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L’economista o è utile o non è vero economista: la lezione di Giorgio Fuà

Pubblichiamo l’introduzione di Pietro Alessandrini al libro dedicato al grande economista Giorgiò Fuà a cento anni dalla sua nascita e a venti dalla sua scomparsa, edito da il Mulino e scritto da Roberto Giulianelli, docente di storia economica all’Università Politecnica delle Marche” – Non a caso il libro si intitola “Economista utile” e – come spiega Alessandrini che ne fu l’allievo prediletto – rivela la concezione del mestiere dell’economista che aveva Fuà

L’economista o è utile o non è vero economista: la lezione di Giorgio Fuà

La frase che meglio può sintetizzare il pensiero e l’operato di Giorgio Fuà è la sua definizione di imprenditore civilmente e culturalmente impegnato come “l’imprenditore-leader che considera propria missione quella di formare, guidare, sviluppare un gruppo di persone facendole sentire partecipi di un’operazione creativa comune della quale essere tutte orgogliose”. L’ha scritta nel 1997 in una breve nota nella quale presenta il modello ISTAO a trent’anni dalla sua istituzione. Una presentazione di sole tre pagine che egli non ha firmato, ma che è pienamente riconoscibile nello stile stringato e nei contenuti incisivi che lo hanno sempre contraddistinto.

Importante notare che è stato il suo ultimo scritto pubblicato, a tre anni dalla scomparsa. Per questo va considerato come un testimone del patrimonio culturale che ci ha lasciato in eredità. Un patrimonio di valori che Fuà ha accumulato nel corso della sua vita attiva, distillato attraverso innumerevoli vicissitudini, esperienze, contatti, riflessioni, scelte, convinzioni e arricchito con un’intensa attività di ricerca scientifica.  

I suoi numerosi allievi, gruppo del quale ho avuto la fortuna di fare parte, hanno sperimentato quanto egli stesso abbia dato concreta attuazione alla definizione di imprenditore sopra riportata. Fuà è stato un imprenditore culturale, impegnato a rendere i suoi collaboratori partecipi di un’operazione creativa comune nei lavori di ricerca interdisciplinari, incentrati principalmente sui temi dello sviluppo economico.

Il Fuà che abbiamo conosciuto ad Ancona era il professore universitario, autorevole e disponibile, ma anche esigente e selettivo. A chi riteneva avesse le potenzialità, Fuà offriva occasioni di crescita intellettuale, insperate per giovani laureati di provincia. Sotto la sua guida, i prescelti venivano messi a confronto con i grandi temi economici e sociali e in competizione-collaborazione con i diversi esperti disciplinari provenienti da sedi accademiche più blasonate che riuniva attorno alle ricerche.

Così Fuà ha gettato i semi dello sviluppo endogeno non solo della Facoltà di economia e commercio di Ancona, ma anche dell’economia regionale. A distanza di tempo, può sembrare incredibile constatare che già nel primo decennio (gli anni Sessanta) della sua attività universitaria Fuà sia riuscito a fare diventare punti di riferimento importanti per la comunità scientifica nazionale e internazionale prima la Facoltà, nata nel 1959 come sede distaccata dell’Università di Urbino in una città priva di tradizioni universitarie come Ancona, e successivamente l’ISTAO, un innovativo centro di formazione post-laurea impostato sui criteri della bottega artigianale: imparare facendo

Nello stesso tempo c’è stata la felice coincidenza storica del decollo industriale delle regioni della Terza Italia, tra le quali le Marche, sulla spinta della fioritura dei sistemi locali di piccole imprese. E Fuà, inizialmente preoccupato della arretratezza della sua regione e favorevole a programmarne lo sviluppo facendo leva sugli investimenti delle grandi imprese pubbliche, non ha tardato a cogliere i vantaggi della industrializzazione diffusa in una regione policentrica. 

Va in proposito ricordata l’onestà intellettuale dimostrata in un’altra delle sue frasi lapidarie: “Senza un esplicito piano centrale si è realizzata, zona per zona, una mobilitazione del potenziale endogeno di imprenditoria, di lavoro, di risparmio e una valorizzazione delle strutture materiali e sociali ereditate dalla storia, con risultati probabilmente migliori di quelli che si sarebbero potuti ottenere importando risorse e modelli dall’esterno. (Introduzione a “Industrializzazione senza fratture”, a cura di Fuà e Zacchia, il Mulino, 1983). 

