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Meno lavoro e più rendite. Ecco da dove arrivano i redditi italiani. L’analisi dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani

Negli anni ’70 i redditi da lavoro costituivano più della metà di tutti redditi scendendo fortemente negli decenni successivi per poi riprendersi in parte negli ultimi anni. Ecco come sono cambiati secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani

Meno lavoro e più rendite. Ecco da dove arrivano i redditi italiani. L’analisi dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani

Da dove provengono i redditi degli italiani?

I redditi degli italiani non derivano solo dal lavoro dipendente, ma anche da fonti come l’attività imprenditoriale, gli investimenti finanziari, l’affitto di proprietà e altre attività che generano reddito. L’Osservatorio dei conti pubblici italiani guidato da Giampaolo Galli ha provato a dare una risposta analizzando il reddito percepito dagli italiani mostrando come questo si sia evoluto negli ultimi cinquant’anni.

Il reddito degli italiani

Negli anni ’70, più della metà dei redditi degli italiani proveniva dal lavoro dipendente. Oggi non è più così. La percentuale dei redditi da lavoro dipendente è aumentata fino agli anni duemila quando a terminato la sua crescita. Dopo il brusco calo è tornato negli ultimi anni a risalire senza tornare però ai livelli di prima.
Questo fenomeno si è verificato anche negli altri paesi, ma in Italia la percentuale di redditi da lavoro dipendente è sempre stata più bassa rispetto agli altri paesi. Più alta è, invece, la percentuale di lavoratori autonomi (19,6%) e i loro redditi rientrano nel calcolo dei redditi da capitale.
Importante peso alla quota dei redditi è dato dalle rendite immobiliari, cresciuto nel tempo, che oggi rappresenta il 12,7% del PIL.

L’analisi del Pil

Per spiegare bene i redditi l’Osservatorio analizza il Pil e come esso sia strutturato.
Il Pil (prodotto interno lordo), è la misura della ricchezza prodotta dall’economia in un anno e corrisponde al totale dei redditi distribuiti ai suoi componenti. Il Pil può essere considerato come un reddito aggregato ed è costituito da 4 elementi: redditi da lavoro dipendente, da capitale, imposte sulla produzione e sull’importazione e contributi alla produzione.

A-I redditi da lavoro dipendente comprendono le retribuzioni e i contributi sociali, escludendo i redditi da pensione
B– I redditi da capitale si distinguono in risultato lordo di gestione Rlg) e redditi misti. L’Rlg per le imprese sono i profitti, per le famiglie viene dal valore degli immobili. Il reddito misto include invece anche i redditi prodotti da ditte individuali, lavoratori autonomi e liberi professionisti
C– Le imposte sulla produzione e sull’importazione sono i prelievi obbligatori in denaro o di diversa natura effettuati dalla Pubblica Amministrazione nazionale (esempi di queste sono l’iva, i dazi o le tasse e imposte sul capitale
D– I contributi alla produzione rappresentano l’unica componente negativa, che va sottratta dalle imposte su produzione e importazione per ottenere il gettito netto per lo Stato relativo alla produzione interna.
Il Pil rappresenta la somma di tutte queste componenti PIL = a+b+(c-d).

L’evoluzione del reddito

Nell’analisi del reddito da lavoro dipendente e da capitale si devono considerare solo la somma dei due redditi (a+b) mentre gli altri due punti (C e D) rappresentano solo una variabilità. Nello studio viene evidenziato come dagli anni ’70 vi sia una marcata riduzione del peso del reddito da lavoro dipendente fino all’inizio del nuovo millennio. Dal 2000 ad oggi si registra un lieve incremento quasi 3 punti percentuali dal 42,7% al 45,9%. Invece, i redditi da capitale presentano un andamento speculare. Risulta quindi che dalla metà degli anni ’80 i redditi da lavoro sono stati meno della metà dei redditi complessivi che gli italiani hanno ricevuto in un anno.

