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Professor Seedorf, bentornato al Milan. Ma per aprire un nuovo ciclo faccia un po’… l’inglese

Il nuovo mister dei rossoneri ha studiato management alla Bocconi e comprende che per aprire davvero “un nuovo ciclo” al Milan non basta cambiare l’allenatore ma bisogna rinnovare la scombinata gestione aziendale e avere una lucida strategia – La diarchia Galliani-Barbara non promette nulla di buono ed è per questo che Clarence dovrà fare un po’ l’inglese.

Professor Seedorf, bentornato al Milan. Ma per aprire un nuovo ciclo faccia un po’… l’inglese

Benvenuto al Milan più disastrato degli ultimi 25 anni Professor Seedorf! Lei ha annunciato di voler riportare questa squadra ai suoi fasti e “aprire un nuovo ciclo”. Vasto programma, come diceva De Gaulle a quello che si proponeva di eliminare gli sciocchi e gli imbecilli.

Il suo arrivo è circondato da un certo scetticismo, un po’ perché i tifosi milanisti sono sempre stati troppo critici con i loro numeri 10: hanno osato criticare Rivera e fischiare Rui Costa, prima di mormorare troppo spesso durante alcune delle sue ultime partite in rossonero. Ma soprattutto perché è diffusa la sensazione che i problemi da risolvere nel Milan di oggi vadano ben al di là delle competenze di un allenatore.

Per avviare un nuovo ciclo occorre innanzitutto dare un senso ad una gestione aziendale sempre più scombiccherata. Lei è stato professore sul campo per il suo modo di giocare, fatto di tocchi vellutati, sapienza tattica e direttive impartite ai compagni di squadra; e per di più ha studiato con professori della Bocconi le discipline aziendali e le tecniche di management. L’esperienza sul campo e in aula le indicano fin troppo chiaramente che l’attuale assetto del Milan collide con i principi elementari della buona gestione aziendale.

Un paio di mesi fa, Guido Rivolta, (anch’egli accanito tifoso milanista e anch’egli appartenente alla categoria di chi è stato temprato da due retrocessioni) ha scritto su questo sito che Barbara Berlusconi aveva ragione da vendere a puntare il dito contro il duo Galliani-Allegri. Ma il licenziamento di Allegri non appare come una soluzione adeguata alla gravità dei problemi denunciati. Lo scontro si è risolto con un compromesso degno della peggior politica delle larghe intese (ne avrà avuto eco anche in Brasile) e ha portato a una diarchia fra la giovane rampolla e il vecchio dirigente che non lascia presagire nulla di buono.

Le aziende con due amministratori delegati sono fatalmente destinate a bloccarsi all’emergere di ogni dissenso sulle decisioni rilevanti, come dimostrano tanti casi aziendali che si discutono alla Bocconi. E il Berlusconi di oggi appare troppo distratto dalle sue sventure politiche e giudiziarie per  portare ordine in un top management rissoso.

Non solo. Barbara ha lasciato a Galliani la competenza proprio sugli aspetti che criticava più ferocemente, cioè quelli tecnici.  E come non bastasse, non è chiaro se Galliani, che aveva annunciato le dimissioni tipiche dei politici, cioè quelle che scadono come lo yogurt nel giro di 48 ore, resterà o no. E nel secondo caso, se davvero gli dovrà essere riconosciuta una liquidazione stellare, come quella di cui si è parlato (50 milioni è la stima più accreditata).

Ma se fosse così, cosa diavolo c’è scritto in quel contratto, visto che neppure i banchieri più strapagati hanno ottenuto cifre del genere? Alessandro Profumo ha ricevuto 40 milioni ed è stato coperto di critiche proprio per il contrasto con le due-tre annualità di remunerazione che sono normalmente riconosciute ad un amministratore delegato in uscita. Ma la liquidazione che sarebbe dovuta a Galliani batte ogni record bancario. Non è  un paracadute d’oro: è tutta la Divisione Folgore. Ed è l’ennesima prova che c’è qualcosa di oscuro nella gestione del Milan di oggi che getta ombre sinistre sul suo futuro lavoro.

Sempre dai docenti della Bocconi avrà imparato che per avviare un “nuovo ciclo” occorre un piano strategico pluriennale. Il Milan degli ultimi tempi non solo ha navigato a vista, annunciando obiettivi nella forma della peggior politica (la zona Champions è l’equivalente calcistico della solfa delle “riforme di cui il paese ha bisogno”) ma ha inanellato una serie mostruosa di errori tecnici e manageriali, perché ha speso malissimo un budget che la crisi di Fininvest ha ristretto continuamente.

Ha lasciato partire Pirlo, il miglior centrocampista dell’ultima generazione, per puntare su giocatori come Van Bommel, comunque costosi e assai meno determinanti. Ha comprato Matri, giocatore la cui fama non si estende oltre Bellinzona, allo stesso prezzo al quale la Juventus ha preso Tevez, di caratura internazionale e di ben diverso rendimento. Ha garantito pingui ingaggi a difensori come Mexès e Zapata che si sentono impegnati quasi per contratto a commettere tre errori fatali a partita. Ha continuato a dire che intendeva puntare sui giovani, ma solo uno splendido gol a San Siro ha scongiurato il pericolo di veder partire il talento Cristante. E via elencando in una serie che non ha precedenti nella storia del Milan o, per essere più precisi, richiede di tornare ai tempi in cui si alternavano Egidio Calloni e Luther Blisset, cioè quando il Milan si avviava tristemente verso il dissesto a motivo delle scelte scellerate dei dirigenti di allora.

Davanti ad un quadro così desolante, è forte il sospetto che il mesto epilogo del vecchio ciclo che si è consumato a Sassuolo non sia frutto di errori puramente tecnici e tanto meno colpa del solo Allegri, ma rifletta i mali profondi di una gestione societaria che è lo specchio fedele della parabola discendente di Berlusconi.

Per poter “aprire un nuovo ciclo”, caro Clarence, lei dovrà lottare contro tutto questo, il che significa interpretare il suo ruolo come gli inglesi, che non a caso chiamano manager l’allenatore. Cioè dovrà mandare in pensione con tatto Galliani, consentire a Barbara di occupare la ribalta del potere aziendale almeno formalmente e chiamare in causa il meno possibile il padre-padrone. Se riuscirà in tutto questo, sono pronto a proporrla alla mia vecchia facoltà di Scienze Politiche per una laurea honoris causa in diplomazia che aggiungerà un’ulteriore ragione al suo appellativo di professore. Ovviamente è quello che noi milanisti speriamo, ma non sarà affatto facile. Benvenuto quindi caro Clarence, ma soprattutto auguri.

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