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“L’Europa è sulla via giusta ma oltre al Covid occhio al clima”: parla Noera

INTERVISTA A MARIO NOERA, docente di Intermediari finanziari della Bocconi – “La Bce ha due anime, quella monetaria e quella della vigilanza, ma finalmente l’Europa ha rialzato la testa, abbandonato l’austerità e compreso l’importanza della politica fiscale”- “Con i vaccini riprenderemo la crescita, ma attenzione all’emergenza ambienatle”

“L’Europa è sulla via giusta ma oltre al Covid occhio al clima”: parla Noera

Dai problemi delle banche ai tempi della pandemia alla rivincita di Keynes. Dalla riscossa dell’Europa alle lezioni che ci arrivano dalla Cina. Nella convinzione che “presto ci accorgeremo che la questione climatica pone al mondo una minaccia più grave del Covid-19”, che richiederà una mobilitazione epocale delle risorse. Un’emergenza che fa passare in secondo piano il rischio dell’inflazione. “Corressimo oggi questo pericolo, vorrebbe dire che abbiamo scongiurato rischi più gravi”. Una conversazione con Mario Noera, docente all’Università Bocconi di Economia degli Intermediari Finanziari, consulente aziendale nonché membro del Comitato esecutivo di Bper Banca, è come sempre l’occasione per andare al di là della cronaca dei mercati, alla caccia delle dinamiche della finanza e dell’economia di oggi e, soprattutto, di quella che verrà. Con una nota d’ottimismo: “L’Europa, dopo gli errori commessi ai tempi della crisi del 2008/09 e, soprattutto, nel 2011, si sta muovendo nel modo giusto”.

A giudicare dall’andamento dei titoli bancari sui mercati, non sembra che sia questo l’umore dominante. Anzi, si ha la sensazione di una crisi infinita: quotazioni depresse, la prudenza della Bce che ha messo la museruola ai dividendi. La sensazione che i nodi, sia per le banche che per le imprese clienti, stiano per venire al pettine.

«Ci sono senz’altro problemi strutturali che arrivano da lontano. Il business bancario tradizionale è vittima di un declino inarrestabile perché, per essere sostenibile, richiede economie di scala e un forte risparmio dei costi. Al contrario, con la pandemia, i problemi sono cresciuti e s’impone la necessità di diluire i costi enormi. Alla spinta al consolidamento già presente si è così aggiunto un fattore di forte accelerazione: la pandemia ha a sua volta accelerato la caduta delle quotazioni in Borsa, ormai molto al di sotto dei valori di bilancio. E questo si traduce in una spinta al consolidamento già in atto ma che il Covid sta senz’altro accelerando».

Ma accelera anche l’azione della Vigilanza europea. Non è assurda la severità dei vigilantes in una congiuntura così difficile per il sistema? Che senso ha un’azione anticiclica?

«A Francoforte ci sono due anime, una monetaria l’altra di vigilanza, che possono apparire in contraddizione o comunque in contrasto tra di loro. Io non la vedo così. Credo che siamo di fronte a funzioni complementari che cercano di rispondere a esigenze diverse, ma comunque necessarie. Prendiamo l’azione di Lagarde. La Banca Centrale Europea è ormai votata a un’azione a supporto dell’economia per scongiurare la recessione. Sono state rimosse tutte le resistenze con cui ha dovuto combattere Mario Draghi, che si era dovuto rifugiare nell’escamotage di spiegare l’azione della Banca con il richiamo al vincolo dell’inflazione al 2%, per giustificare l’azione espansiva, anzi, antirecessiva contestata da una parte della banca. Adesso, al contrario, c’è l’esplicita consapevolezza della necessità di evitare che la pandemia crei danni irreparabili».

È la Bce versione colomba, quella che piace ai mercati.

«E l’espressione dell’anima monetaria che passa attraverso il quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli, ma anche attraverso i finanziamenti al sistema bancario sotto costo, cioè i Tltro vincolati all’erogazione di crediti all’economia (o comunque al sostegno del conto economico degli istituti). Oggi le banche godono del sussidio: ricevono denaro a tassi negativi, che sono più bassi di quelli a cui erogano prestiti o, soprattutto, acquistano titoli, specie pubblici. Lo spread sussidia il conto economico in una congiuntura molto difficile».