Prendendo in esame il periodo analizzato 1995-2019 si confronta l’evoluzione dei redditi da lavoro e da capitale, escludendo dai redditi da capitale la quota che deriva dai cosiddetti “affitti imputati”. Questi affitti sono stimati dall’Istat come “il valore ipotetico del canone mensile che le famiglie che vivono in abitazione di proprietà, usufrutto o in uso gratuito o che sono proprietarie di un’abitazione secondaria, potrebbero ottenere affittando l’abitazione”.
La quota di PIL dovuta ai redditi da affitti è aumentata negli anni. Questo significa che la riduzione della quota di reddito da capitale, è stata più alta per il capitale al netto degli affitti imputati rispetto a quello al lordo. Il valore dei redditi da affitti è notevolmente cresciuto raggiungendo circa il 14% del Pil.

In Italia, dal 2000 al 2007 c’è stata una crescita elevata del patrimonio immobiliare e dei canoni di locazione, superiore a quella del totale dei redditi. Dopo la recessione del 2008, il valore delle abitazioni si è ridotto ma gli affitti effettivi, a cui sono legati quelli imputati, hanno continuato a crescere a causa della segmentazione dei mercati delle locazioni e del forte sviluppo di nuove forme contrattuali. Questo, insieme alla stabilità del reddito italiano, ha permesso di mantenere la quota più elevata delle rendite immobiliari sul totale dei redditi. Escludendo gli affitti imputati, reddito capitale e lavoro hanno avuto la stessa percentuale nell’ultimo decennio, con un lieve incremento (dal 2008 in poi) della componente dovuta al lavoro.

La ripresa dei redditi da lavoro dipendente avviene a partire dagli anni duemila. Le esatte dimensioni dipendono dalla definizione dei diversi aggregati di reddito, come la distinzione fra pubblico e privato, l’inclusione del reddito dei lavoratori autonomi e la scelta del denominatore. Secondo Banca d’Italia, considerando solo i dipendenti del settore privato e si aggiunge ai loro redditi una stima dei redditi dei lavoratori autonomi, la quota di valore aggiunto attribuita al lavoro nel settore privato ha raggiunto i livelli degli anni ’70 nel 2015.

L’andamento del reddito da lavoro

In Italia, dalla fine degli anni ’70 fino ai primi anni 2000, la quota dei redditi complessivi destinati ai lavoratori è diminuita per poi rialzarsi senza, però, raggiungere i livelli iniziali.
Una tendenza presente non solo in Italia ma valida anche per molti altri paesi europei avanzati.

Sono gli elementi strutturali, comune nei paesi sviluppati, che hanno influenzato la distribuzione funzionale dei redditi nella stessa direzione. Su quali siano i fattori determinanti però c’è molto dibattito senza però una letteratura economica concorde.

Possibili spiegazioni sono per esempio il progresso tecnologico, l’automatizzazione di alcune mansioni, la partecipazione alle catene globale del valore, le diverse regolamentazioni del mercato del lavoro e gli investimenti dall’estero.

Nel nostro paese, la quota di redditi derivanti dal lavoro sul totale dei redditi percepiti è inferiore rispetto ad altri paesi europei a causa di una minore partecipazione al mercato del lavoro data dall’invecchiamento della popolazione. Gli “altri redditi”, invece, giocano un ruolo più rilevante nella distribuzione complessiva dei redditi rispetto agli altri paesi Ue.
L’evoluzione dei redditi da lavoro rispetto al totale dei redditi varia tra i paesi, ma con un trend simile. Ci sono stati una riduzione significativa dal 1995 al 2007, un aumento durante la grande recessione, e poi una riduzione più accentuata in Italia rispetto ad altri paesi tranne la Spagna. Tuttavia, negli ultimi anni i redditi da lavoro sembrano riprendersi in tutti i paesi.

Qui per scaricare l’analisi nel dettaglio.

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