Condividi

La nuova frontiera del credito online: cresce il P2P

Anche in Italia cresce il business dell’intermediazione del credito sul web. Prestiti veloci, buoni rendimenti, innovazione tecnologica. Un modo per diversificare gli investimenti, ma con prudenza.

La nuova frontiera del credito online: cresce il P2P

In rete si compra, si vende, si conoscono persone. Ora è possibile anche dare e ottenere prestiti. È il Peer to Peer lending (P2P) o lending-based crowdfunding (LBC). Tecnicamente è un sistema di finanziamento alternativo a quello bancario, con il quale persone e imprese, senza una relazione tra loro e senza passare per un intermediario finanziario, chiedono e offrono prestiti su una piattaforma online. Di norma, l’insieme di molti prestiti di importo limitato copre l’intero finanziamento.

Il P2P si è sviluppato nel Regno Unito e subito dopo negli Stati Uniti. A seguire si è affermato nell’Europa continentale, in Asia e in Sudamerica. I settori di azione sono diversificati ma i volumi maggiori sono generati nel credito al consumo (per la rapidità di erogazione), nel finanziamento a piccole e medie imprese (per la facilità di accesso al credito), nel real estate (per la possibilità di parcellizzare l’investimento immobiliare).

La crescita di capitali investiti nel P2P è costante: la principale piattaforma operante in Italia – un mercato ancora limitato – ha dichiarato a gennaio 2019 prestiti erogati per 62 milioni di euro (con un incremento del 100% rispetto all’anno precedente) e un rendimento medio del 5%; le cifre dei volumi mondiali sono dell’ordine di decine di miliardi di euro, in costante aumento. Gli italiani possono investire senza particolari difficoltà anche sulle piattaforme europee, mentre l’investimento in quelle americane o asiatiche è soggetto a vincoli amministrativi e finanziari.

Gli erogatori dei prestiti, attraverso il ricorso al P2P, possono diversificare gli investimenti e ottenere interessi maggiori rispetto agli investimenti su obbligazioni e titoli di Stato. I fruitori dei finanziamenti possono ricevere i fondi in tempi brevi, senza allegare particolari garanzie e senza pagare i costi dell’intermediazione finanziaria (salvo la “fee” delle piattaforme digitali, molto minore degli oneri di intermediazione bancaria).

Su diversi siti, i crediti erogati possono essere negoziati in un mercato secondario, consentendo un ritorno anticipato dell’investimento. Il tasso di insolvenza dei prestiti è relativamente basso e in molti casi sono previste forme di copertura del rischio. Sembra l’Eden della finanza. Ma è proprio così?

E’ vero che il P2P si avvantaggia della dimensione telematica dell’intermediazione e, come accade per il commercio on line, consente di evitare gli oneri dell’intermediazione materiale, permettendo agli investitori di ottenere rendimenti più alti e ai beneficiari di avere prestiti a tassi analoghi a quelli del mercato tradizionale dei mutui, in tempi molto più brevi rispetto a una normale procedura di finanziamento.

E’ vero che con il P2P il piccolo/medio risparmiatore può investire facilmente in Paesi esteri, su iniziative specifiche, in economie in crescita, così fruendo di una possibilità di diversificazione degli investimenti altrimenti impossibile.

E’ vero che il P2P consente l’accesso al credito a start up e soggetti con ridotto potenziale economico, che avrebbero difficoltà a interloquire con le istituzioni finanziarie; che l’innovazione tecnologica nel settore credito impone alle banche di rinnovare la propria offerta, adeguandosi a standard più efficienti e moderni, con costi inferiori per l’utenza; che le stesse banche possono cooperare col P2P, per essere presenti anche in questo settore di mercato (come già avviene nel Regno Unito e in U.S.A.).

Tuttavia vi sono dei rischi.

Per l’investitore, il primo rischio è il default dell’intermediario digitale. Nella malaugurata ipotesi, all’investitore non rimarrebbero che dei crediti telematici da far valere verso quanto resta dei beni del sito web o direttamente verso i debitori: una prospettiva preoccupante, specie per investimenti medio/piccoli, che non giustificherebbero azioni legali. A seguire, c’è il rischio della perdita del capitale, in tutto o in parte, in relazione alla possibilità di insolvenza del debitore.

Tali evenienze vanno considerate nell’ambito di una corretta gestione degli investimenti, e quindi in relazione a una attenta diversificazione degli asset, all’esterno e all’interno della piattaforma P2P, prestando attenzione sia alla credibilità del sito internet di riferimento (come volume di capitale movimentato e stabilità nel tempo), sia a quella del beneficiario del prestito (come soggetto e come attività da finanziare). A tal fine sono disponibili on line dei report sull’affidabilità delle varie piattaforme e, all’interno di queste, dei richiedenti prestiti.

