Condividi

Napoli: la scuola specchio della crisi

La scuola come elemento di sviluppo nell’antica capitale del Sud. Le proposte del Movimento di Cooperazione Educativa per un ecosistema della formazione. Le responsabilità delle classi dirigenti.

Napoli: la scuola specchio della crisi

Napoli laboratorio e frontiera della nuova scuola tra le città che vanno al voto. “La scuola in presenza è il segno più evidente della ripartenza dell’Italia” ha detto il Presidente Sergio Mattarella all’inaugurazione dell’anno scolastico a Pizzo Calabro. Ma non sempre si riparte dappertutto e allo stesso modo. La circostanza dell’avvio del nuovo anno vede Napoli come sede sperimentale nazionale di un coinvolgente percorso. Sostenibile e unico nel panorama dell’istruzione italiana. Un percorso che guarda al riscatto di una città afflitta da mali storici alla viglia di una tornata elettorale decisiva per il suo futuro di grande metropoli. E’ certamente una città che deve avere maggiore riguardo per le sue scuole. Saper organizzare spazi e tempi adatti allo sviluppo, all’economia, alla crescita dei suoi ragazzi per trattenerli. Se – per citare ancora Mattarella – “la scuola è ossigeno della società e il suo funzionamento è lo specchio di quello del Paese” qui bisogna impegnarsi sul lato della dispersione e dell’abbandono, certamente, ma anche su quello delle strutture, sull’organizzazione sociale, sulla mobilità, sulle tecnologie.

Il Movimento di Cooperazione Educativa, Associazione di insegnanti ed educatori, da anni impegnata nel corpo vivo della città, se ne fa carico. Nell’ambito delle celebrazioni per i 70 anni dalla fondazione ha organizzato per sabato 25 settembre una giornata di studio su “Ecosistemi formativi e lotta alla dispersione e all’abbandono”. Un evento stimolante, con esperti e studiosi, patrocinato dal Ministero dell’Istruzione e che vuole riannodare i fili di un lavoro a favore dei più svantaggiati. Negli ultimi anni sono aumentati e per le più disperate ragioni. Se ne percepisce l’esistenza tutte le volte che si parla di percorsi scuola-lavoro, formazione, nuove professioni, ingresso nel mondo del lavoro. Sullo sfondo contraddizioni mai risolte, aggravate dall’inadeguatezza di classi dirigenti troppo sbrigative nelle decisioni. Si è davanti, insomma, ad un ecosistema formativo carente, che reclama buoni edifici, laboratori, ambienti adeguati, pulizia, partecipazione. Tutto aggravato dalla pandemia, dalla desertificazione industriale, allorché si è fatta più forte la necessità di riavvicinare i giovani allo studio, alle prospettive di lavoro. La qualità dello studio e la sensibilità politica come indici di una rinascita per la quale, guarda caso, è in campo come candidato sindaco anche l’ex rettore dell’Università Federico II, Gaetano Manfredi.

La decennale esperienza del MCE con lo sguardo alle tematiche ambientali ed allo sviluppo urbano, a Napoli vanta esperienze significative. Doposcuola ai baraccati, asili popolari, iniziative nei quartieri difficili, mentre il tessuto produttivo si impoveriva e le alternativa all’istruzione arrivavano da segmenti della società fuori dal controllo democratico. Cosa possono fare i docenti di questa organizzazione che nell’album di famiglia annovera pedagogisti come C. Freinet, docenti come A. Bernardini, A. Manzi ? La complessità del territorio è sintesi di varietà e contrasti, dicono gli organizzatori della giornata napoletana. Qui si parte con esperienze del passato che oggi offrono spunti di riflessione e analisi per progetti da sviluppare negli istituti scolastici, nelle Università, nella società civile. E’ soprattutto da quest’ultima che puo’ arrivare lo scatto in avanti. Imboccare “nuove piste di lavoro che possano contribuire ad una pedagogia popolare“ con nuovi metodi e tecnologie senza tralasciare i diritti. Perché “Non è mai troppo tardi” per imparare, diceva Alberto Manzi, storico esponente del MCE.

Commenta