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Previdenza integrativa, tutto da rifare: tre proposte di Assoprevidenza

Secondo Assoprevidenza per risvegliare la previdenza integrativa occorre intervenire su tre punti cruciali: 1) stabilire che la previdenza complementare serve; 2) attuare una normativa non penalizzante, 3) rivedere le modalità di adesione ai fondi pensione – Anche la Cdp potrebbe dare una mano: ecco come.

Previdenza integrativa, tutto da rifare: tre proposte di Assoprevidenza

A dieci anni dalla riforma del 2005 la previdenza complementare è in stallo. I tempi sono così ormai maturi per un’ampia riflessione sul suo ruolo in un disegno più armonico che affronti la questione sia da un punto di vista concettuale, sia normativo e infine di modalità di adesione. E’ questo il parere di Assoprevidenza, l’Associazione Italiana per la Previdenza Complementare, centro tecnico nazionale per lo sviluppo della tutela complementare nella previdenza e nella sanità.

Sono tre per Assoprevidenza i principali nodi da affrontare: 1) stabilire che la previdenza complementare serve; 2) attuare una normativa non penalizzante; 3) riconsiderare le modalità di adesione.

“Da questa situazione – ha detto il presidente Sergio Corbello durante un incontro stampa sul tema – si esce con la capacità di capire che i fondi e le casse sono strumenti sociali e non prodotti finaziari. In secondo luogo, si spera che con un minimo di ripresa economica ci sarà la possibilità di avere risorse per ridurre la fiscalità dei fondi e nello stesso tempo è auspicabile un’iniziativa del Governo nei confronti delle parti sociali affinché usino gli strumenti contrattuali per sviluppare i fondi pensione”.

LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE SERVE

“Ci sembra che qualcuno scambi i fondi pensione come strumenti finanziari”, ha rilevato Corbello. Per quanto si avvalgano di strumenti finanziari, infatti, i fondi pensione hanno una finalità diversa e specifica: servono per la previdenza. E non solo per elementi di carattere sociale, ma anche per le considerazioni di natura economica, legate al ruolo di investitori istituzionali di lungo periodo che caratterizza gli operatori di settori.

Assoprevidenza è infatti consapevole delle potenziali ricadute macroeconomiche delle risorse previdenziali in termini di investimenti nello siluppo del Paese (Pmi, opere pubbliche, infrastrutture, etc) ma rileva che è necessario che il patto sia “chiaro”, così come avviene nei Paesi del Nord Europa dove i fondi pensioni investono negli ospedali e nelle opere pubbliche ma sanno quanto investono, quanto è il rendimento e con che rischio. “Si deve fare un passo indietro su fiscalità e individuare gli strumenti per investire nel Paese – ha spiegato Corbello -, la Cdp dovrebbe inventarsi qualche strumento per l’investimento della previdenza complementare senza dimenticarsi che l’investimento è dato dalla durata, dalla rischiosità e dal rendimento”.

Al contrario, per Assoprevidenza i recenti interventi legislativi in materia di previdenza complementare pongono “importanti interrogativi” sullo sviluppo futuro del settore. L’Associazione mostra un “totale dissenso” di merito circa l’approccio, definito “punitivo e potenzialmente distruttivo”, del tutto contrario a quanto operato dagli altri Paesi europei, in tema per esempio di tassazione dei rendimenti. Ma il problema è più profondo: non è solo il singolo provvedimento che genera perplessità ma il metodo con cui sono assunti i provvedimenti, “connesso – dice Assoprevidena – alla palese carenza di un disegno organico per il comparto, la cui relatà e funzione sembrano addirittura essere travisati”. In altri termini, Assoprevidenza ritiene che il Governo abbia totalmente equivocato il ruolo della previdenza complementare “considerando i fondi alla stregua di prodotti finanziari con finalità pensionistica e non già entità fornitrici di servizi previdenziali”.

UNA NORMATIVA NON PENALIZZANTE

Assoprevidenza, per esempio, considera il Tfr la base imprescindibile per poter realizzare un piano di previdenza complementare criticando così la legge sul Tfr in busta paga (l.n. 190/2014 art.1, c. 26). Così come, per citare alcuni dei casi indicati, non va nella direzione auspicata la tassazione, che tra l’altro, fa notare Assoprevidenza, deroga rispetto all’impostazione dell’Unione europea che si sintetizza nell’acronimo E/E/T: esenzione da imponibilita` fiscale per una ragionevole misura di apporti contributivi pro anno; esenzione totale da prelievo tributario dei rendimenti tempo per tempo conseguiti; tassazione delle prestazioni in capo al singolo.

Al contrario, l’Italia si basa su modesta esenzione per l’apporto contributivo (poco piu` di 5.000 euro l’anno); tassazione agevolata dei rendimenti – in passato 11%, poi 11,50% sul maturato e non gia` sul realizzato – tassazione di estremo favore per le prestazioni (al momento pressoche´ inesistenti), con riconoscimento di un credito di imposta per le imposte gia` pagate sui rendimenti.

Assoprevidenza rileva altresì che “una deroga cosi` pesante allo schema generale europeo E/E/T, rappresenta un grave ostacolo alla portabilita` intracomunitaria delle posizioni individuali pensionistico complementari dei lavoratori italiani e, conseguentemente, ne limita la libera circolazione all’interno della UE”. Trasferendo, infatti, la posizione individuale da un fondo italiano a uno europeo, il lavoratore italiano perde tutti i crediti di imposta maturati sui rendimenti sarebbe nuovamente tassato in toto, all’atto di fruire delle prestazioni.

MODALITA’ DI ADESIONE

E’ sul fronte delle adesioni che il sistema presenta poi le maggiori criticita`: non solo il numero degli aderenti, di per se´ significativo (oltre 6,5 milioni) rappresenta meno del 30% degli occupati, ma da oltre un quinquennio, in virtu` della perdurante situazione di crisi economica, la fisiologica diminuzione degli iscritti ai fondi preesistenti e` accompagnato da una continua contrazione nel numero delle adesioni ai fondi negoziali di nuova istituzione (-5% dal 2008). “L’aumento delle adesioni registrato negli ultimi anni e` dunque frutto essenzialmente dell’“appeal” dei fondi aperti e, soprattutto, dei PIP che, a fine 2014, detenevano oltre il 50% del totale degli aderenti alla previdenza complementare – spiega Assoprevidenza – Allo stato attuale, sono ancora privi di adeguata copertura previdenziale complementare alcune categorie come i giovani, le donne, i residenti nelle regioni meridionali, proprio i soggetti che rischiano di essere meno coperti dal trattamento pensionistico di base”. In questo quadro si inserisce la necessità di una riflessione sul ruolo centrale della contrattazione collettiva per sviluppare le adesioni dei lavoratori subordinati, prevedendo la possibilita`, suggerisce Assoprevidenza, “di rendere cogente ex contractu la partecipazione al fondo pensione da parte dei lavoratori del bacino di utenza considerato, fatta salva la facolta` del singolo lavoratore di rinunciare alla realizzazione del piano previdenziale (dissenso espresso)”.

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