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Lavoro: in calo lavoratori e giovani. Allarme demografia, aggrava il mismatch e frena l’economia

In cinque anni l’Italia ha perso 756.000 persone in età lavorativa. Un deficit che salirà a 3,5 milioni nel 2036. Sempre meno giovani. Ecco perché i dati demografici sono molto preoccupanti

Lavoro: in calo lavoratori e giovani. Allarme demografia, aggrava il mismatch e frena l’economia

Sempre meno giovani e lavoratori, sempre più anziani e pensionati. Facile capire come già oggi i conti comincino a non tornare, ma soprattutto come tra qualche anno la questione demografica diventerà un’emergenza in grado di mettere in ginocchio il mondo del lavoro e l’economia italiana.

Lavoro: -756mila lavoratori in 5 anni. L’Italia è sempre più vecchia

Secondo i numeri forniti da Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt, su Avvenire, negli ultimi 5 anni la popolazione in età da lavoro – vale a dire persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni – è scesa di 756mila persone, che diventano 133mila nel solo 2022. Due dati che già da soli sarebbero sufficienti a spiegare la crisi demografica in atto. Ma se si volessero trovare ulteriori prove basterebbe rivolgersi all’Istat

Nella sua “Storia demografica dell’Italia dall’unità ad oggi”, pubblicata il 7 febbraio 2023, l’Istituto Nazionale di Statistica racconta come è cambiato il nostro Paese dal 1861 al 2022. In particolare, la popolazione residente è più che raddoppiata, passando dai 26 milioni di 162 anni fa agli attuali 59 milioni (+125%), ma dal 2014 ad oggi, i residenti sono diminuiti di 1,3 milioni. Nello stesso periodo le persone sopra i 65 anni anni sono salite dal 4,2% al 23,8% della popolazione, mentre i giovani sotto i 15 anni sono diminuiti dal 34,2% al 12,7%. L’aumento degli anziani e la diminuzione dei giovani comporta inoltre un innalzamento corposo dell’età mediana, salita da circa 24 anni nel 1861 fino a oltre 47 oggi (la più elevata tra i Paesi dell’Ue27) e, secondo le previsioni demografiche internazionali, crescerà ulteriormente nei decenni a venire. 

Lavoro: 3,5 milioni di lavoratori in meno nel 2036 

Cosa comporta questa dinamica demografica? Le previsioni dell’Istat lasciano pochi dubbi interpretativi: entro il 2036 in Italia ci saranno 3,5 milioni di persone in età lavorativa in meno. Queste le percentuali che determineranno la riduzione: -24,7% di individui in età lavorativa tra i 35 e i 54 anni, -7,4% nella fascia tra i 15 e i 34 anni, +17,6% di lavoratori tra i 55 e i 59 anni. 

La crisi demografica, gli stranieri e il mismatch

C’è inoltre un altro aspetto da tenere in considerazione: “Se si osservano i dati demografici – scrive su Avvenire il presidente di Fondazione Adapt – è possibile leggere in modo diverso l’annoso dibattito sulla mancanza di forza lavoro”. Dal 2002 al 2019 il numero di under 15 con cittadinanza italiana è calato di 856mila unità (-10,9%), mentre quello di under 15 con cittadinanza straniera è cresciuto del 250% da 252mila a 883mila. 

Basterà l’aumento degli stranieri a compensare l’impatto che la crisi demografica avrà sul mercato del lavoro? Secondo Seghezzi la risposta è no. Il motivo è presto detto: “Il livello di istruzione di stranieri e italiani è caratterizzato da un forte dualismo”. Se il numero di laureati italiani nella fascia d’età tra 15 e il 34 anni raggiunge il 30,5%, tra gli stranieri scende al 12,7%. Si tratta di dati che, da un lato, aiutano a comprendere meglio il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, dall’altro palesano come il contesto demografico finisca per aggravare la situazione, conclude l’esperto. 

Crisi demografica: l’effetto su pensioni e sanità

La mancata crescita demografica e la conseguente riduzione della forza lavoro, avranno degli effetti pesantissimi sul sistema pensionistico e sulla sanità italiana.

Partiamo dal primo capitolo: le pensioni. Nel corso di un confronto tra il Governo e le parti sociali il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha delineato un futuro a tinte fosche. Il quadro al 2029, ha detto, “non è positivo” con il rapporto tra lavoratori e pensionati che scenderà dall’attuale 1,4 a 1,3 per poi crollare nel 2050 a uno a uno. Cosa significa? Che tra meno di trent’anni ci sarà 1 lavoratore per ogni pensionato, un rapporto rischia di compromettere la stabilità dei conti pubblici.

Questa dinamica non dipende solo dalla demografia (l’Italia ha uno dei tassi d’occupazione più bassi d’Europa), ma senza dubbio la mancanza di giovani incide ed inciderà in maniera sempre più determinante nel futuro. Anche perché mentre cresce la spesa pensionistica, calano inesorabilmente le nascite: nel 2022, secondo le stime Istat, i nuovi nati in Italia sono stati meno di 400 mila. I dati Eurostat mostrano inoltre come l’Italia sia, insieme a Spagna e Malta, uno dei Paesi meno fecondi d’Europa, con meno di 1,3 figli per donna. In parallelo abbiamo uno dei rapporti tra spesa pensionistica e Pil più elevati del continente (16,2%). 

Passiamo alla sanità: mentre cresce il numero degli anziani e la speranza di vita si allunga, gli squilibri del sistema sanitario italiano rimangono immutati. Una popolazione sempre più vecchia avrà però bisogno di maggiore assistenza: più visite mediche, più degenze in ospedale, più interventi e via dicendo. Il Covid ci ha già palesato quanto l’equilibrio della nostra sanità sia precario e, senza correttivi, la crisi demografica potrebbe contribuire a far degenerare una situazione sempre più precaria.

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