Poi c’è la Vigilanza, il Cerbero che turba i sonni dei banchieri…

«Le norme sulla Vigilanza, che hanno avuto una lunga gestazione, entrano in vigore solo adesso. Tra le regole più importanti c’è una nuova definizione di default che viene uniformato a livello europeo. L’obiettivo originario era rendere omogenei i criteri con cui si chiede alle banche di accantonare fondi a fronte di questi rischi. L’obiettivo era di annullare la discrezionalità nel definire rischi e politiche prudenziali».

Obiettivo raggiunto?

«È stata introdotta una definizione di default molto più restrittiva rispetto al passato. Vengono giudicate in default imprese con sforamenti temporanei. Non si può eccedere oltre i 90 giorni. E non si può andare oltre l’1% calcolato sulla base di tutte le imprese che fanno parte di un gruppo. Si rischia di far riclassificare una massa molto rilevante di crediti che diventano all’improvviso non performing loan. Perciò si devono aumentare gli accantonamenti. Un’altra norma introdotta dalla Bce rende particolarmente restrittivo il sistema: tutti i crediti che vanno in sofferenza vanno coperti entro un certo termine con accantonamenti al 100%. E questo vale sia per i nuovi crediti che per quelli già in essere. Tutti i prestiti vanno coperti con adeguati accantonamenti. Ogni sforamento oltre i 90 giorni rischia di essere riclassificato come Npl».

Qual è l’effetto di queste regole?

«Il razionamento del credito ovvero la polarizzazione su grandi imprese più solide. Le banche non possono che essere molto prudenti nell’erogazione del credito. Ma non è solo colpa della Vigilanza. Le banche sono molto attente: i volumi di credito ristagnano e aumenta la liquidità perché le banche vogliono capire dove si posizionerà la crescita. Non è solo questione di settori o di aree geografiche, bensì di individuare dove andrà l’economia. È per questo che circa un quinto degli attivi bancari non si trasforma in impieghi».

Anche perché il cavallo non beve. O no?

«È la trappola della liquidità: i soldi ci sono, ma non vengono messi al lavoro».

Come si esce da questa contrapposizione?

«Ripeto, sono funzioni complementari. È necessario saper operare assieme di punta e di tacco, come nella vecchia 500. Far ripartire la macchina senza alimentare il moral hazard, ma al tempo stesso difendere il patrimonio. È possibile? Penso di sì, soprattutto ora che si è rimosso un errore».

Quale?

«Credere che la politica monetaria possa essere usata da sola. Non è così. Ci vuole anche una forte azione di politica fiscale. Il difetto sta nella politica monetaria da sola senza che si applichi la politica fiscale. Si tratta di due aspetti complementari. Invece in passato, specie in Europa, si è praticata l’austerità. Anzi si è addirittura parlato di “austerità espansiva”. La conversione della politica fiscale è stata la notizia migliore dell’ultimo anno. Ora, si tratta di capire come sapremo scaricare a terra i buoni propositi».

Ce la faremo?

«Mi auguro di sì. Purtroppo all’Occidente manca la capacità di coordinamento a lungo termine che caratterizza la Cina, che non è certo un modello vista l’assenza di libertà. Ma le democrazie liberali hanno il difetto di concentrarsi troppo sul breve termine, trascurando le scelte sistemiche, oggi gigantesche. L’Italia è un caso di scuola quanto a incapacità di visione economica, cosa che ci è costata la grande industria, mentre la Cina negli ultimi dieci anni ha dimostrato un pensiero strategico che a noi manca».

È tutto perduto?

«Complice la pandemia finalmente, dopo essersi impantanata per anni, l’Europa ha alzato la testa: le prospettive per la creazione di apparati funzionanti si sono create in pochi mesi. E prima o poi i vaccini ci permetteranno di riprendere una strategia di crescita. Ma all’insegna di un’altra emergenza ancora più grave: l’ambiente. È il tema a cui mi dedico da un anno: l’economia verde non è un’opzione, ma una drammatica necessità che richiederà uno sforzo dieci volte tanto il Next generation Eu».

Un’ultima cosa: ma tutto questo non si tradurrà in inflazione?

«No: hai inflazione quando hai il pieno utilizzo delle risorse o la domanda eccede offerta. Mi auguro di trovarci un giorno in quella situazione. Ma ora è ben lontana».

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