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Pensioni di garanzia per i giovani: la richiesta dei sindacati

Le parti sociali porteranno l’ipotesi al tavolo di confronto con il governo: l’obiettivo è integrare le pensioni future per garantire una pensione dignitosa anche a chi ha avuto carriere discontinue e retribuzioni basse

Pensioni di garanzia per i giovani: la richiesta dei sindacati

Si torna a parlare di pensioni di garanzia per i giovani. Il tema sarà portato dai sindacati al tavolo di confronto con il governo sulla previdenza. I rappresentanti dei lavoratori vorrebbero una riforma organica per aumentare in modo strutturale la flessibilità in uscita rispetto alle norme della riforma Fornero. Il capo del Governo ha già chiarito che le risorse per un progetto del genere non ci sono: nella manovra sono stati stanziati 600 milioni di euro per rendere meno ripido lo scalone che si crea con la scadenza di Quota 100. Niente di più.

L’esecutivo potrebbe però essere più disponibile a ragionare sulle pensioni dei giovani, perché il tema è delicato e richiede una visione prospettica. Come previsto dalla riforma Dini, chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1995 avrà l’intero assegno pensionistico calcolato con il metodo contributivo, che tiene conto solo dei contributi versati ed è quindi molto meno generoso del retributivo.

Se a questo si somma la discontinuità delle carriere dei giovani, caratterizzate spesso da retribuzioni basse e da buchi contributivi lungo la vita lavorativa, emerge con chiarezza che si sta innescando una bomba sociale. Fra qualche decennio, infatti, centinaia di migliaia di persone rischiano di ritrovarsi a vivere con pensioni da fame, pari a meno della metà della loro ultima retribuzione.

È proprio per disinnescare questo scenario che ormai da tempo si parla della possibilità di varare una pensione di garanzia per i giovani. Ovvero una misura che garantisca almeno ai pensionati di domani di non scivolare sotto la soglia di povertà dopo aver lasciato il mondo del lavoro. La Cgil ipotizza quindi di integrare tutte le pensioni future che non arriveranno a una soglia minima (che potrebbe essere, ad esempio, il 60% di un reddito medio).

L’integrazione, pagata dallo Stato, scatterebbe solo al raggiungimento dei requisiti di legge per andare in pensione (età più contributi o solo contributi). Si punta inoltre a valorizzare almeno una parte dei buchi contributivi accumulati nel tempo: quelli per studio, formazione, politiche attive, maternità, congedi per cura e salti tra un contratto e un altro.

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