordo se olandese o tedesco, mi disse che almeno metà della riduzione dello spread tra i tassi italiani e quelli tedeschi era legata alla determinazione con cui Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi inseguivano quell’obiettivo. Eurotassa compresa. E’ un esempio illuminante sul valore che può avere la credibilità”.

Ma stavolta non basterà un’eurotassa…

“Sono d’accordo. Ma qui si esula dal campo dell’economia “.

Servirà bussare alla Cina?

“Può fare molto, anche se non dobbiamo illuderci che un aiuto esterno possa sostituire il nostro impegno. Ma, al di là degli aiuti finanziari, può mostrarci l’esempio di una classe dirigente che sa porsi gli obbiettivi che contano per davvero nel mondo d’oggi e di di domani. La Cina ha a disposizione mezzi finanziari, ma anche una strategia nelle materie prime e, unica al mondo, una filiera produttiva che copre tutta l’industria, dalle tecnologie più povere che si guardano bene dall’abbandonare, all’hi-tech in cui stanno facendo processi da gigante. Ma, soprattutto, hanno una visione adeguata. Di recente ho ascoltato un discorso di un vice ministro di Pechino: il nostro prossimo obiettivo, ha detto, è di tirar fuori dall’indigenza 1 miliardo e trecento milioni di poveri”.

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