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Landini e Squinzi si convincano: la rivoluzione copernicana di Marchionne non ha alternative

La scommessa vinta da Marchionne è stata un’operazione industriale e non finanziaria, che ha spiazzato la Fiom e la Confindustria che non l’hanno capita – Ma la rivoluzione copernicana della Fiat non ha alternative – L’Italia può ancora evitare di perdere il Lingotto solo cambiando le relazioni industriali e il mercato del lavoro e valorizzando l’automotive.

Landini e Squinzi si convincano: la rivoluzione copernicana di Marchionne non ha alternative

“Adesso il re è nudo“, cosi il segretario della Fiom Landini ha commentato il raggiungimento da parte di Marchionne  dell’obbiettivo ambizioso che si era prefisso: quello, cioè, di fondere due grandi imprese automobilistiche, entrambe in crisi, per farne una multinazionale in grado di competere a livello mondiale con gli altri colossi dell’auto. A ritrovarsi nudo però non è stato Marchionne, il quale la sua scommessa l’ha vinta, ma, piuttosto, coloro i quali, come Landini e, ahimè, anche Squinzi, quella operazione non hanno condiviso per il semplice fatto che non ne hanno mai capito i presupposti.

Quella di Marchionne, infatti, non è stata (soltanto) una brillante operazione finanziaria, come pensa Landini che di finanza capisce poco. E’ stata, invece, anche e soprattutto, una (rischiosa) operazione industriale e, al tempo stesso, istituzionale. Industriale , perché ha comportato una  radicale riorganizzazione del ciclo produttivo della Fiat e della Chrysler, una redistribuzione delle diverse produzioni nei vari stabilimenti sparsi nel mondo, una innovazione di processo molto spinta (come a Pomigliano) e un utilizzo combinato dei diversi modelli disponibili. Tutte operazioni, queste, che con la finanza c’entrano poco perché sono politica industriale pura. Ed istituzionale, perché ha comportato un ribaltamento del sistema delle relazioni industriali vigente in Italia e ha imposto un vero e proprio cambio di paradigma sia alla Confindustria che alla Fiom con le quali, alla fine, è entrata in collisione.

A questa manovra non vi erano però alternative valide. Operazioni di questa portata possono riuscire soltanto se sono condivise da tutti. Se vi è, cioè, una comune assunzione di responsabilità da parte degli operai, dei tecnici e dei quadri rispetto al futuro dell’impresa. Se si è disposti, insomma, a condividere il rischio e i sacrifici che ogni piano di ristrutturazione comporta. Sarà banale dirlo, ma è la verità. Il sindacato americano questa verità l’ha capita. Ha condiviso il rischio e le responsabilità, ha persino  investito risorse proprie nell’impresa e oggi viene, meritatamente, ripagato.

In Italia soltanto la Fim e la Uilm hanno concesso una apertura di credito a Marchionne mentre la Fiom, tanto per cambiare, ha chiamato in soccorso le Procure di mezza Italia, non per difendere i lavoratori, ma per affermare il proprio diritto a non rispettare un accordo anche se ad approvarlo è stata la stragrande maggioranza dei lavoratori stessi. Meglio che la Fiom si rassegni e si ravveda. Alla rivoluzione copernicana di Marchionne non c’è alternativa. La via obbligata è quella del ritorno alla contrattazione aziendale, al rapporto diretto, non mediato dal governo, dagli Enti Locali o dalla Confindustria, fra i lavoratori e l’impresa. Dopo le elezioni della commissione interna della Fiat nel 1956, clamorosamente perse dalla Fiom, e dopo la sconfitta subita dal sindacato antagonista negli anni 70 a seguito della marcia dei Quarantamila, questa è la terza volta che la Fiat dà al sindacato e, in particolare alla Fiom, un chiaro segnale della necessità di cambiare rotta e di ritornare alla contrattazione aziendale se non vuole scomparire. Speriamo che anche questa volta il segnale venga colto.

Il problema più difficile da risolvere è però, ovviamente, quello del completamento del piano industriale. Le auto che si possono produrre in Italia con un ragionevole margine di reddittività sono e saranno sempre di più quelle della gamma medio alta: Alfa Romeo, Maserati, i modelli  Fiat di maggior successo, i modelli Chrysler riadattati per il mercato europeo e, naturalmente, i nuovi modelli con caratteristiche innovative che dovranno essere progettati e messi in produzione. I volumi dipenderanno dalla ripresa del mercato interno ed europeo oltre che dai recuperi di efficienza e di produttività nei singoli stabilimenti. Sarà, insomma, la qualità delle produzioni a fare la differenza. Spetta dunque alla Fiat e a tutti coloro che in Fiat lavorano costruire il loro futuro.

Qualcosa per aiutare la Fiat il paese, però, può farlo. Può creare un contesto legislativo favorevole all’affermarsi di relazioni industriali meno conflittuali, più trasparenti e partecipative. Può incoraggiare la contrattazione articolata aiutando a premiare la professionalità e la produttività. Può riformare il mercato del lavoro favorendo l’assunzione dei giovani e la loro formazione professionale. Può liberare l’impresa da vincoli e rigidità non più tollerabili. Ma può anche contribuire allo sviluppo del settore dell’automotive valorizzando i suoi punti di forza che sono, oltre alla presenza di un grande produttore come Fiat che, grazie a Marchionne, non abbiamo perso, la meccanica di precisione, la componentistica di qualità, l’ingegneria, la motoristica e il design.

Noi non stiamo affatto uscendo dalla filiera dell’auto, come teme Landini. Stiamo invece cercando di occupare in questa che è ormai una filiera mondiale interamente globalizzata il posto di rilievo cui la nostra storia industriale, ivi compresa quella della Fiat, ci autorizza ad aspirare.

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