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Pensioni verso l’addio al sistema delle quote e pensione contributiva anticipata per tutti: il Governo prepara la manovra

Il Governo sta studiando la nuova manovra di bilancio dove spicca l’addio a quota 103 e a tutto il sistema delle quote in vista dell’estensione della pensione contributiva anticipata per tutti i lavoratori, anche a chi ha cominciato a lavorare prima del 1996

Pensioni verso l’addio al sistema delle quote e pensione contributiva anticipata per tutti: il Governo prepara la manovra

In claris non fit interpretatio ovvero quando le norme sono chiare non occorre l’interpretazione. Purtroppo non possiamo avvalerci di questo broccardo del diritto romano nell’affrontare il tema delle intenzioni del governo in materia di pensioni, in vista dell’ormai prossima manovra di bilancio.  

Dobbiamo fidarci di quanto leggiamo nella stampa ben consapevoli che si tratta spesso di ballon d’essai messi in circolazione ‘’per vedere l’effetto che fa’’. Se abbiamo capito male, quindi, ci giustifichiamo in anticipo. Anzi, in presenza di certe ipotesi per noi molto discutibili, saremmo ben contenti di avere capito male e di doverci ricredere. Non nascondiamo di aver apprezzato nelle leggi di bilancio degli anni scorsi, l’azione del governo in tema di pensioni, che è stato oggetto di un’importante revisione delle sciagurate proposte contenute sull’argomento del programma elettorale di centrodestra. Quota 41, tanto cara alla Lega, è rimasta lettera morta; è stata smantellata l’impostazione iniziale delle quote (con quota 100 il governo giallo verde voleva favorire l’anticipo del pensionamento; con quota 103 e dintorni lo ha reso impraticabile); non si è arrivati a fissare in mille euro mensili la pensione minima; è stato anticipato di due anni lo sblocco dei requisiti per il trattamento di anzianità. Intorno a queste piante di alto fusto sono state piantati alberelli – magari con scarsa tecnicalità – che hanno ridimensionato talune vie d’uscita disposte in precedenza (si veda per tutte  opzione donna) e rivisto nel sistema contributivo i parametri di adeguatezza (in rapporto all’assegno sociale) tra i requisiti necessari per potere andare in quiescenza. Che cosa – si dice – sta preparando il governo, tramite il plenipotenziario per le pensioni Claudio Durigon? Ci avvaliamo del lavoro di Claudia Marin che ha ripreso le voci in circolazione in un articolo sul QN: “Nel 2026 la cancellazione di Quota 103 e di tutto il sistema delle quote che hanno tenuto banco in questi anni dovrebbe aprire la strada all’estensione della cosiddetta pensione contributiva anticipata a tutti i lavoratori e, dunque, anche a coloro che hanno cominciato a lavorate prima del gennaio 1996 e che hanno un pezzo dell’assegno calcolato con il metodo retributivo. Non solo: per raggiungere il livello di importo richiesto per lasciare il lavoro potrebbe essere previsto anche l’utilizzo del Tfr, dopo che quest’anno è stato introdotto il possibile ricorso al capitale versato nei fondi pensione’’.  

Le pensioni tra il tfr e il sistema misto

Teniamo in considerazione, a proposito del Tfr, l’uso del condizionale che ci autorizza a non approfondire una proposta per ora molto vaga e a passare oltre. “La novità in discussione – scrive ancora Marin – riguarda la possibilità di estendere la formula prevista per i lavoratori interamente nel contributivo (64 anni di età e 20 di contributi effettivi che diventeranno 30)  anche ai lavoratori che hanno contributi precedenti al 1996. Come? Prevedendo – scrive Marin –  la possibilità di calcolare la pensione con il sistema misto, retributivo per la parte precedente al 1996, contributivo per quella successiva. L’altra novità in ballo è la possibilità di utilizzare anche il Tfr per raggiungere la soglia minima per accedere a questo sistema di pensionamento. Su questo ultimo punto soprassediamo, ma quanto al  resto entriamo a piedi uniti in una di quelle ipotesi che ci auguriamo di avere frainteso, perché l’operazione – fermi restando i requisiti contributivi – ridurrebbe di ben tre anni (da 67 a 64) il requisito anagrafico per il trattamento di vecchiaia, senza peraltro passare attraverso il ricalcolo interamente contributivo, come è avvenuto fino ad ora nei casi di anticipo della pensione. Il che vorrebbe dire mandare in pensione anticipata di tre anni – a parità di assegno – la maggior parte delle lavoratrici, pubbliche e private, che adesso devono attendere la maturazione dei requisiti di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 di contributi versati). 

