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La Catalogna indurrà la Bce a miti consigli e la Borsa può salire

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Bond e Borse fanno il tifo per un’inflazione vicina all’1,5% – “Per il 26 ottobre scommettiamo su una Bce più colomba delle attese, complice la crisi catalana che si preannuncia lunga e difficile: se sarà così, l’euro si indebolirà e le Borse saliranno e su quel rialzo siamo pronti ad alleggerire”

La Catalogna indurrà la Bce a miti consigli e la Borsa può salire

La storia è sempre scritta dai vincitori. Biologicamente, i vincitori siamo noi che respiriamo ossigeno e che cantiamo le lodi delle foreste verdeggianti che lo producono. Gaia ci appare viva e meravigliosa. Per i vinti, Gaia era bella fino a due miliardi e mezzo di anni fa. I vinti avevano popolato il pianeta per un miliardo e mezzo di anni e condotto le loro esistenze tranquille metabolizzando energia attraverso la fermentazione, resa a sua volta possibile dal monossido di carbonio, dai solfati, dal mercurio, dai nitrati.

Per i vinti l’ossigeno era altamente tossico. Purtroppo per loro all’alba del Proterozoico questo terribile gas iniziò a diffondersi. La Grande Ossidazione, come viene ricordata oggi, è la più grande catastrofe che si ricordi nella storia della vita. Recentemente si sono scoperti in fondo agli oceani, rifugiati in profondità abissali in zone vulcaniche, i pochi superstiti anaerobici di quella strage. Per loro Gaia è diventata un inferno. L’inflazione è stata fino al 2008 un gas tossico esiziale per la maggior parte delle forme di vita economica. In condizioni naturali non alterate la tendenza storica dei prezzi è stata del resto di lento ribasso.

L’inflazione si è prodotta tipicamente solo in tempo di guerra quando gli stati, oltre a tassare e contrarre debiti, hanno pagato armi e soldati con moneta con valore nominale più alto del valore intrinseco. Ci sono state due eccezioni a questa regola. La prima si è verificata quando improvvise scoperte di oro, come nella seconda metà del Cinquecento in America e nell’ultimo decennio dell’Ottocento nel Transvaal, hanno provocato un rialzo dei prezzi. La seconda quando gli stati, anche in tempo di pace, hanno pensato bene di finanziare i disavanzi fiscali attraverso la stampa di carta moneta. Gli esempi recenti più rilevanti sono Zimbabwe e Argentina, ma la pratica risale alla notte dei tempi.

Dal 2008 il gas tossico si è trasformato in ossigeno benefico. Non per i consumatori e i risparmiatori tranquilli, che continuano a pensare all’antica e a detestare l’inflazione, ma per le banche centrali, i governi, l’accademia. In un mondo indebitato fino al collo un’inflazione pari o superiore al due per cento accompagnata da tassi reali negativi trasferisce ricchezza dai creditori ai debitori e mantiene questi ultimi in vita anche se sono inefficienti. L’azionario e l’obbligazionario non amano l’inflazione in sé. L’esperienza degli anni Settanta è lì a ricordarci che i bond soffrono pene indicibili e l’equity sta a malapena a galla in termini reali quando la crescita dei prezzi supera un certo livello.

Quella che bond e equity amano oggi è una condizione molto particolare in cui l’inflazione non è troppo bassa (sarebbe un segno di debolezza dell’economia) ma resta sotto l’obiettivo del due per cento. In questo modo le banche centrali sono indotte a mantenere i tassi reali negativi e quelli nominali bassi, permettendo a bond e azioni di prosperare. Per garantirsi la sopravvivenza su questi livelli elevati, dunque, bond e azioni hanno bisogno di un microclima assolutamente stabile, il meno lontano possibile dall’1.5 per cento di inflazione. Qualsiasi altro livello è rischioso. Dal due in su le banche centrali devono alzare i tassi nominali, mettendo sotto pressione i multipli azionari e i bond lunghi.

