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Noera: “L’accordo di Bruxelles arriva tardi e può avere effetti pericolosi sulle banche italiane”

INTERVISTA A MARIO NOERA (Bocconi) – “L’accordo europeo arriva tardi e non è detto che sia sufficiente. Non basta l’ingegneria finanziaria per uscire dalla crisi. E il risanamento senza sviluppo non porta da nessuna parte. La ricapitalizzazione chiesta adesso alle banche rischia di avere effetti pro-ciclici e provocare il credit crunch”

Noera: “L’accordo di Bruxelles arriva tardi e può avere effetti pericolosi sulle banche italiane”

L’intesa di Bruxelles? “Arriva tardi. E temo che non sia sufficiente”. La lettera del governo italiano? “Un bluff. Le cose serie sono già state approvate, il resto mi sembra destinato solo ad infiammare le tensioni sociali”. Ma davvero non c’è una nota di speranza? “Il mondo si sta avvicinando, non so con quale velocità, ad una nuova Bretton Woods. Penso che la soluzione dei problemi trascenda la stessa dimensione europea”. Mario Noera, docente in Bocconi di diritto ed economia dei mercati finanziari, è convinto che la notte di Bruxelles abbia risolto i problemi solo a metà. Anzi ,le decisioni sulle banche “hanno un carattere schizofrenico e rischiano di avere effetti pericolosi per le banche italiane”.

Perché un carattere schizofrenico?

“Si è molto discusso in questi anni sugli effetti prociclici degli interventi sul capitale bancario. Già ai tempi della crisi del 2007/08 Basilea 2 ebbe questo effetto sui conti delle banche. Per questo esiste un’ampia letteratura sull’opportunità di agire in maniera opposta: rafforzare il capitale nelle congiunture favorevoli per creare un cuscinetto da usare nelle fasi più delicate. In realtà alla prima emergenza, questi buoni consigli sono stati dimenticati”.

Il risultato?

“Sarà senz’altro pro ciclico. Innanzitutto avrà effetti sui titoli di Stato perché le banche dovranno in pratica disfarsi di parte del magazzino. Ma a questo può porre rimedio l’impegno delle istituzioni comunitarie se si impegnano a sostituire le banche negli acquisti di titoli. Esiste poi un problema di difficile soluzione sul piano degli assetti: le Fondazioni non sono certo nelle condizioni di far fronte ad operazioni sul capitale di quest’entità”.

Per non parlare del credit crunch. Il direttore generale della Confindustria, Giampaolo Galli, ha già lanciato l’allarme.

“Il pericolo era già reale. Ora lo è di più. C’è un altro effetto: si crea un eccesso di offerta di titoli bancari in un momento in cui i mercati sono restii a nuovi acquisti”.

Il rischio, per paradosso, è che invece di offrire garanzie si rischia di aggravare la crisi. E’ così?

“In realtà non era facile trovare meccanismi alternativi a quello adottato se si voleva puntare sui parametri di mercato. Purtroppo siamo di fronte ad ambiguità che si pagano: da una parte si vuol dar vita ad un ombrello di garanzia, dall’altra si rischia l’effetto opposto basandosi su dati influenzati dall’andamento del ciclo”.

C’è una lezione da trarre?

“La fiducia dei mercati non si conquista solo grazie all’ingegneria finanziaria. Per carità, ci vuole anche questo. E’ stato effettuato un intervento necessario sui conti delle banche che ha scongiurato, per ora, che da quel versante arrivasse una crisi sistemica. Ma in assenza di una strategia che dia vita ad una costruzione geometrica che stia in piedi, si rischia solo di aver messo in piedi un’equazione algebrica”.

In che senso?

“Si può ottenere lo stesso risultato sia che si alzino i requisiti per i più deboli ovvero se si abbassano quelli dei più partner più solidi”.

Insomma, l’iniezione di quattrini nel fondo da sola non garantisce la solidità del sistema. Che fare allora?

“Per raggiungere questo risultato occorre rafforzare la governance dell’economia, il punto di partenza per avviare una politica della crescita che manca un po’ in tutta Europa. Per far questo occorre affrontare il tema dell’armonizzazione della politica fiscale. In assenza di compensazioni sul fronte dello sviluppo, una politica di risanamento non porta da nessuna parte: i tagli vanno compensati con provvedimenti ad hoc nei settori che hanno potenzialità di crescita”.

In assenza di questo, quindi, la ripresa innescata dai provvedimenti di stanotte rischia di essere di breve durata?

“Abbiamo visto i problemi legati alle scelte sulle banche. Vedremo l’efficacia degli strumenti di ingegneria finanziaria emersi dal vertice. In parte poi si tratta di strumenti assicurativi, in parte possono essere assimilati alla famiglia dei cdo. Di sicuro, ci vuole ben di più dell’ingegneria finanziaria per ridare fiducia ai mercati”.

Una proposta?

“La mia opinione è che ci voglia un governo europeo dell’economia in cui spetti solo alla Ue l’emissione dei bond. Ma da questo obiettivo siamo molto lontani. E non è detto che ci si fermi lì”.

Cioè?

“Io credo che si avvicini l’ora di una nuova Bretton Woods. La lezione di questi giorni è che esiste una forte volontà internazionale, sia dentro l’Europa che fuori, per evitare che l’euro sia mandato alla deriva Per questo credo che si arriverà ad una soluzione complessiva cui parteciperanno i creditori, vedi la Cina, che non hanno alcun interesse alla dissoluzione dell’euro” .

Ma questo implica una perdita di sovranità europea?

“In parte. Io credo che questo processo debba essere mediato dalle istituzioni internazionali, ovvero dal Fondo Monetario. Credo che gli interventi finanziari suill’area euro saranno gestiti attraverso l’Fmi”.

In tutto questo c’è la lettera di impegni del governo italiano. Come la giudica?

“Un bluff. Le proposte più serie sono già legge. E le altre sono impossibili. Anzi, molto pericolose sul piano politico. Credo che il governo si stia preparando a scaricare la reponsabilità del fallimento sulle opposizioni per puro calcolo elettorale”.

Ma le richieste arrivano dall’Unione Europea. O no?

“Io penso che sia giusto chiedere più flessibilità nel lavoro, compresa la libnertà di licenziare. Ma questo deve avvenire nel quadro di una politica di forte incentivazione fiscale e contributiva concentrata nelle nuove attività economiche. Così può funzionare. Ma non credo che un governo con due voti di maggioranza, osteggiato dal suo ministro dell’Economia, possa fare la politica che non ha fatto quando aveva una maggioranza di ottanta voti”.

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