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Lavoro, Indagine Inapp-Plus: una donna su cinque smette di lavorare dopo un figlio

Dopo la nascita di un figlio una donna su cinque non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione. I dati dell’indagine Inapp-Pluss condotta su un campione di 45 mila individui

Lavoro, Indagine Inapp-Plus: una donna su cinque smette di lavorare dopo un figlio

Una donna su cinque non lavora più dopo la nascita di un figlio.

È quanto emerge dal “Rapporto Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro” che raccoglie i risultati dell’indagine Inapp-Plus condotta su un campione di 45.000 individui dai 18 ai 74 anni.

Dopo la nascita di un figlio quasi 1 donna su 5 (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (il 29% nel Sud e Isole). La motivazione principale è la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%). La quota di quante non lavoravano né prima, né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno trovato lavoro dopo la nascita del figlio.

“Si tratta di un fenomeno che ha pesanti effetti demografici ed economici. L’Italia è l’ultimo paese per tasso di fecondità in Europa, e proprio nel 2022 è stato toccato il minimo storico di 400.000 nuovi nati; peraltro, la maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della partecipazione femminile. Il Paese non può più sopportare, oltre alla fuga di cervelli, anche questa altra forma di dispersione del capitale umano legata alla mancata valorizzazione e sostegno dell’occupazione femminile.” ha osservato il prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp.

Pesano condizione familiare, servizi di welfare e istruzione

Il calo della partecipazione femminile dopo la maternità è gravato anche dalle condizione familiare, servizi di welfare e istruzione. Nei nuclei familiari composti da un solo genitore sono più elevate le quote di uscita dall’occupazione dopo la maternità: 23% contro 18% tra le coppie. Nelle coppie invece è maggiore la permanenza nella non occupazione: 32% contro il 20% tra i monogenitori.

Una causa dell’abbandono è data anche dalla poca disponibilità e accessibilità, anche economica, degli asili nido: “La scarsità di servizi per la prima infanzia è confermata dalla percentuale di genitori occupati che dichiara di non aver mandato i propri figli in età compresa tra 0 e 36 mesi all’asilo nido (56%). Tra coloro che invece mandano i figli al nido, poco meno della metà (48%) ha usufruito del servizio pubblico mentre una quota pari al 40% ha utilizzato un asilo nido privato e al crescere del reddito disponibile aumenta il ricorso ai servizi di asilo nido privati” è quanto evidenziato nel rapporto. Sono i nonni (58%) l’alternativa più utilizzata per le famiglie che non possono farsi carico di tutti gli impegni di cura dei figli. Questa risorsa è usata soprattutto nel Mezzogiorno (63%).

Il titolo di studio aiuta solo in parte dalla dalla perdita del lavoro. Solo le donne più istruite (il 65% delle laureate) restano nel mercato del lavoro, ma smette di lavorare oltre il 16% (sia di laureate, che di diplomate) contro il 21% delle madri con la licenza media.

La soluzione? un orario di lavoro più flessibile

Per poter conciliare lavoro e cura dei figli, la principale richiesta è quella di un orario di lavoro più flessibile, mentre un 10% indica la possibilità di lavorare in telelavoro o smart working. L’utilizzo dei congedi parentali è del 68,6% per le donne contro il 26,9% degli uomini, segno che la componente femminile ha ancora il ruolo di caregiver principale.

“Il percorso delle donne verso una piena e stabile occupazione è spesso una vera e propria corsa a ostacoli e ciò nonostante tra le lavoratici si registrino percentuali di laureate e di altamente qualificate più che doppie rispetto agli uomini. Ma si osserva una marcata distanza anche nell’accesso e nelle caratteristiche dei ruoli di responsabilità: le donne con ruoli apicali hanno la supervisione di una sola persona contro le sette persone supervisionate dai lavoratori maschi. Il cambio di passo non può essere affidato a singoli interventi spot, ma richiede una organica convergenza di tutte le politiche (dalle politiche fiscali ai sistemi di welfare, dagli orari di lavoro alle politiche per la famiglia) per sostenere da un lato le scelte di procreare e allevare i figli e d’altro lato l’effettiva parità di genere in tutta la vita lavorativa e sociale, e vorrei aggiungere, anche pensionistica” ha sottolineato Fadda.

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