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Mauro Rosati, Qualivita per l’eccellenza del Made in Italy

Un bilancio sull’azione svolta dalla Fondazione Qualivita per promuovere in Italia e all’estero le Dop e IGC, espressione di genuinità del nostro territorio sui mercati esteri. Ma anche su sagre paesane c’è da lavorare.

Mauro Rosati, Direttore Generale di Qualivita, la Fondazione nata nel 2002 con lo scopo di valorizzare il settore agroalimentare di qualità e quindi le produzioni DOP, IGP e STG, diventata in questi anni punto di riferimento internazionale nel settore dei prodotti a indicazione geografica, è uno dei maggiori esperti del mondo agroalimentare italiano grazie a una lunga esperienza legata alle istituzioni.

Giornalista, esperto di politiche agricole ed agroalimentari, curatore di rubriche periodiche su stampa e televisione nazionale,  collaboratore Rai per Linea Verde e consulente di Occhio alla Spesa e di Linea Verde Orizzonti. si è impegnato in molteplici le attività come l’Atlante Qualivita Food&Wine, il Rapporto Ismea-Qualivita, la banca dati online Qualigeo.eu, Treccani Gusto, l’iniziativa Valorizzazione Sistema DOP IGP HO.RE.CA. con la collaborazione di McDonald’s Italia e molto altro ancora.

Il suo è quindi un osservatorio privilegiato per considerare in che stato di salute versi il comparto italiano delle Indicazioni Geografiche.

“È uno stato di salute sicuramente buono, afferma, il comparto rappresenta oggi la punta di diamante non solo del settore agroalimentare ma di tutta l’economia italiana. Un biglietto da visita in grado di rendere merito all’Italia che produce, una rappresentazione genuina e forte dei nostri territori, emblema della qualità che da sempre contraddistingue il Made in Italy”.

Ormai sono tanti anni che si occupa di IG. E un giudizio sul settore su quanto è stato fatto  e quanto è mancato per un per percorso ancora più performante del settore, è sostanzialmente positivo, sia pure con qualche riserva.

“Paradossalmente, dice,  al contrario di altri comparti che reclamano un ritardo della politica, questo settore, a livello nazionale e soprattutto europeo, ha goduto di un’ottima politica, per certi versi lungimirante. È mancata invece una visione agricola imprenditoriale, sono mancati i grandi imprenditori o sono arrivati un po’ in ritardo. Credo però che questo gap possa essere colmato, come dimostrano gli importanti investimenti fatti da diverse aziende negli ultimi anni. Un caso interessante è ad esempio l’aceto balsamico, un prodotto che può guardare all’export in maniera convinta e diventare globale. Casi del genere possono far da traino e rappresentare un bene per l’intero settore agricolo e per l’economia nazionale”.

Viene lecito domandarsi, come fa qualcuno, se le IG italiane sono troppe, se il numero è quello giusto. Per Rosati bisogna fare delle distinzioni: “Ci sono IG con valori economici importanti, fatturati rilevanti, che per questo necessitano di attenzioni particolari, di procedure snelle, per star dietro ai mercati, soprattutto internazionali, e ai problemi che oggi l’agricoltura, causa clima e quant’altro, si porta dietro. E questo è il livello di punta. Ci sono poi soggetti che pur avendo una massa critica poco rilevante, per storia, tradizione, qualità e passione meritano comunque il riconoscimento IG. Ci sono infine situazioni dove non c’è una base produttiva interessata a fare produzione certificata ed è in questo caso che le IG non avrebbero ragione di esistere. Parliamo ad ogni modo di 20 o al massimo 30 IG”.

Al  merito del direttore di Qualivita  va ascritto il fatto di essere stato uno dei pochi che sia riuscito a creare un concetto di “rete” in un settore che presenta diverse anomalie.

“I consorzi, così come li conosciamo noi – sostiene – esistono solo in Italia e questo già ci pone in un’ottica molto diversa rispetto alle altre nazioni. Quindi da questo punto di vista i consorzi rappresentano una punta di diamante importante per il funzionamento e il successo del sistema. Poi che si possa e si debba far di più va da sé. Ma se analizziamo i casi che ci sono in Italia, anche nel mondo del vino, è facile constatare come le IG esistano laddove ci sono consorzi che funzionano bene; altrimenti ci troviamo davanti a qualche azienda che prova a trainare il resto, ma così facendo viene meno l’effetto di sviluppo rurale di un territorio”.

Quasi venti anni di impegno lungo una strada con lo sguardo sempre in avanti non sono pochi. Ci sono stati indubbiamente momenti molto gratificanti che hanno fatto pensare “ok, siamo sulla strada giusta”.

Uno di questi può essere individuato in occasione della presentazione di Qualigeo, nel 2006 quando un gruppo di contadini del casertano vennero a Roma portando le mele annurche per le quali avevano appena ottenuto la certificazione IGP. “Piccoli produttori che, ricorda con soddisfazione, insieme ai vertici del proprio consorzio, mi dissero: “Guarda Mauro, uno dei motivi per cui oggi siamo riusciti ad avere la IGP è perché, dopo tante iniziative fatte in questi anni, abbiamo capito grazie a Qualivita quale fosse la strada giusta da perseguire”. E quel segnale, da quel territorio difficile, fatto da piccoli produttori, è stato il più grande ringraziamento, la più grande emozione chi io mi ricordi in questi 18 anni di lavoro”.

Questo per il passato, ma altri programmi sono in calendario, e qualche progetto è ambizioso così come lo fu quando partì l’avventura di Qualivita. “Nel calendario di Qualivita – preannuncia –  c’è la voglia di riuscire a connettere le varie progettualità turistiche dei consorzi in un’ottica di sistema. Il sistema turistico italiano ha bisogno di prendere le distanze da una serie di rappresentazioni legate all’enogastronomia che sono dei falsi storici, come ad esempio molte sagre. Solo alcune di queste infatti possono dirsi veritiere, legate ai prodotti, con fini culturali e didattici. La mia idea, anche nell’ottica di trasformazione del Mipaaf in accorpamento al turismo, è quella di portare Qualivita a essere il soggetto che mette insieme il mondo turistico delle IG, l’accoglienza, la vendita diretta e tutte le progettualità nate in questi anni, da quelle ideate dal mondo del vino, che è stato il primo, a tante altre iniziative messe in piedi dai consorzi (caseifici aperti, acetaie aperte, etc.). Rilegare quindi in un unico progetto il turismo esperienziale e i prodotti, dando al tutto profondità e distinguibilità”. 

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