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Joe Biden, tutti i dolori del Presidente americano

Il Presidente degli Usa, Joe Biden, sta vistosamente perdendo terreno mentre l’incubo Trump incombe ancora sull’America – Sul New York Times la columnist e Premio Pulitzer, Maureen Dowd (di cui pubblichiamo in italiano uno dei suoi più recenti interventi) spiega il sentiment degli States

Joe Biden, tutti i dolori del Presidente americano

Joe Biden è partito fortissimo che sembrava Franklin Delano. Poi si è afflosciato. Biden ha sopravvalutato le sue capacità di convinzione e di mediazione bipartisan. Dopo 36 anni di consumata frequentazione del Senato forse, come suggerisce quanto leggerete sotto, non sembra essersi reso conto che il clima è cambiato, è diventato, cioè, quello di Arrakis, il pianeta di Dune.

Poi, come sottolinea un editoriale del “Financial Times”, Biden si è circondato di yes-man e di amici fidati bel buon tempo senza che nessuno di lora possa dirgli con la necessaria autorevolezza “No, presidente”. Ricorda qualcuno questa scelta? 

Sta di fatto che con tale ostentata sicurezza di sé, Biden finora non è riuscito neppure a convincere tutti i democratici. Figuriamoci i repubblicani. Le senatrice democratica dell’Arizona, Kyrsten Sinema, e il senatore della West Virginia Joe Manchin III gli hanno detto di no praticamente su tutti i punti salienti della sua agenda. E adesso Biden, a pochi mesi dalle elezioni di medio termine, si trova da dove è partito. Okay, è stato anche sfortunato. Nemmeno il Covdi gli ha dato un po’ di tregua.

C’è adesso molta inquietudine nelle file democratiche e tra coloro che vogliono arginare il trumpismo di seconda ondata. Nell specchietto retrovisore, infatti, c’è già l’ex-presidente e Biden non sembra una opzione spendibile due volte. Questo sentiment lo si percepisce bene nell’editoriale dell’“opinionista top” del New York Times e Premio Pulitzer Maureen Dowd che vi proponiamo di seguito.

Buona lettura.

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N.B. Abbiamo messo tra parentesi quadre delle brevi note su alcuni riferimenti alla politica e alla storia americana che il lettore italiano, non assiduo di cose americane, potrebbe ignorare.

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Povero Joe

I dolori di Joe Biden: Kyrsten Sinema lo ha umiliato; Mitch McConnell [leader dei repubblicani al Senato] gli ha mancato di rispetto; la Corte Suprema lo ha bloccato; Vladimir Putin lo ha sfidato; l’inflazione lo ha incalzato; il Covid lo ha tartassato. Persino Stacey Abrams [in lizza per i democratici nella corsa a governatore della Georgia] gli ha voltato le spalle.

I sentimenti che il presidente sta provando in questo momento sono quelli che stiamo provando noi stessi. Pietà, rabbia, delusione, imbarazzo… e speranza che si possa andare avanti, perché l’alternativa è davvero spaventosa.

Per quanto Biden e il suo staff siano in difficoltà, non possiamo rinunciare a Biden perché è tutto ciò che si frappone tra noi e l’apocalisse ad opera di Trump, DeSantis [governatore repubblicano della Florida], Pence [ex vice-presidente], Kristi Noem [governatrice del South Dakota] e la prossima giudice capo Amy Coney Barrett [giudice della Corte suprema in quota conservatrice].

Il nostalgico Biden

Il presidente Biden ha finora fantasticato di essere un Master&Commander del Senato. Sfortunatamente, quello era il Senato del 1984. Riteneva di essere pari a Mitch McConnell in astuzia senatoriale. Ma, finora, McConnell – l’Einstein dell’ostruzionismo – ha avuto un successo sorprendente nel rovinare l’agenda di Biden.

L’unico grande risultato di Biden, le infrastrutture, è stato raggiunto con il sostegno di McConnell perché nella legge c’erano abbastanza soldi per sistemare le buche nella strada del Bourbon in Kentucky dove è il collegio elettorale di McConnell. 

Quando la scorsa settimana il presidente Biden è salito al Senato per pranzare con i democratici e discutere della situazione, dall’indomani della pugnalata al cuore di Kyrsten Sinema, non ha potuto fare a meno di cadere nelle nostalgiche nebbie del passato, i bei vecchi tempi in cui si poteva lavorare con Webster, Clay e Calhoun (Forse non con Calhoun). [Henry Clay, Daniel Webster, e John C. Calhoun, il grande triunvirato, erano i tre legislatori che hanno dominato Capitolo Hill nella prima metà del 19° secolo]

Nell’incontro privato a Capitol Hill nella Kennedy Caucus Room con i rappresentanti del Partito democratico, secondo la ricostruzione di alcuni presenti, Biden ha raccontato quanto abbia significato per lui, senatore appena eletto, essere portato fuori a pranzo da Ted Kennedy. Il presidente ha detto poi, con malinconia, di aver visto la sala da pranzo del Senato vuota, quella sala dove, una volta, tutti i senatori si intrattenevano ed elaboravano accordi in un clima di collegialità bipartisan. Infine, tornando su un punto che ha toccato nel suo appassionati discorso ad Atlanta sul diritto di voto, ha detto che persino Strom Thurmond – il candidato presidenziale segregazionista del 1948 – sarebbe stato più favorevole al diritto di voto di quanto lo siano oggi i repubblicani.

