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Monte dei Paschi, quante ipocrisie sullo spezzatino

Com’era prevedibile, la propaganda elettorale, alimentata soprattutto dalle forze più populiste, ha già preso di mira il progetto Unicredit-Mps, sparando a zero sul cosiddetto spezzatino della banca senese, ma fingendo di dimenticare che per ora sul tappeto c’è solo l’offerta del gruppo milanese e che di fronte agli ultimi stress test non si possono chiudere gli occhi

Monte dei Paschi, quante ipocrisie sullo spezzatino

Quando parla del Monte dei Paschi, la politica – e non solo il Pd, che nella Banca più antica d’Italia ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo – non è serena, perché sa di avere la coscienza sporca avendo fatto di tutto, ma proprio tutto, per spremerlo come un limone. Figuriamoci in piena campagna elettorale e a poche settimane dalle elezioni politiche a Siena. E infatti, non appena si è aperto uno spiraglio per una trattativa tra il Governo e Unicredit per la possibile cessione, a determinate condizioni, di buona parte (ma non di tutti) gli asset della dissestata banca senese al gruppo milanese, è cominciata la gara a chi la spara più grossa.

L’idea di dare addosso al Governo Draghi a poche settimane dalle elezioni politiche a Siena è irresistibile per molti (e non solo per chi sta all’opposizione), ma sarà difficile che la propaganda aiuti a rintracciare le soluzioni migliori per una Banca da anni in stato comatoso. Ed è superfluo rilevare che i campioni del populismo – dalla Lega a Fratelli d’Italia e ai Cinque Stelle – sono, come sempre, in prima fila nella finta difesa del Monte e nella corsa alla demagogia, che sembra contagiare anche forze, come il Pd, solitamente più ragionanti.

Chiedere che sulla trattativa Mef-Unicredit ci sia il massimo della trasparenza e che i lavoratori del Monte siano tutelati – si parla di 5-6 mila esuberi – attivando gli ammortizzatori sociali e soprattutto il benefico fondo esuberi bancari è ovviamente sacrosanto. Ma non è questo che è in discussione e che alimenta polemiche surreali e ipocrisie disarmanti. Il pomo della discordia, com’era prevedibile, è il cosiddetto spezzatino del Monte dei Paschi nell’ipotesi, già adombrata da Unicredit, che non tutti gli asset della banca senese passino al gruppo milanese, ma solo quelli che l’istituto guidato da Andrea Orcel riterrà interessanti e utili a rafforzare Unicredit senza pesare sul conto economico e sulla solidità patrimoniale. Il che vuol dire che Unicredit avanzerà la sua offerta soprattutto per le filiali Mps del Centro Nord, ma difficilmente potrà essere interessata alla sede centrale del Monte e alle sue filiali nel Sud.

Può dispiacere a Siena, ai suoi lavoratori e alle amministrazioni locali dove il Monte è presente, ma se non si vuole precipitare nell’ipocrisia e nella più insulsa demagogia, bisogna porsi tre interrogativi. Ineludibili. Avendo bene in mente che è il Tesoro che sta corteggiando Unicredit per concludere l’affare Mps e non il contrario perchè la banca milanese non spasima dal desiderio di accollarsi il Monte e ha altre alternative a disposizione.

Primo: conta qualcosa o è del tutto irrilevante che nel recente stress test europeo Mps sia risultata la peggiore delle principali 50 banche del Vecchio continente per la sua manifesta debolezza patrimoniale? È o non è un segnale che per il Monte non c’è più tempo da perdere se non si vuole assistere al default?

Secondo: è vero o non è vero che Unicredit è l’unica banca che si è fatta avanti per rilevare almeno una parte del Monte dei Paschi e che ad oggi non ci sono altre offerte in campo?

Terzo: nel caso, non augurabile, che la trattativa tra Mef e Unicredit non dovesse concludersi positivamente, quali sarebbero le alternative per una banca come Mps che, secondo gli accordi stipulati con l’Europa, deve essere privatizzata entro l’anno e non può usufruire di aiuti di Stato? Andare a Bruxelles con il cappello in mano chiedendo un’umiliante proroga all’uscita del Tesoro dal capitale di Mps? Immaginare improbabili poli bancari pubblici attorno a Mps obbligando ancora una volta a tutti i contribuenti – come per Alitalia – ad aprire il portafoglio per salvare una banca in stato pre-fallimentare e sfidando i veti di Bruxelles?

Sarà anche vero che lo spezzatino di Mps non è il paradiso ma, se si risponde con onestà intellettuale ai tre interrogativi esposti sopra, sarà difficile immaginare che esistano – non sulla luna, ma qui e ora – soluzioni più adeguate e sarà arduo negare che ancora una volta la ricerca del meglio (ma in questo caso si potrebbe dire del peggio) rischia, come sempre, di essere nemica del bene. A meno che non si addossi un conto ancora più pesante a Pantalone.

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