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Mps: piano di salvataggio in 3 mosse

Il Cda della Banca si riunisce per discutere due temi fondamentali: le misure di rafforzamento in vista degli stress test Eba di fine luglio e il piano per la dismissione entro il 2018 di altri 10 miliardi di sofferenze – Ore cruciali per definire il ruolo dello Stato e l’esito del cosiddetto “burden sharing” – Titolo volatile in Borsa

Mps: piano di salvataggio in 3 mosse

Sono ore decisive per il futuro di Mps. In mattinata l’organo di vigilanza della Bce ha valutato il piano di ristrutturazione proposto dall’istituto. Sulla base delle indicazioni ricevute da Francoforte, nel pomeriggio il consiglio d’amministrazione della Banca senese si riunirà in via straordinaria per discutere due temi fondamentali: le misure di rafforzamento in vista degli stress test Eba di fine luglio e il piano per la dismissione entro il 2018 di altri 10 miliardi di sofferenze, da definire sempre entro fine mese su esplicita richiesta dell’Eurotower. A fine luglio, inoltre, la Banca dovrà approvare i conti del primo semestre. Per allora sarà definito ufficialmente il piano di salvataggio, che dovrebbe articolarsi in tre mosse.

1. LA DISMISSIONE DELLE SOFFERENZE

Per la cessione degli Npl (JP Morgan, Mediobanca e Quaestio sgr stanno lavorando alla maxi cartolarizzazione) prosegue la trattativa con il fondo Atlante, che ha ancora in cassa 1,7 miliardi e sembra faticare più del previsto a raccogliere nuovi fondi tra le banche. È verosimile che entrerà in gioco anche Atlante 2, fondo gestito sempre da Quaestio sgr che potrebbe vedere la luce in tempi brevi con la partecipazione della Sga e della Cdp.

Un nodo cruciale è il prezzo a cui saranno cedute le sofferenze, ancora incerto: dovrebbe aggirarsi intorno a 29-30% del valore nominale, ben oltre il 17% pagato alle quattro banche finite in risoluzione a fine 2015. In ogni caso, l’operazione comporterà ulteriori perdite per l’istituto, che quasi certamente sarà costretto a un nuovo aumento di capitale di circa 2-3 miliardi per coprire l’ammanco.

2. L’AUMENTO DI CAPITALE

La via del mercato consentirebbe sia l’intervento di un investitore sia la creazione di una cintura di sicurezza da parte delle principali banche italiane. Su questo fronte, si starebbero sondando alcuni istituti esteri per la costituzione di un possibile consorzio di garanzia.

Un’altra soluzione possibile è la garanzia di ultima istanza da parte dello Stato. Secondo fonti di Bruxelles, l’Italia avrebbe ottenuto il via libera alla deroga prevista in circostanze eccezionali dalle nuove regole sul meccanismo di risoluzione bancaria (direttiva Brrd), che consentono gli aiuti pubblici a banche solvibili nel caso in cui l’applicazione pedissequa del bail in metta a rischio la stabilità del sistema finanziario. L’intesa dovrebbe essere resa pubblica prima degli stress test del 29 luglio, in modo che la prevedibile bocciatura di Mps non dia luogo a una nuova tempesta in Borsa.

Rimane da chiarire se lo Stato potrà utilizzare a questo scopo parte dei 150 miliardi di garanzie già concessi da Bruxelles all’Italia, poiché si tratta di risorse che non possono essere impiegate per garantire azioni, ma solo obbligazioni convertibili.

3. IL “BURDEN SHARING”

Ma la deroga concessa da Bruxelles non sarà comunque una vera panacea, perché se il mercato non coprisse per intero l’aumento di capitale e lo Stato fosse costretto a intervenire, scatterebbe il cosiddetto “burden sharing”. Traduzione: le obbligazioni subordinate di Mps sarebbero azzerate. Per risolvere il problema, il progetto è fare in modo che Mps o in ultima istanza lo Stato riacquistino questi titoli senza valore. Non è ancora chiaro se questa misura di tutela sarà a beneficio dei soli risparmiatori retail (e, eventualmente, solo di quelli che hanno comprato i titoli sulla base di informazioni incomplete o scorrette) oppure anche di quelli istituzionali.

LA “SOLUZIONE INDUSTRIALE”

Il mercato non esclude poi che, al termine di questo processo, qualcosa possa cambiare nell’assetto di controllo di Mps. Intanto Ubi Banca, dopo aver negato l’intenzione di rilevare il gruppo senese, ha smentito anche le indiscrezioni su un suo possibile interessamento agli sportelli dell’ex Banca Antonveneta, operazione che avrebbe consentito a Mps di ridurre le esigenze di alleggerimento dei crediti difficili a circa 5 miliardi, dimezzando l’impegno di Atlante.

LA POSIZIONE DEL GOVERNO

Per quel che riguarda l’Esecutivo, il premier Matteo Renzi ha rinunciato al progetto di un decreto salva-Mps che avrebbe consentito l’ingresso dello Stato o della Cdp nel capitale dell’istituto, una soluzione ritenuta impopolare. Palazzo Chigi preferisce puntare sul mercato, come testimoniato qualche giorno fa da Pier Paolo Baretta: “Il Governo – ha detto il sottosegretario all’Economia – considera l’intervento pubblico come l’ultimo passo”.

IL TITOLO IN BORSA

Quanto al titolo in Borsa di Mps, continua a essere estremamente volatile: dopo essere scivolato in rosso a inizio seduta, è risalito fino a guadagnare il 4%, per poi riscendere e risalire nuovamente fino al +2,9% a fine mattinata.

“Confermiamo la nostra posizione neutrale sulle azioni Mps – scrivono gli analisti di Banca Imi – in attesa di un chiarimento sull’ammontare del fabbisogno patrimoniale potenziale dopo il piano di vendita degli Npl e lo stress test Eba”.

Banca Akros, invece, “vista l’incertezza su prezzo di vendita dei crediti deteriorati, nuovi requisiti Srep dopo la vendita e conseguente ammontare della ricapitalizzazione, nonché sulle modalità dell’aumento di capitale”, si dice “costretta a sospendere il rating sul titolo finché non sarà fatta maggiore chiarezza”. In base alle attuali indiscrezioni, inoltre, gli analisti hanno tagliato le stime di utile per azione 2016 da 0,05 euro a -0,84, lasciando invece inalterate a 0,19 euro quelle per il 2018.

Equita Sim, infine, sottolinea che “un aumento di capitale da 2-3 miliardi vista la capitalizzazione di Mps rappresenta un’operazione con elevato execution risk” e che “restano non chiari i termini di un eventuale garanzia pubblica e i relativi costi”.

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