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La Commissione Ue spinge l’acceleratore su energia, clima e “Rinascimento industriale”

Rafforzati, ma con scadenza 2030, i parametri relativi alle emissioni di gas ad effetto serra e al peso delle rinnovabili nel mix delle fonti energetiche – Barroso sottolinea la stretta interdipendenza fra le misure per l’energia e il clima e quelle per l’industria – Tajani: “Cento miliardi dal bilancio settennale per rilanciare il manifatturiero”.

La Commissione Ue spinge l’acceleratore su energia, clima e “Rinascimento industriale”

È ragionevolmente possibile contenere i consumi energetici, frenare il cambiamento climatico e, al tempo stesso, rilanciare il peso dell’industria manifatturiera in un contesto di ripresa economica ancora molto debole e di crisi occupazionale niente affatto superata? Per rispondere a un interrogativo così complesso la Commissione europea lancia due pacchetti di proposte che tengano insieme tutti questi obiettivi. Lancio contestuale, per il tramite di due conferenze stampa l’una dietro l’altra a Bruxelles con l’intervento in entrambe, a testimoniare la stretta correlazione che l’Esecutivo di Bruxelles attribuisce ai temi in ballo, del presidente José Manuel Barroso. Il quale afferma che “tanto per l’energia quanto per il clima, gli obiettivi non sarebbero minimamente raggiungibili senza la contestuale crescita dell’industria manifatturiera”. E aggiunge che, “d’altra parte, la soluzione dei problemi energetici e di quelli climatici è la condizione essenziale per la ripresa dell’economia”.

Le proposte della Commissione – sottolineano in sede di presentazione il vicepresidente Antonio Tajani (responsabile di Industria e Imprenditoria) e gli altri commissari coinvolti, il tedesco Günther Öttinger (Energia) e la danese Connie Hedegaard (Ambiente) – “sono ambiziose ma realistiche”. Ambiziose, verrebbe da aggiungere, a causa della difficoltà oggettiva di centrare tutti i bersagli mirati. E realistiche se si considera da un canto che le scadenze temporali sono abbastanza lontane (il 2020 per il Rinascimento industriale, e addirittura il 2030 per l’energia e il clima) e dall’altro che in qualche misura viene ufficializzato il ridimensionamento del ruolo di Bruxelles nel rapporto con gli Stati membri dell’Ue.

Le questioni che la Commissione intende avviare a soluzione richiedono entrambe interventi urgenti. Fra questi sembrano rivestire carattere di particolare immediatezza quelli relativi al Rinascimento industriale (la definizione è di Tajani). Se non altro poiché da essi ci si attende, più in generale nell’intera Unione europea e in particolare in Italia, tanto un’accelerazione della debole ripresa dell’economia quanto una sostanziale inversione di tendenza in termini di andamento dell’occupazione.

In un’Europa in cui il peso dell’industria manifatturiera continua a declinare (secondo l’ultima rilevazione rappresenta il 15,1% del prodotto interno lordo) la Commissione ribadisce l’esigenza di una radicale inversione di rotta per portare quella quota al 20% entro il 2020, come era stato convenuto nel 2012. “Ecco perché – chiarisce Tajani – il tema delle competitività industriale deve essere al centro dell’agenda politica del Consiglio europeo di marzo. Al quale la Commissione ricorda inoltre che per creare nuovi posti di lavoro è indispensabile reindustrializzare e modernizzare con grande urgenza la nostra economia”.

Ed è questo l’obiettivo proposto dalla Commissione con la comunicazione “Per una rinascita industriale europea”, lanciata mercoledì 22. Un documento con il quale il Consiglio e il Parlamento europei sono invitati a investire almeno 100 miliardi del bilancio settennale dell’UE per il “Rinascimento” dell’industria manifatturiera. Una massa di risorse che, si legge nella comunicazione, possono essere messe insieme facendo affidamento su una serie di capitoli di bilancio che comprendono fra l’altro i fondi strutturali destinati alla coesione economica delle regioni più deboli, quelli di Orizzonte 2020, il programma nato per sostenere e sviluppare la ricerca e l’innovazione, e quelli di Cosme, il programma di sostegno per le piccole e medie imprese.

Queste risorse, aggiunge la Commissione, dovranno essere destinate prioritariamente agli interventi su alcune aree cruciali per recuperare la competitività perduta in tanti anni di crisi globale e ridare impulso alla crescita sostenibile: in primo luogo energia, trasporti, spazio, reti di comunicazione digitali, completamento del mercato unico. La comunicazione infine indirizza una sollecitazione pressante agli Stati membri e alle relative amministrazioni locali affinché si associno agli obiettivi perseguiti dalle istituzioni comunitarie. E perseguano anche obiettivi forse di “piccolo cabotaggio” ma molto utili per ripristinare un clima di fiducia fra le autorità pubbliche e le imprese; come, per esempio, la definizione di un nuovo “Small Business Act” che possa consentire di creare una nuova azienda in meno di tre giorni a un costo non superiore a 100 euro.

Quanto poi al filone relativo all’energia, alla base dell’iniziativa della Commissione ci sono serie preoccupazioni di ordine finanziario: prima fra tutte quella derivante dalla constatazione dell’entità della cosiddetta fattura energetica, ossia del costo dell’import delle materie prime (petrolio e gas in primis), che per l’intera UE ammonta a 400 miliardi l’anno. Cifra che, in assenza di adeguate contromisure, rischia di ingigantirsi ulteriormente nell’arco del quindicennio abbondante che ci separa dal 2030, ossia l’anno entro il quale dovranno essere raggiunti gli obiettivi indicati ora dalla Commissione. Obiettivi finanziari che, sottolinea l’Esecutivo di Bruxelles, devono essere perseguiti insieme con quelli ambientali in vista della conferenza mondiale in programma l’anno prossimo a Parigi per ridefinire gli accordi di Kyoto, sintetizzati nella formuletta 20-20-20. Cioè, com’è noto, riduzione, entro il 2020 rispetto al 1990, del 20% della quota di emissioni di gas a effetto serra; aumento, sempre del 20%, della quota delle rinnovabili sul totale delle fonti di energia; risparmio, anche questo del 20%, dei consumi elettrici in conseguenza di una maggiore efficienza energetica.

Quella formula non vale più, dice ora la Commissione con queste sue ultime proposte che spostano la scadenza al 2030. Entro quell’anno i nuovi obiettivi stabiliscono che la riduzione delle emissioni di CO2 rispetto al 1990 dovrà essere almeno del 30%, e che la quota delle fonti rinnovabili dovrà arrivare al 27%.  Mentre, per quel che concerne il taglio dei consumi, la Commissione ribadisce l’importanza dell’efficienza energetica senza fissare però nuovi parametri e si limita poi a preannunciare una proposta di nuova direttiva per la fine dell’anno.

È opportuno sottolineare infine un elemento di novità non indifferente da parte della Commissione: la scelta di non imporre agli Stati membri il rispetto dei parametri relativi alle rinnovabili e alle emissioni di gas. Non una “dimenticanza”, ma più probabilmente una misura prudenziale volta a prevenire le conseguenze di possibili (forse probabili) irrigidimenti da parte di qualche Paese membro. E anche, non è incoraggiante registrarlo, la testimonianza dell’ulteriore indebolimento di quello spirito comunitario che tante volte in passato è stato il collante che ha consentito i più importanti passi avanti del processo di integrazione europea.

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