Inoltre, il rischio insolvenza del debitore va affrontato tenendo conto del rapporto tra rendimenti attesi e rischio del credito (vi sono piattaforme P2P speculative, dove è possibile investire a tassi superiori al 10%, senza garanzie, aggirando con intermediazioni estere i limiti dei tassi di usura; e piattaforme più cautelative, dove i rendimenti sono inferiori, ma si può fruire di varie forme di protezione del capitale).

E vanno ponderate le diverse forme di tutela del capitale dal rischio insolvenza: possibilità di Buy Back (riacquisto garantito di quanto investito, capitale e interessi, ad opera della piattaforma digitale); presenza di un collaterale a garanzia del prestito (a carattere reale o finanziario); disponibilità di un Fondo di salvaguardia per gli investitori; fino a strumenti di minor tutela, scontando in tutti i casi un inevitabile calo dei rendimenti per gli oneri connessi.

Per il sistema finanziario, vi è il rischio che il P2P possa produrre un trasferimento di ingenti crediti verso l’intermediazione virtuale, con riduzione delle quote di mercato dei soggetti istituzionali e conseguente indebolimento dell’intero sistema. In sostanza, potrebbe avvenire nel comparto finanziario quello che è avvenuto e sta avvenendo in quello commerciale, con spostamenti di quote di mercato sempre più grandi dal fisico al virtuale.

Rispetto a questa prospettiva, l’approccio non può che essere aperto, perché le trasformazioni tecnologiche da un lato sono incontenibili, dall’altro possono comportare significativi vantaggi per le famiglie e gli operatori.

Come per il commercio on line, le aziende di settore sono chiamate a investire sull’attività in rete, creando nuovi canali di intermediazione finanziaria sul web, correlati con i canali tradizionali. Il che significa che le banche e gli operatori di settore, come già avviene nel Regno Unito e in U.S.A., devono innovare l’offerta alla clientela, per occupare anche lo spazio di mercato della rete, affiancandosi o aggregandosi alle piattaforme già esistenti.

Come per il commercio on line, è necessario predisporre una regolamentazione che garantisca adeguati livelli di qualità dell’offerta e di protezione della clientela. Questo vuol dire che, nella misura in cui il P2P diviene un fattore rilevante del mercato del credito, vanno predisposte regole di garanzia per le famiglie e l’intero sistema finanziario.

In particolare, è corretto individuare un’autorità di riferimento per la regolamentazione e il controllo del settore, con il compito di garantire congrui livelli di informazione agli erogatori del credito e di adottare misure utili a limitare l’ingresso nel mercato di debitori senza requisiti minimi di solvibilità, di soggetti illegali, di intermediari inaffidabili. Questo con la finalità di tutelare il risparmio di famiglie e imprese, contenendo il rischio che insolvenze o default nel P2P possano produrre danni gravi agli erogatori dei crediti o contagiare il sistema finanziario.

Attualmente sono pochi i Paesi che hanno adottato regolamentazioni sul P2P. In Europa lo hanno fatto la Francia, il Regno Unito, il Portogallo e la Spagna. La Commissione europea, seppur attenta agli sviluppi del settore, non ha predisposto atti regolatori.

In Italia non c’è ancora una regolamentazione specifica ma i soggetti attivi nel settore sono sottoposti alle normative e ai controlli del comparto di riferimento (raccolta del risparmio, attività bancaria, mediazione creditizia, finanziamenti ecc.). E di recente Palazzo Koch ha adottato anche un regolamento sulla raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche. Le piattaforme operanti in Italia sono quindi soggette a regole e controlli, benché non specifici, sotto la vigilanza della Banca d’Italia.

Dal punto di vista fiscale, in Italia le plusvalenze da prestito P2P sono sottoposte a una ritenuta fissa del 26% per gli investimenti su piattaforme italiane, con trattenuta alla fonte del sostituto di imposta; mentre concorrono al reddito Irpef per i crediti erogati su piattaforme estere, nell’ambito della dichiarazione dei redditi.

In definitiva, il P2P si presenta come uno strumento utile per consentire un agevole accesso al credito e per diversificare gli investimenti, a condizione di calibrare l’investimento sulla situazione finanziaria personale, negoziare su una piattaforma digitale consolidata e valutare attentamente le regole sottese al credito specifico (interessi, garanzie, tempi e modalità di rientro, mercato secondario, caratteristiche del progetto finanziato, rating del debitore).

Commenta