Condividi

La deglobalizzazione è un’occasione per i porti italiani. Lo studio di CDP

La globalizzazione rallenta e fa nascere opportunità da cogliere per i porti italiani. L’Italia infatti potrebbe diventare il principale hub logistico portuale tra Nord Africa ed Europa continentale ma deve prima rafforzare la competitività degli scali puntando sull’efficientamento dei servizi portuali

La deglobalizzazione è un’occasione per i porti italiani. Lo studio di CDP

Nuove opportunità da cogliere per i porti italiani. A causa della deglobalizzazione diminuisce il peso del commercio internazionale sul PIL mondiale e si sta riducendo la frammentazione delle catene globali di fornitura con gli scambi commerciali che si stanno “regionalizzando”. Nel Mediterraneo si sta sviluppando una cooperazione economica che si potrebbe tradurre in un occasione per la portualità italiana. L’Italia ,infatti, potrebbe diventare il principale hub logistico portuale tra Nord Africa ed Europa continentale ma deve prima rafforzare la competitività degli scali puntando sull’efficientamento dei servizi portuali, il potenziamento delle infrastrutture per l’intermodalità, e lo sviluppo di aree retroportuali e trasformazione green. È quanto emerge dall’ultimo brief degli analisti di CDP dal titolo “Deglobalizzazione e Mar Mediterraneo: quale ruolo per l’Italia?”.

Il rapporto in dettaglio

Nel rapporto si mostra una progressiva riduzione del peso del commercio internazionale sul PIL mondiale, riconducibile in misura significativa all’esaurimento del processo di frammentazione delle catene globali del valore. In sostanza, la produzione mondiale non continua a dividersi tra imprese localizzate in Paesi diversi, ma, al contrario, mostra segnali di un ritorno a una maggiore concentrazione all’interno dei confini nazionali. Questo ha portato, come conseguenza, al fatto che, alcuni nodi di scambio nel percorso delle catene di fornitura, si sono progressivamente sciolti nel corso degli anni. Una disgregazione che ha ridotto il numero di operazioni transnazionali contraendo l’interdipendenze tra Paesi.

Sono due i principali fattori che hanno generato queste dinamiche: l’ambizione della Cina di affermarsi come potenza industriale sempre meno dipendente da tecnologie importate e dall’export e il recente ripensamento da parte dell’Occidente delle dipendenze estere in filiere strategiche per la sicurezza nazionale. Le politiche degli Stati Uniti e dell’UE tendono a favorire processi selettivi sia di re industrializzazione (reshoring), sia di ri-localizzazione delle filiere produttive, puntando su partner geopoliticamente affidabili (friendshoring).

Verso una regionalizzazione della produzione e degli scambi

Queste nuove dinamiche, spiegano gli analisti di CDP, potrebbero portare verso una regionalizzazione della produzione e degli scambi, che permetterebbero di rafforzare la cooperazione economica nel Mediterraneo. I Paesi extra-europei affacciati sulle sponde del mediterraneo rappresentano un ottima soluzione per ridefinire le filiere produttive dell’Unione Europea. Le leve da poter sfruttare sono:

  • una buona specializzazione in ambiti industriali di particolare interesse per le imprese europee a valle
  • costi di produzione ancora contenuti
  • una dotazione di infrastrutture logistico-portuali in deciso rafforzamento.

Il tutto monitorando attentamente l’instabilità economica e sociale che caratterizza molti della fascia del Nord Africa e del Medio Oriente.

Opportunità per la portualità italiana

In quest’ottica di riassetto degli equilibri commerciali nel Mediterraneo nascono nuove opportunità per la portualità italiana, che può fare leva sulla sua leadership indiscussa nel traffico marittimo a corto raggio, ossia una modalità di trasporto pienamente in linea con le esigenze del commercio regionale. In questo settore l’Italia può far valere una posizione di eccellenza, essendo il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, con una quota di mercato pari al 14% del totale, davanti a Paesi Bassi 13,5%, Spagna 10% e Francia 7% (secondo i dati Eurostat).

Nonostante la collocazione strategica del nostro paese occorre, però, superare alcuni limiti alla competitività del sistema portuale. Secondo gli analisti di CDP, approfittando anche dei fondi del Pnrr bisogna agire su quattro punti:

  • Migliorare l’efficienza dei servizi portuali, riducendo i tempi di stazionamento delle navi che risultano decisamente elevati rispetto ai principali concorrenti (il tempo medio di attesa nei porti italiani si attesta a 1,34 giorni contro 0,62 nei Paesi Bassi e 0,9 in Spagna)
  • Potenziare servizi e infrastrutture per l’intermodalità, cruciali per il rilancio e lo smistamento dei carichi portuali. Ad oggi, tra i principali porti italiani solo due su cinque sono collegati direttamente alla rete ferroviaria nazionale
  • Sviluppare le aree retroportuali, attraverso la piena implementazione delle Zone Economiche Speciali (ZES) e delle Zone Logistiche Speciali (ZLS), due strumenti cruciali per incoraggiare gli investimenti e l’insediamento di nuove imprese.
  • Promuovere l’efficientamento degli scali in ottica green, puntando in particolare sul cold ironing, ovvero l’alimentazione delle navi attraverso l’elettrificazione della rete di terra durante le soste in porto (a fine 2021, in Italia c’erano solo due banchine dotate di servizi di alimentazione onshore contro le 145 dei Paesi Bassi), sullo sviluppo di infrastrutture per l’accosto di navi GNL/dualfuel o alimentate da combustibili alternativi (ammoniaca, metanolo, idrogeno) e sull’abilitazione all’uso di energie rinnovabili in porto.

Commenta