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Le moeche, le saporite pepite di Venezia note fin dal ‘500

Una antica prelibatezza veneta, le moeche, i granchi che durante la muta perdono il carapece, e si possono mangiare tenerissimi solo per un breve periodo dell’anno, è a rischio per la più redditizia pesca delle vongole. Sono diventate un presidio Slow Food. VIDEO.

Venezia è tante cose. Venezia è il carnevale. Venezia è la mostra internazionale del cinema. Venezia sono le gondole, ma anche dei piccoli granchi fritti, che si prendono con le mani e si mangiano in ogni parte, zampe comprese.

Si chiamano moeche e sono uno dei sapori della tradizione dell’antica repubblica marinara, lo street food per eccellenza della città lagunare. Possono essere gustati anche in tempura, alla griglia o in cartoccio e comprati per strada nei chioschetti, nei bacari, nelle osterie o al ristorante. Hanno un sapore dolce, delicato, lievemente marino.

A renderli rari e speciali è anche il fatto che non possono essere mangiati in qualsiasi momento dell’anno, ma in periodi ben precisi: primavera e autunno, quando il granchio si libera del carapace, cioè la corazza che lo protegge, per costruirne una più grande. È in questo lasso di tempo che la moeca può essere gustata interamente, senza difficoltà, perché è tenera. Infatti, è proprio da questa caratteristica che deriva il suo nome, che in dialetto veneziano significa “morbida”.

Da almeno tre secoli i pescatori selezionano i granchi in fase di muta, quando perdono il loro rivestimento (carapace) e si presentano teneri e molli. È un’attività stagionale che segue i ritmi di crescita dei crostacei e ha le sue punte nel periodo primaverile ed autunnale. I granchi sono catturati con apposite reti da posta fisse, posizionate nei bassi fondali lagunari. Si procede quindi a un’accurata cernita, per separare i granchi boni, pronti alla muta in tempi brevi (da una a tre settimane), dagli spiantani, che muteranno nel giro di un paio di giorni, e dai matti, che invece non muteranno più nel corso della stagione di raccolta.

Mentre i matti sono ributtati in mare, spiantani e boni vengono tenuti separati e sistemati in appositi contenitori detti vieri. Un tempo costruiti interamente in vimini, ora sono formati da assi di legno, distanziate per permettere la circolazione dell’acqua all’interno.

A questo punto, i vieri vengono calati in acqua, nei bassi fondali sabbiosi o in prossimità dei canali. L’ultimo anello della filiera consiste nelle operazioni di controllo e pulizia dei vieri; la finalità è triplice: prelevare le moeche, eliminare gli esemplari morti e i carapaci, e, infine, trasferire i boni che, man mano, diventano spiantani. Le moleche, una volta tolte dall’acqua, possono essere mantenute vive in contenitori refrigerati fino a 2-3 giorni, per poi essere conferite al mercato.

Quella delle moeche è una tradizione antica. Nel ‘500, il commediografo Andrea Calmo parla di questa specialità in questi termini: “Mi vegno da Treporti, dove se descortega i granzi”. Nel 1729 l’abate Giuseppe Olivi nella sua Zoologia Adriatica sottolinea come le Moeche siano un cibo apprezzato nelle tavole della nobiltà: “I granchi per acquistare il loro accrescimento cambiano ogn’anno crosta. Nei momenti che precedono la muta i nostri pescatori li raccolgono e radunano in carnieri tessuti di vinchi, volgarmente vieri, li collocano a mezz’acqua nei canali. La nuova situazione non impedisce ai granchi di svestirsi della loro corazza: essi perdono la vecchia crosta, e rimangono coperti dalla nuova, ancor molle e membranosa: in tale stato chiamati Mollecche, salgono anche alle mense più nobili”.

Le zone comprese tra Burano, Giudecca e Chioggia sono specializzate nel loro allevamento. E’ un mestiere difficile quello del moecante, il pescatore, che spesso che si tramanda di generazione in generazione, da padre in figlio: il moecante si sveglia per raggiungere i casoni nella laguna prima dell’alba, spesso in piena notte. Poi trascorre molte ore immerso tra acqua e fango, mentre dispongono i granchi negli allevamenti in particolari ceste in legno, chiamate vieri. Sono proprio questi cesti a forma di cubo a caratterizzare alcune delle aree più autentiche della laguna veneziana.

In questi ultimi anni la ben più redditizia attività di allevamento e raccolta delle vongole veraci e anche il dilagante l’inquinamento, hanno messo a rischio la pesca delle moeche che interessa di meno alle giovani generazioni rispetto ai loro nonni. Per tale motivo per le moéche è stato istituito un Presidio Slow Food, sostenuto dalla regione Veneto.

Ovviamente il prezzo delle moeche, chiamate le pepite di Venezia, è elevato in funzione della sua rarità ma anche del lungo e laborioso processo per allevarle e pescarle: il prezzo varia attorno  ai 5 e i 7 euro al pezzo e tra i 50 e i 70 euro al kg al mercato del pesce.

Come le aragoste, si cucinano ancora vive, dopo aver inciso la schiena per far fuoriuscire l’acqua in eccesso. Si abbinano perfettamente alla polenta bianca. Per lo più nei chioschi le servono fritte. Ma un’altra ricetta tradizione le vuole immerse vive in un composto di uovo sbattuto e salato in modo che possano ingerire parte del tuorlo e vengano poi fritte. Si procede così: si sbattono le uova intere con un pizzico di sale. Si immergono le `moeche` e si attende che abbiano assorbito tutto l`uovo. Quindi si Infarinano e si friggono in una padella di ferro colma di olio bollente (170°) per qualche minuto. Quando sono dorate si pongono su un foglio di carta assorbente per far asciugare l’olio di cottura si salano e sono pronte.

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