La ripresa economica mondiale va meglio del previsto, e questa volta l’Italia ci si sta agganciando eccome. Anzi, secondo il 99 esimo Rapporto di analisi dei settori industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia, l’industria italiana sta reagendo in maniera particolarmente virtuosa, in linea o persino meglio rispetto ai partner europei. Al punto che i livelli pre-Covid saranno recuperati tra meno di un anno, all’inizio del 2022, e che secondo le stime degli economisti della banca entro la fine del 2022 il fatturato complessivo del nostro sistema manifatturiero supererà la soglia dei 1.000 miliardi di euro, cioè una settantina di miliardi in più rispetto allo score del 2019. Sarà un’altra pietra miliare, come quella proprio del 2019 quando per la prima volta il saldo commerciale italiano aveva superato l’asticella dei 100 miliardi, la bellezza di 70 miliardi in più rispetto al saldo del 2010.
Proprio quest’ultimo dato rende l’idea del livello di solidità a cui era giunta l’industria italiana prima della crisi da Covid, e che le ha permesso appunto di affrontarlo e di uscirne con molte meno cicatrici rispetto alla crisi del 2009. “L’industria si è molto rafforzata nell’ultimo decennio – ha spiegato in conferenza streaming il chief economist di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice -, trainata da un nucleo di imprese ad alta specializzazione. Per cui sta affrontando la crisi con strutture solide, realizzando una ripresa più vivace rispetto a Francia e Germania”. Secondo De Felice l’Italia fa dunque la sua parte in un contesto in cui “l’economia mondiale ha svoltato, e la ripresa sarà più rapida del previsto. Nel 2021 il Pil globale crescerà del 3,5% grazie soprattutto a Usa, che ha messo in campo un piano di rilancio da 4.000 miliardi complessivi, e Cina, mentre per l’Eurozona il trimestre decisivo sarà quello estivo, il terzo”.
Tornando all’industria italiana, il confronto tra la crisi del 2009 e quella causata dal Covid non ha paragoni possibili: dodici anni fa perdemmo quasi il 17% del fatturato, cioè 183 miliardi a prezzi correnti, mentre l’anno scorso la nostra manifattura ha ceduto il 9,3%, in valori assoluti 88 miliardi. Tutti i settori tuttavia sono andati in rosso, a parte la farmaceutica: il peggiore è stato la moda, che è precipitato del 21,6%. “I settori più penalizzati – ha confermato Alessandra Benedini di Prometeia – sono stati evidentemente quelli legati alla socialità, che è mancata. Quindi la moda, ma anche l’alimentare, soprattutto il comparto Ho.Re.Ca (ristorazione e alberghi, ndr), perché appunto non si poteva viaggiare e andare a mangiare fuori come prima”. Tuttavia l’industria italiana è solida, come detto, e non soffre nemmeno più di nanismo come prima: le imprese con fatturato superiore ai 50 milioni di euro sono passate dal 45 al 53% in 10 anni, così come l’export che dal 36% del 2010 è passato al 48% del 2019.
Stavolta però, sottolinea lo studio di Intesa Sanpaolo e Prometeia, non sarà tanto l’export a trainare la ripresa, quanto la domanda interna, che tornerà ad avere un ruolo preponderante nella crescita, come non avveniva dal periodo 2014-2018. L’altra grande novità sarà l’aumento del peso dei settori high tech e legati all’economia verde: un segnale lo si è visto già sui brevetti, che ormai vedono l’Italia praticamente allineata con la media europea (+8,4% contro +8,8%), grazie soprattutto – per l’appunto – al boom dei brevetti in tecnologie green (oltre il +10%). Il risultato è che già nel 2021 l’industria italiana rimbalzerà dell’8,4% e che nel periodo 2021-2025 lo farà del 4,2% CAGR. E questo nonostante un grande assente: gli investimenti pubblici. Dal 2010 al 2020, gli investimenti privati nell’industria italiana sono cresciuti del 3,4%, ma in compenso quelli pubblici sono spariti: -17,4%. Anche a questo servirà il PNRR, che proprio agli investimenti in infrastrutture dedica buona parte della spesa prevista.