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Petrolio: la strategia saudita e le incognite geopolitiche

Dal BRIEFING di LEONARDO MAUGERI (allegato) – Il rifiuto saudita di tagliare la produzione a novembre puntava a cancellare buona parte della produzione shale Usa che invece ha retto al crollo dei prezzi – La morte di re Abdallah introduce elementi di incertezza ma per un anno i prezzi dovrebbero restare bassi nonostante il mini-rimbalzo di questi giorni

Petrolio: la strategia saudita e le incognite geopolitiche

Petrolio, cosa ci aspetta? Domanda a cui è molto difficile rispondere tanto più dopo il mini-rimbalzo di questi giorni, subito naufragato. Ci prova un super-esperto come Leonardo Maugeri nel suo ultimo briefing, dal Belfer Center dell’università di Harvard di cui è senior associate. “Oil, what’s ahead?” analizza soprattutto le ragioni del rifiuto saudita a tagliare la produzione come invece chiedevano diversi membri dell’Opec a novembre; rifiuto che ha innescato l’accelerazione al ribasso dei corsi del greggio, sprofondato sotto quota 50 dollari sul finire del 2014.

“Da diverse fonti confidenziali all’interno del Regno – scrive Maugeri – ho appreso che, prima di prendere tale decisione, i sauditi hanno passato diversi mesi per valutarne gli effetti sui conti statali. Due gli scenari esaminati. Nel peggiore, i sauditi calcolavano di dover  sopperire con proprie risorse valutarie per 10 miliardi al mese, un sacrificio che consideravano di poter sopportare per almeno un anno, secondo alcuni. Altri, che consideravano questa ipotesi disastrosa, non osavano tuttavia resistere poiché  il re  Abdullah la condivideva con i due uomini di maggior:  innanzitutto, il ministro del petrolio Al-Naimi, vero architetto della strategia saudita;  e in secondo luogo con il ministro delle Finanze, Al-Assaf”.

La strategia seguita risulta convincente, osserva Maugeri, poiché era evidente che lasciando il mercato senza controllo il prezzo non poteva che crollare, spinto al ribasso dall’eccesso di comanda. Nel calcolo saudita, tuttavia, vi erano alcuni elementi di debolezza: per esempio, immaginare che  il petrolio a 75 dollari avrebbe finito per cancellare buona parte della  produzione shale di Usa e Canada, cosa che invece non è avvenuta – afferma Maugeri – perché nel frattempo l’avanzamento tecnologico e la riduzione dei costi hanno reso enormemente meno costosa la produzione.

“Ma la morte di re Abdallah ha introdotto un nuovo elemento di incertezza sul futuro della strategia saudita”, osserva Maugeri. Infatti, i rapporti del ministro Al-Naimi con il nuovo sovrano Salman, non sono chiari. Non solo avrebbero avuto in passato vedute divergenti ma al momento il figlio del sovrano, il principe Albdulaziz, risulta essere il numero due al ministero del petrolio.

Le cose dunque potrebbero cambiare, ma non certo facilmente. E soprattutto nel breve-medio termine la strategia di Al-Naimi non sembra avere alternative possibili. Maugeri solleva dubbi su quali Paesi produttori potrebbero operare i tagli produttivi sollecitati. Escludendo l’Arabia Saudita che già è al di sotto della sua capacità per almeno 3 milioni di barili-giorno, rimane poco o nulla: i problemi interni di Libia, Iraq e Nigeria sommati alle sanzioni che legano le mani all’ Iran stanno già togliendo al mercato 2,5 milioni di barili.Quanto agli membri Opec come Venezuela e Emirati arabi uniti non hanno sufficienti margini di manovra per operare tagli significativi.

In soccorso, tra i Paesi non-Opec, potrebbe venire la Russia che ha tutto l’interesse a riportare le quotazioni del petrolio a livelli per lei più soddisfacenti, ma è molto difficile che faccia accordi, sia pure temporanei,  con  il cartello. Mosca non ha fiducia nei sauditi e anzi li accusa di aver lavorato di nascosto e in accordo con Washington.

Maugeri argomenta che a fronte di questa situazione i tagli produttivi annunciati dalle compagnie e dai produttori riguardano soprattutto i nuovi progetti piuttosto che quelli già approvati. Una certa “inerzia produttiva”, afferma, è ineludibile perché compagnie e produttori devono sostituire le riserve. E la produzione shale ha dimostrato di reggere a quotazioni  di 45 dollari al barile. “Difficile pensare di poter cancellare in un anno un eccesso di produzione di circa 2 milioni di barili giorno” è la sua conclusione. A meno che non ci sia un forte balzo in avanti della domanda: ma è verosimile?

“Da un punto di vista economico – conlude il Briefing – i fattori che abbiamo esaminato sembrano cospirare in direzione di un risultato: il mantenimento di prezzi strutturalmente bassi del petrolio per un periodo significativo”. Tuttavia esistono conseguenze geopolitiche da monitorare attentamente. “La caduta dei prezzi del petrolio – mette in guardia Maugeri – può portare a un’instabilità politica, anche  violenta, nelle aree cruciali per la produzione petrolifera mondiale, a cominciare da quelle sul Golfo persico. Se  crisi di questo genere dovessero verificarsi, ne conseguirebbe che i prezzi schizzerebbero a razzo verso l’alto, anche in presenza di un mercato debole. Come mai prima d’ora, le analisi sul mercato del petrolio e sulle possibili scelte di investimento richiedono un’organizzazione analitica, capace di considerare  tutto l’insieme delle variabili  che influenzano l’evoluzione del mercato in sé, campo per campo e Paese per Paese, evitando considerazioni basate su uno scenario di lungo termine (oltre il 2030) e sull’inutilità di modelli basati su questi scenari sottostanti”.


Allegati: OIL WHAT’S AHEAD.pdf

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