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L’Italia diventa laboratorio di populismo, ma i mercati non perdonano

L’Italia è il maggior Paese europeo guidata da un Governo che si dichiara pubblicamente populista e anti-sistema e può fare da polo di attrazione per le tendenze regressive nel Vecchio continente e nel mondo ma c’è un convitato di pietra con cui fare i conti ogni giorno

L’Italia diventa laboratorio di populismo, ma i mercati non perdonano

“Ci mettiamo al lavoro per creare lavoro. Al lavoro per chi non ce l’ha, per chi l’ha ma non ha dignità, per chi oggi lo dà, come gli imprenditori, per chi in questo Paese lavora da una vita e deve ancora andare in pensione”. Così parlò Zaratustra. Il governo guidato da un professore e da due studenti fuori corso, nel giorno stesso del giuramento, ha mandato un segnale – sia pure cifrato – per quelle che saranno le sue prime mosse: in pratica, cercherà di smontare le riforme del lavoro e previdenziali realizzate nel corso delle due ultime legislature.

Poco importa che il tasso di occupazione stia recuperando i livelli pre-crisi. Secondo il Rapporto Istat 2018 in Italia, nel 2017 è continua la crescita sostenuta del numero di occupati, 265 mila (+1,2 per cento), che ha riguardato in particolare le donne (+1,6 per cento contro +0,9 degli uomini). Nel 2017 il riavvicinamento del numero di occupati ai livelli del 2008 è stato realizzato esclusivamente dalla componente femminile, 404 mila unità in più, mentre gli uomini hanno fatto registrare un deficit di 471 mila unità. L’incremento tendenziale ha interessato tutte le aree del Paese, mentre il Mezzogiorno è rimasto – unica ripartizione geografica – con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila unità, -4,8 per cento).

Nel 2017 è proseguito anche, per il quarto anno consecutivo, l’aumento del tasso di occupazione, che si è attestato al 58,0 per cento (ad aprile 2018 vi è stato un ulteriore incremento dello 0,3%): un valore, tuttavia, ancora lontano dalla media Ue, soprattutto per la componente femminile. Ma gli “avvocati del popolo” si propongono di assistere i loro clienti anche da ciò che loro viene soltanto percepito. Così Luigi Di Maio – a capo di un conglomerato ministeriale che tiene insieme sia il Lavoro (con annesse politiche sociali) sia lo Sviluppo economico – non si accontenta di implementare l’occupazione, ma vuole anche combattere il lavoro “che non ha dignità”, di cui il neo-ministro ha una particolare esperienza di carattere personale. Quindi più posti di lavoro, con rapporti stabili e in pensione prima: sarà due volte Natale e festa tutto l’anno. Ma quali misure saranno in grado di compiere un siffatto prodigio?

A parte l’introduzione di un salario minimo legale per i casi non coperti da contrattazione collettiva, il ripristino dei voucher, il taglio del cuneo fiscale e contributivo, la lotta alla precarietà resta confinata nel vago: “Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà, causata anche dal “jobs act”, per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro”. Parole, parole, parole, che lasciano intendere di più o di meno di quello che, a seconda dei punti di vista, ci si potrebbe attendere. Molto più definita è la posizione in tema di pensioni (quota 100 o 41 di versamenti a prescindere dall’età anagrafica); non si comprende, tuttavia, che cosa succederà per quanto riguarda il trattamento di vecchiaia e l’aggancio automatico all’incremento dell’attesa di vita. Probabilmente la risposta vi sarà quando verranno resi noti i nomi dei vice ministri e dei sottosegretari e se al Lavoro approderà Alberto Brambilla, l’ideologo della Lega in materia di previdenza, le cui proposte sono note.

