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La transizione ecologica rischia il disastro

Il presidente di Confindustria Bonomi ha lanciato l’allarme su come Europa e Italia stanno affrontando la transizione energetica. Obiettivi molto ambiziosi ma difficili da raggiungere e il rischio di danni al tessuto produttivo e sociale. Serve una visione chiara di politica industriale per evitare terremoti sociali e politici

La transizione ecologica rischia il disastro

L’attenzione dei commentatori è stata concentrata sulle questioni di stretta attualità. Ma la relazione del presidente Bonomi all’assemblea della Confindustria tenutasi giovedì, conteneva un allarme su come l’Italia e l’Europa stanno affrontando il problema della transizione energetica. In questo modo si rischia di provocare danni gravissimi alla propria economia e quindi alle prospettive di benessere dei cittadini. 
  Bonomi ha detto che è possibile darsi degli obiettivi ambiziosi ma poi ha ricordato che questi hanno senso solo in un quadro di accordo mondiale, dato che l’intera Europa emette solo l’8% della Co2 mondiale e quindi anche ammesso che il piano di Bruxelles fosse interamente realizzato non ci sarebbe un apprezzabile miglioramento a livello globale. 

Ma poi questo piano è davvero credibile? Ad esempio l’affermazione che l’Italia dovrebbe portare a 8GW all’anno l’installazione di fonti rinnovabili vuol dire moltiplicare per 10 il ritmo annuo di installazioni attuale. E questo è impossibile non solo per le complessità dell’iter autorizzativo, ma anche perché è poco credibile che il nostro territorio possa contenere una tale massa di impianti fotovoltaici o di pale eoliche (senza contare le batterie di stoccaggio) senza provocare una rivolta dell’intera popolazione.

Secondo Bonomi una transizione energetica così veloce come quella indicata da Bruxelles necessiterebbe solo per il nostro paese di investimenti per 650 miliardi nei prossimi dieci anni. Il Pnrr stanza una somma pari a circa il 10% del fabbisogno. Il resto dovrebbero farlo i privati, in aggiunta a tutte le altre sfide che le aziende dovranno affrontare per il cambiamento tecnologico e per la presenza internazionale. Ci vorrebbe quindi un piano non solo nazionale, ma a livello europeo, per sostenere le imprese nella ricerca e negli investimenti, ma anche per indicare le modalità di gestione del passaggio di molti lavoratori da settori obsoleti a quelli innovativi.  Bisogna poi stare attenti a non creare squilibri che favoriscano la delocalizzazione delle imprese,esponendo l’intero paese alle importazioni come ad esempio è successo con l’Ilva di Taranto che non produce più i laminati piani che infatti le nostre imprese meccaniche devono importare.

 Nel nostro paese, poi, a causa di alcune esasperazioni da parte di estremisti verdi, rischiamo di peggiorare il quadro già problematico offertoci da Bruxelles. Dalle nostre linee guida per la transizione è stato espulso qualsiasi accenno al nucleare, anche per quanto riguarda la partecipazione alla ricerca sulle centrali di quarta generazione, così come non si parla di idrogeno blu, mentre si impone l’obbligo di uscire dal gas entro otto anni (cosa questa assolutamente impossibile, a meno di non voler tornare al carbone come ha fatto la Germania). 

Questo continuo allarme sul rischio di catastrofe ecologica sta provocando un affannoso rincorrersi, soprattutto in Europa, di politiche improvvisate e assurdamente penalizzanti nei confronti di interi settori industriali, che rischia di avere gravi effetti non solo economici, ma anche sociali. I sacrifici a cui saranno chiamati i cittadini potranno provocare terremoti sociali e politici ed alla fine l’abbandono di politiche ambientali irrealistiche. Il problema sta nel fatto che i governi e le opinioni pubbliche spingono per interventi non adeguatamente valutati nelle loro conseguenze economiche ed anche ambientali.

Basta vedere gli effetti degli incentivi sulle rinnovabili che costano agli utenti nelle bollette della elettricità ben 13 miliardi all’anno. Ed inoltre nessuno ha ben calcolato quanta emissione di Co2 servirà alla fine per smaltire la massa di pannelli installati. La stessa cosa sta capitando sulle auto elettriche. Qualche costruttore comincia a dire che le emissioni di Co2 di una macchina elettrica, se si considera l’intero ciclo di vita dell’auto, non sono inferiori a quelle di un buon Diesel moderno e con una buona manutenzione.

Insomma Bonomi ha voluto sottolineare che rischiamo di darci obiettivi molto ambiziosi che non riusciremo a raggiungere, ma che provocheranno comunque danni enormi nel tessuto produttivo e sociale dei vari paesi europei. Di qui l’invito ai capi di governo nel prossimo consiglio europeo a non prendere per “oro colato” le proposte della Commissione ed impostare un progetto che pur mantenendo un alto livello di ambizione sugli obiettivi, che contenga sia raccordi politici con il resto del mondo, sia una chiara visione delle scelte necessarie di politica industriale per evitare una grave crisi economica e sociale in tutta Europa. 

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