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Mondiali, vincere fa bene alla Borsa. Ma l’unica eccezione fu proprio il Brasile nel 2002…

L’analisi di Goldman Sachs dimostra che dal 1974 in poi tutti i Paesi che hanno vinto i Mondiali di calcio hanno avuto riscontri positivi sui mercati azionari, anche se solo nell’immediato: il boom tende a dissolversi nel trimestre successivo – Unica eccezione proprio il Brasile, che nel 2002 trionfò ma la crisi valutaria fu più forte di Ronaldo e soci.

Mondiali, vincere fa bene alla Borsa. Ma l’unica eccezione fu proprio il Brasile nel 2002…

Calcio e Borsa? Binomio vincente, soprattutto in occasione dei Mondiali. Lo certifica un’analisi di Goldman Sachs secondo la quale dall’edizione del 1974 a quella del 2010 (salvo quelle del 1978 e del 1986, vinte dall’Argentina, per le quali mancano i dati), il Paese che ha alzato la Coppa – e talvolta anche il Paese che ha ospitato la manifestazione – ha costantemente avuto ottimi, seppur soltanto nel breve periodo, riscontri sui mercati finanziari. Di media un +3,5% nel mese immediatamente successivo all’evento, anche se in molti casi dissolto nel giro di soli tre mesi. E al contrario, per ovvi motivi, la delusione per la sconfitta più bruciante ha spesso penalizzato l’andamento borsistico del Paese battuto in finale.

Nel grafico di Goldman Sachs spunta una sola eccezione: il Brasile nel 2002. In quel caso neanche le prodezze di Ronaldo (che fu capocannoniere e poi vinse anche il Pallone d’Oro) e compagni poterono compensare gli eventi macroeconomici di quel periodo: la profonda recessione e la crisi valutaria portarono la Borsa di San Paolo, che già aveva perso il 13% nel mese precedente il Mondiale, a perdere il 19% nei 30 giorni successivi e il 25,5% considerando il trimestre post Coppa.

Il Brasile però, nazionale calcistica più titolata al mondo e locomotiva economica del Sudamerica, è stato anche protagonista del più marcato boom mundial: nel 1994, quando vinse in finale contro l’Italia, influì sull’indice MSCI World per oltre il 21%, e andò a sfiorare il +40% nel trimestre successivo. L’Italia invece, sarà un caso, registrò in quell’estate un -8,5%. Così come a maggio del 1982 Piazza Affari perdeva il 7,2%, che dopo il trionfo mundial di Madrid diventò un roboante +9,5%, seppur immediatamente sgonfiato in un -11,1% nell’arco dei tre mesi.

Molto più contenuta la reazione dei mercati in occasione della vittoria di Berlino nel 2006: la Borsa di Milano piatta era il mese prima (-0,7%) e piatta rimase, guadagnando appena il territorio positivo con il +0,5%, confermato anche su base trimestrale. Nel periodo di tempo considerato, altre due nazioni hanno vinto due Mondiali: una è la Germania, che nel 1974 era anche Paese ospitante. In quegli anni i mercati tedeschi viaggiavano già bene, ma le imprese di Muller e compagni furono comunque una spinta, e l’unica – nei 40 anni presi in condiderazione da Goldman Sachs – a mantenersi nel lungo periodo: nell’anno successivo al Mondiale infatti, Francoforte guadagnò quasi il 22%. Più sobria invece la performance nel 1990, quando anzi i mercati rallentarono leggermente pur rimanendo saldamente positivi.

L’altra squadra bicampione è l’Argentina, sulla quale invece non si sa nulla di quando vinse, ma rappresenta l’unica eccezione di Paese che nonostante la sconfitta in finale viaggia bene in Borsa: proprio la finale di Roma del ’90, che tanto ferì Maradona e compagni, lasciò invece indifferenti i movimenti azionari, che presi dalla bolla guadagnarono il 33% nel mese successivo e quasi il 70% nei 12 mesi post Mondiali.

L’ultima edizione della Coppa è stata vinta dalla Spagna, la cui performance rappresenta al meglio la tendenza generale: nel trimestre precedente alla spedizione sudafricana del 2010 la Borsa di Madrid perdeva l’8%; nel trimestre successivo guadagnava il 4,5%; nell’anno successivo, definitivamente dissolto il brevissimo effetto Mundial, perdeva di nuovo il 14,7%. Il tempo di esultare, insomma, e poi i mercati – come è normale che sia – tornano alla realtà.

Per quanto riguarda i Paesi ospitanti, invece, come detto l’unico a registrare una prestazione borsistica di rilievo fu la Germania nel 1974. Ma in quell’occasione si aggiudicò anche la vittoria finale. Quindi il Brasile non si illuda: l’unico traguardo credibile agli occhi dei mercati è l’accoppiata organizzazione-vittoria finale. Intanto l’indice Bovespa di San Paolo, che a inizio torneo era risalito oltre i 55mila punti (ai massimi da metà ottobre 2013), è ora poco sopra i 53mila e ha perso solo negli ultimi cinque giorni il 2%. Sempre meglio del Ftse Mib, che guarda caso da quando l’Italia è stata eliminata dall’Uruguay, è in caduta costante da 7 giorni consecutivi.

L’analisi di Goldman Sachs 

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