Le carte saranno scoperte al momento (ormai prossimo) della presentazione del Def; e comunque i primi provvedimenti saranno inclusi nel disegno di legge di bilancio per il 2019. Se comincerà dalla revisione del jobs act e dallo stop alla riforma Fornero delle pensioni, il governo giallo-verde (si continua a chiamarlo così anche se adesso il simbolo della Lega è di colore blu) metterà in forte imbarazzo le opposizioni, rendendo ancor più difficile il loro compito. Esiste una liaison dangereuse tra un’area consistente della sinistra politica e sindacale e il M5S; la stessa che intercorre tra il dr. Jekill e Mister Hyde. Il celebre medico, nel libro di Robert Stevenson, è costretto a trasformarsi in un personaggio amorale e violento allo scopo di poter soddisfare – in epoca vittoriana – una propensione sessuale sadomasochista che non è in grado di praticare con la fidanzata.

Fuor di metafora, il M5S e la Lega possono permettersi di fregarsene del rigore di bilancio, delle riforme del mercato del lavoro e dei sistemi del welfare, mentre alla sinistra di governo è precluso di esprimersi liberamente – pur covando simili impulsi nel dna – nella buona società dove è riuscita ad approdare dopo decenni di emarginazione (e che adesso le volta le spalle). Ecco perché, il Pd si troverebbe in serio imbarazzo davanti alla manomissione della riforma del 2011, alla istituzione del reddito di cittadinanza e a quant’altro di fantasioso sta scritto nel contratto. Per dovere di obbiettività si deve ammettere che neppure per Forza Italia sarà facile contrastare iniziative da “killing me softly” per questo povero Paese.

Potrà sembrare antipatriottico, ma la nostra unica speranza poggia sui mercati. Saranno loro – ancor prima di una sgangherata Ue – a punire iniziative “sfasciste” del nuovo governo. Ma sarà comunque un percorso duro e difficile, da cui potranno scaturire reazioni ancor più devastanti. Il problema non è il governo, ma il Paese. Non si deve guardare il dito, ma la Luna. L’iniziativa che ha condotto Giuseppe Carneade Conte a Palazzo Chigi non è un incidente della storia, una deviazione dal percorso consueto: rappresenta l’Italia di oggi, un Paese che ha come ministro degli Interni un alleato di Marine Le Pen e che è il leader di un partito dato dai sondaggi in accelerata crescita.

Hanno ragione i Castore e Polluce de noantri: è intervenuto uno smottamento profondo nella società italiana, sono stati ribaltati valori che ritenevamo consolidati, ci siamo abituati a bere l’acqua dei pozzi avvelenati dall’odio, dell’antipolitica e dalla invidia sociale. Un Paese abituato a riconoscersi soltanto nella Nazionale di calcio (Winston Churchill diceva che l’Italia combatte le guerre come se fossero partite di calcio e queste ultime come se fossero guerre), si è scoperto sovranista, circondato da nemici, oppresso dalle demoplutocrazie, rinchiuso nel campo di concentramento dell’euro, desideroso di affermare il primato dell’interesse nazionale con la medesima foga con cui la “buonanima” rivendicava uno “spazio vitale”.

L’Italia è ritornata a svolgere una funzione da laboratorio di involuzioni politiche: un secolo fa diede i natali al fascismo, oggi li sta dando a coalizioni antisistema (né di destra né di sinistra perché sono contemporaneamente di destra e di sinistra) che faranno da punto di riferimento per fenomeni analoghi diffusi più o meno in tutti i Paesi (e, perché no?, a partire dagli Usa). Non a caso

Steve Bannon, l’ideologo di Trump, è venuto ad osservare da vicino e con interesse questa esperienza perché – sono sue parole – è il primo ed unico caso in cui i populismi di destra e di sinistra si sono alleati, costituendo un fronte invincibile. Del resto, se in Francia l’anno scorso, si fosse votato con una legge simil-Rosatellum, considerando le comuni istanze programmatiche e la medesima base di consenso, forse oggi sarebbe al potere un’alleanza tra Marine Le Pen (nonostante le radici del Front National nel regime di Vichy) e Jean-Luc Mélèncon. In sostanza, non sono del tutto e per sempre sventati i rischi di tornare alle tristi passioni che portarono, nel cuore del Vecchio continente, a due guerre mondiali durante il “secolo breve”.

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