Questo in estrema sintesi è il Fuà già maturo che abbiamo conosciuto direttamente ad Ancona. Un maestro ineguagliabile, che molti giovani ricercatori delle altre università italiane ci hanno invidiato. Lo dimostra l’episodio della sua visita ad Oxford nella primavera del 1971. Dopo i rituali incontri accademici, Fuà ha scelto di passare la maggior parte del suo tempo con i suoi due allievi: Giuliano Conti e il sottoscritto.

Ne abbiamo approfittato per organizzare un incontro con gli altri giovani economisti italiani che stavano perfezionandosi ad Oxford. A tutti Fuà ha offerto i suoi consigli e tutti hanno potuto ammirare la sua rara disponibilità. Alla base del suo comportamento c’era il desiderio di conoscere, più che i professoroni celebrati di Oxford, i giovani talenti dei quali intuire le potenzialità da incoraggiare. 

In diversi punti di questo libro biografico il lettore troverà conferma di questa innata inclinazione di Fuà a formarsi rapidamente un giudizio sulle persone che incontrava, giudizi che esprimeva con pochi aggettivi lapidari: alcuni molto lusinghieri, altri molto negativi. E va detto che poche volte si è dovuto ricredere. 

Su Fuà ci sono diverse testimonianze scritte da allievi e da colleghi. Alle quali si sono aggiunti due libri pubblicati da il Mulino nel 2004 e nel 2016. Il primo èFuga a due” scritto da sua moglie Erika Rosenthal. Questo bel libro unisce ricordi familiari relativi ad entrambi i coniugi, supportati da un’importante documentazione epistolare, che però non va oltre il 1945.

Il secondo libro “Analisi economica, politica estera e sviluppo. Giorgio Fuà, l’Ufficio Studi dell’ENI e la governance delle partecipazioni statali di Fabio Lavista è stato promosso dalla Fondazione Fuà con il contributo dell’Eni allo scopo di documentare il ruolo svolto da Fuà nella costituzione e gestione dell’Ufficio studi dell’ENI voluto da Mattei. Perché allora questa biografia?

Nonostante quanto sia già stato pubblicato si sentiva la necessità di avere un quadro completo della vita di Giorgio Fuà, che andasse oltre l’aneddotica, la memorialistica e anche la ricognizione limitata nel tempo come quella di Erika Rosenthal o racchiusa entro un’esperienza di lavoro, per quanto importante, come quella dell’ENI.

Inoltre va considerato che il Fuà quarantenne, che intraprendeva la carriera universitaria nel 1959 ad Ancona, dove tornava a risiedere nel 1963, aveva già alle spalle molteplici esperienze e attività, meritevoli di essere riprese e riordinate entro una biografia completa.  

Questa consapevolezza mi ha spinto nel 2017 a proporre, nel mio ruolo di presidente della Fondazione Giorgio Fuà, la realizzazione della biografia da completare e presentare nell’ambito delle iniziative del 2019, anno del centenario della sua nascita. L’idea è stata prontamente condivisa dal Consiglio di Presidenza e dal Comitato di indirizzo della Fondazione e anche dal Rettore Sauro Longhi dell’Università Politecnica delle Marche, che ha contribuito alle spese di ricerca e pubblicazione. 

La seconda scelta è stata quella di incaricare del lavoro biografico Roberto Giulianelli, uno dei brillanti storici economici della Facoltà di Economia “Giorgio Fuà”. Giulianelli appartiene alla nuova generazione di docenti che non ha conosciuto Fuà. Quindi non è influenzato da ricordi personali che inevitabilmente avrebbero condizionato il resoconto fornito da un allievo o da un congiunto. 

Avendo però svolto la sua carriera universitaria nella Facoltà intestata a Fuà, Giulianelli è stato incentivato ad accettare con entusiasmo l’impegno gravoso che lo ha occupato per poco meno di due anni di ricerca itinerante nei luoghi nei quali Fuà ha operato. Le sue competenze di storico hanno garantito un lavoro impostato su criteri scientifici, basato sulla ricerca dei documenti presenti in ben ventidue archivi in Italia e in Svizzera.

Ha potuto così scoprire l’intensa rete epistolare, in parte non conosciuta, che è rimasta a memoria di pensieri e avvenimenti della vita privata e pubblica di Fuà. Il risultato è sottoposto al giudizio dei lettori. Da allievo diretto di Giorgio Fuà posso dire che esco inorgoglito di avere avuto un maestro che ha fatto parte della classe dirigente, forse irripetibile, che ha contribuito alla ricostruzione politica, civile e culturale del nostro paese nel dopoguerra.

