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Pd, che altro deve succedere per capire che inseguire i 5 Stelle snatura l’identità e porta solo sconfitte?

La debacle in Molise è l’ennesima conferma che per il Pd l’inseguimento dei Cinque Stelle porta solo allo snaturamento e alla sconfitta. Se il Pd non si decide a dire con chiarezza che cosa vuole e solo dopo a cercare le alleanze sarà difficile invertire la rotta e insidiare la Meloni

Pd, che altro deve succedere per capire che inseguire i 5 Stelle snatura l’identità e porta solo sconfitte?

Una elezione amministrativa o regionale non può certamente essere equiparata a un’elezione politica generale, ma quando gli insuccessi si susseguono senza sosta forse il Pd dovrebbe porsi qualche domanda, anche se scomoda. La debacle del Molise segue di poche settimane quella del centrosinistra nelle amministrative di maggio, con le sole e non casuali eccezioni di Brescia prima e di Vicenza poi dove il Pd ha vinto senza l’assillo soffocante dei Cinque Stelle.

E’ vero quello che dice la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, secondo cui – laddove ci sia una legge elettorale tendenzialmente maggioritaria – “da soli non si vince” e serve costruire alleanze. Ma il punto cruciale è proprio questo: le alleanze sono il fine o sono lo strumento per vincere le competizioni elettorali e per governare? E sono la pregiudiziale di partenza o il punto di arrivo di una coalizione che diventa vincente per i suoi inconfondibili programmi e obiettivi?

Nel disperato tentativo di recuperare consensi a sinistra, è da anni che il Pd, soprattutto sotto la guida di Nicola Zingaretti prima e di Elly Schlein adesso, dà l’impressione di cercare un futuro solo inseguendo i Cinque Stelle, anche a costo di smarrire la propria identità e senza chiarire mai che cosa esattamente vuole e quali sono gli obiettivi per i quali chiede il consenso per costruire un’alternativa alle destre. Due fatti restano emblematici di questo lungo abbraccio mortale del Pd ai Cinque Stelle. Il primo fu quello in cui Zingaretti sfiorò il senso del ridicolo nel definire nel 2019 un trasformista come Giuseppe Conte come “un punto di riferimento fortissimo di tutte le forze progressiste”. Il secondo ce lo ha ricordato solo qualche giorno l’ex leader di Articolo 1, Roberto Speranza che ha avuto il coraggio di sostenere che per il Pd fu un errore aver mandato in crisi il Governo Conte 2. Ma dopo il Governo Conte 2 arrivò o no il miglior Governo degli ultimi decenni e cioè quel Governo Draghi i cui effetti economici e la cui credibilità internazionale non hanno pari? Fu davvero un errore aver sostenuto il Governo Draghi? Nessuna persona che conosca l’Abc della politica e che abbia sentimenti realmente progressisti potrebbe affermarlo, ma l’inseguimento dei Cinque Stelle fino ad annullarsi in un abbraccio mortale continua a portare fuori strada il Pd e a spingerlo su una linea populista e massimalista che fa a pugni con la storia e con la vocazione di grande partito popolare, nazionale e democratico di cui è erede. Il Molise basterà ad aprire gli occhi? Chissà. Ma finché il Pd non chiarirà quali sono i suoi reali obiettivi politici e programmatici e qual è la sua visione di società e finché non capirà che solo dopo e su queste basi andranno ricercate le alleanze – non solo a sinistra ma anche al centro – sarà difficile interrompere il ciclo di sconfitte e di delusioni che lo accompagna da tempo. Con grande gioia della Meloni. No, vecchio o nuovo Pd, così non va.

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