Dall’uno in giù significa che l’economia non reagisce agli stimoli ed è quindi fuori controllo. Più ancora della crescita, gradita ma non indispensabile, è l’inflazione che va esaminata al microscopio. È davvero all’1.5 per cento? In che direzione sta andando? Riusciranno le banche centrali a farla salire con i tassi bassi? Al microscopio si nota che l’inflazione è diversa da come appare a occhio nudo. A tenere bassi i prezzi non sono Amazon, le stampanti 3D, i robot e tutta la fantascienza tecnologica che ci fa sognare un mondo di abbondanza in cui le macchine ci forniranno tutto gratis e in più verranno tassate per darci anche un salario di cittadinanza.

Goldman Sachs, con un lavoro paziente, ha calcolato che l’e-commerce, in questo decennio, ha abbassato l’inflazione solo dello 0.1 per cento, metà di quanto l’aveva fatta scendere nel decennio precedente la diffusione degli ipermercati alla Walmart. È stata per contro Obamacare a fare crollare l’inflazione sanitaria per ragioni che non sono per niente futuristiche e scintillanti e sono anzi, a ben vedere, banali e anche tristi. Fino al 2010 l’inflazione sanitaria era sempre stata molto più alta di quella generale. La popolazione invecchia, si diceva, e inoltre è sempre più benestante. Logico che spenda di più per la salute e comprensibile che questo crei una pressione secolare sui prezzi del settore.

Secolare? Oggi l’inflazione sanitaria in America è più bassa di quella generale. Obamacare ha imposto per via amministrativa prezzi più bassi agli ospedali e ha fatto raddoppiare il costo delle polizze sanitarie. I prezzi degli ospedali sono calcolati nel Pce, l’indice guardato dalla Fed, mentre quelli delle polizze non sono inclusi. Nelle nuove polizze post Obamacare è esplosa poi la franchigia (i primi 10-20mila dollari di spesa non sono rimborsati) e questo ha fatto contrarre la domanda di cure e controlli medici, facendone scendere il prezzo.

Senza questo effetto l’inflazione americana sarebbe oggi dello 0.4 per cento più alta (1.8 invece di 1.4 il Pce Deflator e 2.6 invece di 2.2 il Cpi). Quanto alla tendenza, State Street, che calcola l’inflazione nell’e-commerce di tutti i settori, nota un’impennata negli ultimi tre mesi. L’inflazione dell’online è un’indicatore anticipato. È qui che le aziende sperimentano rialzi e sconti che, in caso di successo, verranno adottati su scala più ampia. Dal canto suo GaveKal, con altrettanta acribia, è andato a guardare sotto la superficie dei dati ufficiali giapponesi e ha notato, oltre alla pessima qualità del metodo di raccolta dei dati (un questionario inviato a un gruppo di dipendenti pubblici anziani che hanno il tempo e la voglia di compilarlo), una notevole e crescente sottostima dell’inflazione.

Con questo non vogliamo affermare che i dati di cui si nutre (e su cui filosofeggia) il mercato siano profondamente sbagliati o frutto di manipolazione. Vogliamo semplicemente dire che sono meno solidi e univoci di come appaiono. In tempi normali non sarebbe un grosso problema. L’inflazione è sempre una, nessuna e centomila ed esistono tante inflazioni quanti sono i panieri di ognuno di noi. In tempi in cui le valutazioni sono elevate, tuttavia, anche le piccole crepe vanno tenute d’occhio. Quanto all’efficacia del metodo seguito finora dalle banche centrali per fare salire l’inflazione (tenere i tassi eccezionalmente bassi) il dibattito è acceso. Evitare il default degli zombie è positivo nella fase acuta di una crisi, quando si produrrebbe un effetto domino che coinvolgerebbe anche i soggetti sani.

Tenere in vita gli zombie a crisi terminata provoca però un’allocazione subottimale delle risorse, abbassa la produttività di sistema e tiene in realtà bassa l’inflazione, perché gli zombie, che producono in perdita, tolgono pricing power ai sani. Non è da escludere che una Fed eventualmente guidata da Taylor provi ad abbandonare la strada dei tassi bassi ad ogni costo. Per il 26 scommettiamo su una Bce più colomba delle attese, complice una crisi catalana che si preannuncia lunga e difficile. Se la Bce sarà davvero morbida, l’euro si indebolirà (o avrà comunque meno spazio per rafforzarsi nei prossimi mesi) e le borse saliranno. Su quel rialzo siamo pronti ad alleggerire.

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