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Innovazione, il nuovo Ministero e 5 priorità per l’Italia

La creazione di un nuovo Ministero per l’Innovazione e la digitalizzazione è, almeno nelle intenzioni, una buona notizia ma per affrontare la Quarta Rivoluzione Industriale l’Italia ha bisogno di una visione e di una politica di medio-lungo periodo

Innovazione, il nuovo Ministero e 5 priorità per l’Italia

La creazione di un nuovo ministero per l’Innovazione e la digitalizzazione è una buona notizia, almeno nelle intenzioni. Di innovazione e digitalizzazione l’Italia ha bisogno assai, ma ad oggi manca un’azione di sistema in cui inserire una visione di medio e lungo periodo, che risponda dinamicamente ad un cambiamento tecnologico sempre più rapido e spesso imprevedibile, che è lecito attendersi si intensificherà nei prossimi anni.

Per provare a stilare delle indicazioni di politica dell’innovazione e della digitalizzazione occorre partire dal fatto che siamo alle porte di una nuova rivoluzione industriale, la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale. Tale rivoluzione sarà caratterizzata dall’applicazione pervasiva delle nuove tecnologie digitali, quali la robotica, l’internet delle cose, l’additive manufacturing o stampa 3D, analisi di big data, machine learning e intelligenza artificiale. Queste nuove tecnologie hanno tre caratteristiche fondamentali che devono essere considerate per disegnare una politica appropriata:

a. Pervasività: sono tecnologie potenzialmente applicabili in tutte le industrie, sia nel settore manifatturiero sia nel settore dei servizi avanzati;

b. Produttività: sono in grado di generare forti guadagni di produttività alle imprese e ai settori che le adottano;

c. Capacità assorbitiva: la loro adozione richiede la presenza di personale con competenze e, vista la rapidità del mutamento tecnologico, capaci di apprendere progressivamente.

Non tutte queste tecnologie devono essere sviluppate in loco. Ma non sono neanche tecnologie plug-and-play ossia che possono essere adottate dalle imprese semplicemente introducendole nei loro processi produttivi. Fatto cruciale per l’Italia, le nuove tecnologie digitali possono beneficiare non solo contesti hi-tech, come il settore farmaceutico o aereonautico, ma anche settori meno tecnologici come l’agricoltura, nonché il settore dei servizi. Renderanno possibile gestire al meglio le catene globali del valore e le forniture, obiettivo centrale per il nuovo fenomeno delle imprese medie innovatrici italiane che hanno fatto dell’internazionalizzazione la leva per la loro crescita.

Per l’Italia, come per gli altri paesi avanzati ed emergenti, si tratta di partire oggi, per decidere chi sarà dentro o fuori tra dieci anni. Le nuove tecnologie digitali avranno un impatto sostanziale sulla creazione e la distruzione di posti di lavoro. Le imprese possono e devono senz’altro investire in formazione, ma devono anche poter disporre una qualificata forza lavoro già educata e competente, che deve essere fornita dalla formazione pubblica. Se da un lato la crescente automazione renderà obsoleti molti lavori di routine, dall’altro saranno necessarie nuove figure professionali per la programmazione e la gestione delle macchine. Si stima che una quota vicina al 90 per cento delle nuove professioni avranno bisogno di skills digitali per essere appetibili per le imprese. Si ritiene che l’automazione renderà conveniente il rimpatrio (re-shoring) di molte imprese che hanno delocalizzato inseguendo risparmi sul costo del lavoro. Ma dove saranno creati i nuovi posti di lavoro? Quale sarà il bilancio per l’Italia tra distruzione di posti di lavoro di routine e creazione di posti di lavoro cognitivi? Qui si gioca una partita enorme per il futuro delle nuove generazioni, il livello dei salari, la quota di valore aggiunto nell’industria che resterà (o tornerà) in Italia.

Cosa deve fare in questo contesto il Ministero per l’Innovazione e la digitalizzazione? Prima di tutto, partire dalla consapevolezza che partiamo con ritardo rispetto ai nostri principali partners. Se si guardano gli indicatori della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, sappiamo che – a confronto con Germania, Francia e Gran Bretagna – l’Italia spende meno della media europea per Ricerca & Sviluppo e per educazione, ed ha una propensione più bassa ad usare Internet nelle scuole, nei posti di lavoro e per l’interfaccia cittadini/pubblica amministrazione.[1] La consapevolezza del ritardo italiano nell’innovazione, inclusa quella digitale, non deve servire solo per lamentarsi, ma per rendersi conto che bisogna rimboccarsi le maniche. Il ritardo può essere ridotto e, nel medio periodo, addirittura annullato qualora le istituzioni pubbliche operino di concerto e lo considerino obiettivo prioritario. I punti del programma dovrebbero essere i seguenti:

1. Predisporre un piano per le nuove tecnologie digitali che metta a sistema formazione, scuola e università, congiuntamente al Piano Industria 4.0. Il prossimo Programma Nazionale della Ricerca dovrebbe rappresentare uno sforzo integrato congiunto per i prossimi dieci anni in cui siano indicati gli obiettivi insieme agli strumenti disponibili.

2. Attivare di concerto con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca una definizione delle nuove competenze e capacità da sviluppare, e che spaziano dalle materie umanistiche alle scienze astratte.

3. Rilanciare il tema della formazione tecnica superiore, ancora troppo lontana dagli standard europei, e dalle opportunità offerte dall’industria.

4. Rilanciare il progetto Smart Cities, attingendo ai fondi strutturali, a cominciare dal Pon Metro gestito dalla Agenzia per la Coesione Territoriale.

5. Lanciare un piano sulle nuove tecnologie digitali tarato trasversalmente rispetto alle cinque aree di specializzazione indicate nella specializzazione intelligente per la creazione di tre hubs per la ricerca pubblico-privata nelle nuove tecnologie digitali al Nord, Centro e Sud Italia.


[1] Si veda per una batteria di indicatori la Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia. Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia, CNR Edizioni, Giugno 2018.

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