Il bonus Giorgetti

Non ci vengano a dire che i maggiori oneri si pareggeranno grazie al bonus Giorgetti, come definito nella Circolare n.118/2025 dell’Inps dove sono stati recentemente risolti alcuni aspetti rimasti in sospeso, il più importante dei quali è quella della detassazione della contribuzione a carico del lavoratore (circa il 10%) in busta paga per chi rinvia il pensionamento anticipato. Non è una gran cifra: secondo l’UPB si tratterebbe di 6.900 euro all’anno da mettere in relazione con il minore importo della pensione derivante da un montante più ridotto. Si vede che ogni ministro leghista vuole essere ricordato – dopo Roberto Maroni – per un bonus più o meno super. Però non dobbiamo dimenticare che la riforma del 2004 prevedeva le devoluzione in busta paga per un massimo di tre anni dell’ammontare detassato dell’intera aliquota contributiva del 32,7% ed era operante solo nei settori privati, mentre il bonus Giorgetti si estende anche ai settori pubblici. Bisogna poi valutare il tornaconto per l’Inps tra la minori entrate contributive e le minori spese per il rinvio della corresponsione del trattamento. Poi quando sono previsti degli incentivi c’è sempre un dubbio: che i lavoratori aderenti sarebbero rimasti al lavoro anche senza incassare l’incentivo. Ai tempi del superbonus Maroni si fecero delle stime attendibili dalle quali risultò  che su 56mila domande presentate ben 36mila riguardavano lavoratori che, in mancanza del superincentivo, sarebbero andati in pensione. Solo 20.800 (che non sono comunque pochi) avrebbero continuato a lavorare. 

Dal canto suo la Ragioneria Generale dello Stato gelò l’ambiente riconoscendo a consuntivo la capacità dell’incentivo nel modificare le propensioni a proseguire l’attività lavorativa, ma avvertendo che i risparmi della misura, rispetto agli andamenti tendenziali a normativa vigente, furono stimati in circa 80 milioni di euro l’anno. Ma come abbiamo anticipato, applicando la norma Maroni  ad un caso di scuola (57 anni di età, 35 di versamenti e una retribuzione annua di 35mila euro) l’incentivo ammontava a 9.800 euro l’anno e a 29.400 euro nel triennio. Se quel lavoratore avesse optato per il rinvio avrebbe ricevuto una pensione di poco inferiore ai 19mila euro. Se avesse versato regolarmente i contributi per altri tre anni l’assegno sarebbe ammontato a 20.700 euro; in sostanza sarebbero stati necessari 16,5 anni per “pareggiare” il bonus contributivo e fiscale. Ovviamente è difficile individuare delle casistiche generali perché ogni caso vale per sé. È facile però comprendere da questa esperienza del passato che la politica degli incentivi lascia aperti parecchi problemi e ne risolve ancora meno. 

Il destino dell’aggancio automatico

Aleggia su queste anticipazioni una minaccia. Quale è il destino dell’aggancio automatico che il governo a riportato in vigore dal 1° gennaio di quest’anno? L’aggancio automatico all’attesa di vita è il meccanismo del sistema pensionistico italiano che lega l’età di pensionamento all’aumento della speranza di vita, un sistema che nel 2027 dovrebbe prevedere, secondo l’Istat, un aumento di tre mesi per i requisiti anagrafici e contributivi del pensionamento, ma che il governo sembra intenzionato a bloccare di nuovo per evitare un ulteriore slittamento dell’uscita dal mondo del lavoro. E questo meccanismo garantisce un’evoluzione sostenibile del sistema pensionistico.  Conferma questa esigenza anche il presidente dell’Inps Gabrile Fava in un’intervista a La Verità: “L’aggiornamento dei requisiti alle variazioni dell’aspettativa di vita consente di tenere sotto controllo la spesa pensionistica e l’equilibrio di sistema minato dalla transizione demografica. Questo non esclude che sia possibile un intervento per modificarne modalità applicative e tempistiche”.

Che dire a conclusione di questo excursus de jure condendo? Non si esce dalla maledizione che è sempre dietro l’angolo: quando si affrontano le regole del sistema pensionistico certe forze politiche e sindacali continuano a fare riforme all’indietro ovvero per tutelare  coloro che andranno in pensione domani e nei prossimi anni agitando il bau bau dell’età pensionabile senza curarsi dei trend demografici e dei rapporti tra le generazioni. Adesso anche delle esigenze del marcato del lavoro per la prima volta in crisi dal lato dell’offerta.

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