Ma trangugiare una zuppa di fagioli con McConnell e John Thune [senatore del South Dakota] non farà calare la febbre sul diritto di voto. Non importa quante volte Biden menzioni Strom Thurmond, il clima che il presidente cerca non tornerà più.

“Strom Thurmond?” Nancy Pelosi ha sbottato dopo che Biden lo ha tirato fuori nel discorso ad Atlanta. “Nessuno di noi ha molti bei ricordi di Strom Thurmond”.

L’obiettivo dei repubblicani

Il problema è sempre lo stesso fin dall’inizio. Non è il Senato, il paese o il mondo che Biden ricorda con nostalgia. I repubblicani non sono aperti al dialogo o disposti a farsi persuadere. Il loro obiettivo, come è stato con Barack Obama, è quello di rendere la presidenza di Biden un fallimento.

Uno dei molti punti deboli della logica traballante di Kyrsten Sinema nel suo discorso al Senato sul motivo per il quale l’ostruzionismo [filibustering] deve essere preservato è che lei rimprovera ai democratici di non lavorare abbastanza per portare i repubblicani a proteggere i diritti di voto.

Psst! Senatrice Sinema. Questo è il punto. I repubblicani in realtà non vogliono che tutti votino, a meno che non siano campagnoli o bianchi. E non vogliono aiutare Biden. Questo va tutto a loro vantaggio. McConnell non è certo un babbeo.

I repubblicani sanno che l’aver reso più facile il voto durante la pandemia ha favorito l’elezione al Senato delle due matricole democratiche della Georgia [Raphael Warnock, Jon Ossoff eletti nel gennaio del 2021 sconfiggendo i due incumbent repubblicani] e portato Chuck Schumer [senatore democratico dello Stato di New York], non McConnell, a leader del Senato. 

E McConnell non vuole che questo accada di nuovo. Anche se Schumer è un tale pavido che ha messo da parte, a causa del cattivo tempo!, la promessa di una resa dei conti sui diritti di voto entro il Martin Luther King Day.

Sinema ritiene che sia necessario parlare di più: “Abbiamo bisogno di strategie chiare e continuative che mettano da parte le etichette di partito e si concentrino sulla nostra democrazia”, ha dichiarato. Certo! Come se questo potesse davvero accadere. Sta delirando come Biden.

Perché Biden è stato eletto

Biden è stato eletto per non essere Trump, per essere una comoda vecchia scarpa. Ha promesso troppo e non ha mantenuto le promesse. La gente voleva competenza e stabilità e invece abbiamo incompetenza e instabilità.

Biden sta gestendo la Casa Bianca come un ufficio del Senato con la consueta cerchia di collaboratori maschi bianchi dei bei vecchi tempi

Il vero problema è il presidente stesso, che non riesce a scuotere nemmeno la Commissione giudiziaria [la Judiciary Committee che indaga anche sui fatti del 6 gennaio 2021] la quale tiene le sue più importanti audizioni nella medesima Caucus Room dove Biden ha incontrato i democratici.

Biden è tra le erbacce. È così perduto nelle nebbie di un tempo che sta continuando il suo pendolarismo “Amtrak Joe” quasi ogni fine settimana tra Washington e il Delaware, anche se con un mezzo migliore di quello che utilizzava quando era al Senato. Al posto del treno [Amtrak. appunto] viaggia il Marine One [l’aeromobile dei Marines adibito al trasporto del presidente].

Vogliamo che il presidente si elevi e sia una figura ispiratrice. Non ci interessano gli aggiornamenti incrementali dei suoi negoziati con Joe Manchin [l senatore democratico del West Virginia decisivo nelle votazioni del Senato, dove i democratici hanno un solo seggio di maggioranza].

Vogliamo vedere il Covid sotto controllo. Vogliamo vedere il sacro diritto di voto protetto. Vogliamo gli scaffali del supermercato riforniti di latte e di carne a prezzi accessibili. Vogliamo un presidente che ci dica che supereremo tutto questo e saremo più forti di prima.

Joe Biden farà meglio a darsi una mossa o non tornerà alla Casa Bianca. Se non inizia subito, spianerà la strada a una disfatta nelle elezioni di metà mandato di quest’autunno. E nel 2024, chi sa quanto male potrebbe andare?

Poveri noi.

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Da Maureen Dowd, More Mojo, Joe!, “The New York Times”, 15 gennaio 2022

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Maureen Dowd, vincitrice del premio Pulitzer 1999 per il suo lavoro di commentatrice, è diventata columnist Op-Ed del “New York Times” nel 1995. Nell’agosto 2014 ha iniziato a collaborare anche con Times Magazine.

Nata a Washington 70 anni fa, nel 1983 è entrata al “New York Times” come metropolitan reporter e poi si è trasferita all’ufficio di Washington del quotidiano di New York dove ha iniziato a scrivere di politica come corrispondente dalla Casa Bianca. Ha coperto nove campagne presidenziali, curando anche la colonna di Times Magazine”On Washington”. 

Nel 2004 ha pubblicato il suo primo libro, Bushworld sulla personalità di George W. Bush, un libro che ha rapidamente scalato la classifica dei best-seller. Si è quindi dedicata alle questione dei generi anticipando con Are Men Necessary? When Sexes Collide, pubblicato nel 2005, i temi del movimento Me Too.

Oltre al New York Times, Maureen Dowd ha scritto e scrive per GQ, Vanity Fair, Rolling Stone, The New Republic, Mademoiselle, Sports Illustrated e altri. La sua rubrica appare ogni domenica sul “New York Times”

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