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La Yellen fa felici i mercati emergenti

Lo slittamento del rialzo dei tassi Fed favorisce il recupero dei mercati emergenti per almeno tre mesi e mantiene un dollaro competitivo per riassorbire parte dei danni del calo del petrolio sull’industria dello shale gas – Flussi di portafoglio verso i mercati emergenti ai massimi degli ultimi 21 mesi – Cruciale la variabile geopolitica: Trump, petrolio e alla Siria – L’Asia cresce tre volte più di Usa, Ue e Giappone

La Yellen fa felici i mercati emergenti

I flussi di portafoglio verso i Mercati emergenti salgono ai massimi degli ultimi 21 mesi a 36,8 miliardi di dollari Usa equamente distribuiti tra obbligazioni e azioni , ben sette volte i volumi di Febbraio, festeggiando il ritorno dell’appetito al rischio e ringraziando sentitamente la Yellen. Dopo un mese di gennaio che aveva segnato l’ennesima emorragia da azioni e obbligazioni emergenti , esplode in marzo la caccia degli investitori globali ai rendimenti dei Paesi Emergenti come non si vedeva ormai da un paio d’anni, con l’Asia che attrae quasi 21 miliardi di dollari seguita dall’America Latina con 13,4 miliardi, solo due in Brasile. Infatti il mese di febbraio aveva visto i flussi 95% tutti sulle obbligazioni più rischiose soltanto, lasciano l’interesse per l’azionario prossimo allo zero.

Tutto questo dopo che la variabile geopolitica ha riconquistato il centro dell’attenzione delle strategie di investimento per voce dello stesso Fondo Monetario Internazionale che nell’Outlook 2016 sottolinea come i rischi geopolitici siano un rischio reale per gli investitori , unitamente all’andamento delle commodities, specialmente del petrolio, al risorgere dei nazionalismi ed alle condizioni monetarie dei principali mercati finanziari internazionali alle prese con i rischi di deflazione.

Ma cerchiamo di annodare le fila di un intreccio complesso che parte dagli Usa e da una nuova consapevolezza sull’affermazione della candidatura di Trump che proprio da Marzo ha sbaragliato gli avversari e si prepara alla volata contro la Clinton o Sanders e con Mike Bloomberg che resta nelle retrovie. Il mercato ha cominciato a ragionare sui possibili effetti derivanti da politiche isolazioniste di “Trump-olini” : che vedrebbero saltare prima di tutto l’accordo Transatlantico con il continente asiatico, il TPP, che doveva essere il pivot strategico della nuova politica commerciale americana verso i Paesi asiatici . Senza una messa in opera del TPP si assisterebbe alla smaterializzazione della “terza freccia” delle politiche dell’Abenomics giapponese, quella delle riforme strutturali , e poi l’impegno a far comprare agli americani solo auto prodotte negli Usa non aiuta di certo.

L’interpretazione errata sul Nafta che accomuna Trump e Sanders nel non vedere che senza l’accordo di libero scambio nordamericano con Canada e Messico l’industria statunitense dell’automotive sarebbe in ginocchio è tipica dell’”ansia da prestazione “ elettorale. E la Cina se la ride , aspettando di rafforzare ulteriormente , con l’aiuto dell’introduzione del renminbi nel paniere dell’IMF da Ottobre , il suo ruolo guida per il continente asiatico a spese del Giappone vittima di dati economici sempre peggiori.

L’impatto sul Wto poi sarebbe devastante e sarebbe solo l’inizio visto il programma di “ostilità” del miliardario anche verso il NAFTA e quindi le pressioni sul Messico anche per una maggiore sicurezza dei confini. Per chiudere l’indigesto menu del candidato il suo impegno a voler far pagare i costi delle truppe Usa agli alleati NATO come Giappone e Sud Corea creerebbe una frattura insanabile nella stessa Organizzazione con buona pace di Vladimir Putin che non per niente è un ammiratore ricambiato di Trump.

Le scommesse al botteghino danno ancora in testa la Clinton ma questo mese di Marzo ha segnato una svolta nella scena politica Usa che però non pare aver toccato o creato particolari ansie ai Paesi dell’Opec , dove il ministro saudita del Petrolio Al Naimi candidamente ammette che l’Arabia saudita è contraria ai tagli alla produzione e il Ministro Venezuelano Del Pino se n’è tornato nella sua “patria in default” dopo un road show mediorientale con un ben magro bottino. Il 17 Aprile a Doha si aprirà con il patto russo-saudita sul congelamento dei livelli di produzione e all’indomani della mossa a sorpresa del ritiro di Putin dalla Syria che ha lasciato spazio alle truppe di Assad per riconquistare Palmira.

Un intervento lampo in vista delle elezioni della Duma in settembre ha permesso al Judoka per eccellenza di mostrare i muscoli consolidando una perdita del 25% del territorio a scapito dell’Isis, di rinnovare la sua immagine con una popolazione esausta dalle sanzioni, e di distogliere l’attenzione dallo stallo degli accordi di pace di Minsk II. Il tutto non sprecando troppo di un budget prezioso in tempi di recessione! La Crimea come la Siria son state per Putin guerre difensive per tenere l’Ue e la Nato lontana dai confini russi e per creare scompiglio nelle alleanze riaffermando la centralità , volenti o nolenti , del ruolo di Assad in versione anti Is in un conflitto siriano nato e voluto per un risiko del Petrolio con troppi interessi sul campo ed a scapito di un’intera popolazione e con somma soddisfazione dei turchi che si vedranno finanziato il deficit di parte corrente da qui al 2018 grazie agli aiuti Ue.

Sì, perché la questione dei flussi migratori della Siria sta creando nuove frizioni tra Germania e Grecia, quest’ultima in balia dell’effettiva concretizzazione del piano Ue-Turchia e con il rischio evidente che i flussi si spostino solamente verso il confine albanese e bulgaro . Se questo è il quadro non bisogna stupirsi per la corsa ai mercati emergenti , e se poi si vuole guardare all’ultima follia di Obama che vuole trasferire su territorio sudcoreano il sistema antimissilistico Thaad in risposta alla “minaccia” nordcoreana facendo innervosire oltremodo i cinesi , pare necessario cancellare la foto di volti sorridenti dell’ultimo meeting in California con i leader asiatici che doveva promuovere in Asia il Tpp in attesa della ratifica in Novembre , quindi dopo le elezioni, e concentrarsi su nuovi equilibri geopolitici .

Il meeting multilaterale dell’Asian Development Bank si è chiuso ieri con una previsione per la crescita dell’Asia del 5,7% per il 2016 ed il 2017 guidata dall’India con il 7,4% e la Cina al 6,5%; a ben vedere oltre il triplo della crescita aggregata di Usa, Ue e Giappone attesa all’1,8% per quest’anno. Numeri importanti per investitori sempre più coscienti della necessità di ricostruire le posizioni sull’Asia e di non sottovalutare il permanere di un quadro politico dove la Yellen ha spostato l’attenzione del prossimo rialzo dei tassi a Giugno favorendo il recupero dei mercati emergenti per almeno altri tre mesi e mantenendo un dollaro competitivo per riassorbire parte dei danni del calo del petrolio sull’industria dello shale oil.

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