Lo dimostra la notevole mole di documenti che questa biografia mette in fila con la capacità che solo uno storico esperto può avere. Le vicende personali di Fuà sono strettamente interconnesse con quelle dell’Italia: l’uno perseguitato come ebreo, l’altra perseguitata da una guerra devastante combattuta sul suo territorio. Entrambi risorgono. Fuà trova un suo ruolo attivo nella vita sociale e culturale.

L’Italia riprende il cammino del rinnovamento istituzionale, della ricostruzione e del decollo economico. La nostra riconoscenza deve andare ai tanti uomini illuminati che hanno fattivamente operato per questo rilancio democratico. Fuà va annoverato tra questi, pur non avendo mai assunto incarichi politici. 

Per chi, come me, l’ha incontrato nella seconda parte anconetana della sua vita, la biografia di Giulianelli rivela che Fuà è stato sempre il Fuà che abbiamo conosciuto in età matura. Può sembrare banale ma non lo è. Perché ciò che più colpisce di queste pagine è la sua sorprendente precocità. Già poco più che ventenne, pur in mezzo alle innumerevoli difficoltà dell’epoca, egli rivela doti di leader.

A ulteriore dimostrazione che leader si nasce, non si diventa. Un leader molto colto, lucido, determinato, lungimirante, consapevole delle sue capacità fino al punto di sembrare presuntuoso. Presunzione giustificata dagli alti compiti che attribuisce all’economista in generale, quindi di riflesso a se stesso. Sin dagli inizi della professione di economista ritiene doveroso impegnarsi nella missione di incidere concretamente sulla realtà sociale del paese.

Per questo invita i colleghi a non dimenticare di dare contenuti prescrittivi alle proprie analisi, senza rifugiarsi in alchimie algebriche che li allontana dal pubblico. Importante notare che Fuà lo afferma già nel suo primo articolo “Bisogna dar retta agli economisti?” sulla rivista Comunità nel 1946. Aveva solo 27 anni! È il concetto di economista utile, che dà il titolo a questa biografia, al quale si è attenuto per tutta la vita.

Lo rinnova nella Lettera a Repubblica nel 1988, scritta con altri autorevoli colleghi. Infine lo ribadisce a 75 anni nel 1994 in “Crescita, benessere e compiti dell’economia politica” dove descrive il fascino e la scomodità del mestiere dell’economista chiamato a “dare suggerimenti concreti per il miglior funzionamento dei meccanismi sociali, quali sono nel mondo reale che lo circonda”.  

Può essere sufficiente avere segnalato questo filo conduttore, tra i tanti riportati nella biografia, per dimostrare la grande coerenza di visione e impegno che ha caratterizzato la vita e l’operato di Giorgio Fuà. Mi prendo la libertà di chiudere queste note introduttive esulando dal rigore del resoconto archivistico al quale Giulianelli si è attenuto.

Vorrei alleggerire il quadro ricordando che Giorgio Fuà, benché consapevole della sua alta missione intellettuale, sapeva ridimensionarla nella vita quotidiana con un understatement tipicamente marchigiano. Definiva i suoi libri “libretti”, il piano economico fatto per l’ENI “pianino”, il modello econometrico elaborato ad Ancona con i suoi allievi “modellaccio”.

Molto simpatica la sua risposta a chi gli chiedeva perché indossasse nelle grandi occasioni anziché la cravatta un fiocchetto (rigorosamente acquistato in un negozietto artigianale a Roma nei pressi di Piazza San Silvestro). Rispondeva con arguta autoironia: “Se qualcuno chiede chi è Fuà in quel gruppo di persone, l’interlocutore mi potrebbe meglio indicare come quello con il fiocchetto, anziché come quello più basso”.

Nel 1989, quando compì 70 anni, noi allievi del Gruppo di Ancona lo invitammo a cena con due sorprese. La prima è consistita nell’indossare tutti il fiocchetto, per rimarcare un’identità comune. La seconda sorpresa è stata il regalo di due botti di vino verdicchio, a lui molto gradito, con impressa in ciascuna una targhetta riportante i nostri nomi con il vintage dell’anno in cui eravamo diventati suoi allievi.

L’augurio era di continuare a produrre buoni vini-allievi. Sono sicuro che questa biografia, a dimostrazione oggettiva che Giorgio Fuà sia stato un maestro irripetibile, consenta di diffondere il suo insegnamento anche alle future generazioni.

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