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Made in Italy, il Coronavirus affonda anche l’export

Nonostante la lieve crescita nei primi due mesi dell’anno, italiano è stimato in calo del 5,1% nel 2020 perchè le ripercussioni della pandemia si protrarranno nel tempo: le misure per il contenimento del contagio hanno bloccato gran parte delle attività produttive, mentre a livello globale è crollata la domanda di beni e servizi.

Made in Italy, il Coronavirus affonda anche l’export

Come riporta la SACE, a gennaio l’export è tornato a crescere rispetto al mese precedente (+2,7%): si conferma l’andamento positivo di alcuni settori (abbigliamento, alimentari) e geografie (USA, Giappone, Svizzera). Il primo impatto del Coronavirus sulla domanda dei partner commerciali è visibile in parte nell’export verso la Cina (-11,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente). A febbraio 2020 si stima un saldo commerciale pari a 5.096 milioni di euro, in forte aumento tendenziale (3.420 mln a febbraio 2019). In crescita soprattutto l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici (da 6.484 mln a 7.733 mln).

Continua la debolezza della domanda proveniente dai Paesi UE, al di sopra della media troviamo solo Belgio (+16,8%), Paesi Bassi (+7,9%), Polonia (+5,7%) e Francia. Negativa la performance in Germania, Austria, Romania e Rep. Ceca. Giappone (+33%), USA e Svizzera (+4,3%) continuano a chiedere Made in Italy, accompagnate dai buoni risultati verso Africa Subsahariana (+37,9%), Paesi Opec (+16%) e Turchia (+35,1%). In negativo oltre alla Cina, Nord Africa e India. L’export italiano verso la Germania, primo mercato di destinazione delle esportazioni italiane, è in contrazione del 2,5%, a causa della performance di macchinari e gomma-plastica, mentre crescono gli autoveicoli. In Francia e USA, rispettivamente seconda e terza destinazione del Made in Italy, crescono alimentari e bevande, abbigliamento, mezzi di trasporto e mobili. Di segno opposto, invece, la  farmaceutica: in contrazione oltreoceano (-21,8%), in crescita oltralpe (+16%); a febbraio si stima un modesto incremento congiunturale delle vendite verso i mercati extra-UE pari a +0,6%, mentre si registra un più ampio rallentamento delle importazioni che rilevano un calo del -6,6%. Nello stresso periodo, per l’area extra-Ue al netto del Regno Unito, si stima un aumento delle esportazioni di +0,8% su base mensile e +7,8% su base annua, mentre le importazioni registrano ampie flessioni sia su base mensile (-7,2%) che annuale (-3,7%). Il saldo commerciale risulta pari a + 3.909 mln.

Tra i raggruppamenti principali di industrie, i beni di consumo si confermano anche nel primo mese del 2020 i più dinamici, grazie principalmente a beni non durevoli (+4,8%), con segnali incoraggianti che arrivano anche dai beni di consumo durevoli (+4%). Non altrettanto buona la dinamica dei beni intermedi che fanno seguire, a una debole crescita nell’anno passato (+0,9%), una flessione. La farmaceutica nel suo complesso rallenta a gennaio (+25,6% nel 2019), ma avanza in Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Turchia, Giappone e Paesi Asean. Queste ultime tre destinazioni, con l’aggiunta di Cina, Russia e Mercosur, sono tutte risultate favorevoli oltre i confini del mercato comune per alimentari e bevande. Gli autoveicoli hanno registrato risultati più altalenanti, condizionati dal -8% dell’anno scorso: in forte crescita tra Opec, Asean, Mercosur, Giappone, Turchia e Svizzera, ma in contrazione in Cina, Regno Unito, Rep. Ceca e Spagna. In febbraio la lieve crescita delle esportazioni su base mensile è da condurre principalmente all’aumento delle vendite di beni strumentali (+4,5%), mentre calano nei comparti di energia (-16,0%) e beni intermedi (-2,5%). Per quanto riguarda le importazioni, le categorie che registrano una maggiore diminuzione congiunturale degli acquisti dai Paesi Extra-UE sono: energia (-15,8%), beni strumentali (-4,8%) e beni di consumo non durevoli (-4,5%); in crescita solo i beni di consumo durevoli (+3,4%).

Tutto questo riguarda l’inizio dell’anno, ma da quando il virus ha cominciato la propria diffusione nel febbraio 2020, si è assistito a un repentino crollo sia della domanda che dell’offerta; da un lato, le misure attivate per il contenimento del contagio hanno costretto a bloccare gran parte delle attività produttive, dall’altro, si è assistito a una drastica diminuzione della domanda di beni e servizi, sia a livello nazionale che dall’estero. Le previsioni del CSC (Centro Studi Confindustria) si basano sull’ipotesi di una graduale riapertura del comparto manifatturiero. Tuttavia, anche se si dovessero verificare queste ipotesi, il Pil nazionale registrerebbe una frenata di circa il -10% nel secondo trimestre 2020 rispetto a fine 2019, mentre la ripartenza da inizio luglio vedrebbe non poche difficoltà con una domanda interna drasticamente ridotta (-6,8%). Per l’anno in corso l’analisi stima un crollo complessivo del Pil del -6%; in caso contrario, le stime andrebbero riviste al ribasso, comunque il rallentamento sarà peggiore rispetto a quanto registrato in piena crisi economica nel 2009. Basti pensare che ogni ulteriore settimana di blocco delle attività produttive costa circa lo 0,75% del prodotto interno lordo. Oltre alla frenata della domanda, ulteriore effetto della crisi in atto sarà la ricomposizione del paniere, che vedrà sfavoriti settori come abbigliamento, trasporti, servizi ricreativi e di cultura, le strutture ricettive e della ristorazione.

Tra le componenti maggiormente negative nel 2020, nello studio si evidenzia il crollo degli investimenti da parte delle imprese, a causa dall’attuale incertezza e dal lento recupero della domanda che si prospetta per il futuro. Per quanto riguarda l’export, anch’esso subirà importanti cali, stimati per il 2020 a -5,1% rispetto al 2019, come conseguenza della frenata degli scambi commerciali che, verosimilmente si rileverà su scala globale. Ulteriore minaccia è rappresentata dalla possibilità che altri Paesi esteri possano avvantaggiarsi delle attuali difficoltà del Made in Italy, sottraendo quote di mercato alla manifattura italiana. Se prendiamo in considerazione il fatto che dall’industria arriva circa un terzo degli occupati totali nel nostro Paese e circa la metà degli investimenti per la crescita, ecco allora che Confindustria ha presentato una serie di proposte per il mantenimento del tessuto economico in vista della fine dell’emergenza sanitaria, tra cui: un piano anti-ciclico straordinario finanziato con fondi comunitari; interventi per il sostegno finanziario delle imprese di ogni dimensione; strumenti di moratoria e sospensione delle scadenze fiscali e finanziarie; semplificazione amministrativa per rendere subito effettiva l’azione di politica economica. La tenuta del sistema produttivo italiano e la sua conseguente ripresa dipendono dal grado di resilienza che lo stesso sarà in grado di dimostrare durante la crisi.

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