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Indici delle commodities sotto accusa

Uno studio rivela che la maggioranza degli operatori ritiene i benchmark poco trasparenti e facilmente manipolabili. Anche la Commissione Europea punta a metodologie più corrette e sicure.

Indici delle commodities sotto accusa

Quelli che erano i punti di riferimento più utilizzati sui mercati delle materie prime sono da qualche tempo sotto accusa. La maggioranza degli operatori li ritiene troppo soggetti a manipolazioni, ad artificiosi movimenti che rendono poco trasparenti i benchmark, che si tratti di petrolio o metalli. Le vicende che hanno portato sul banco degli accusati alcuni dei gestori del Libor (il tasso interbancario di Londra) e del fixing sui metalli preziosi sono note. Così come da tempo sono criticate le metodologie con cui vengono elaborati i prezzi indicatori dei combustibili, in particolare il Brent dated che viene giornalmente pubblicato da Platts, l’agenzia specializzata che fa capo alla McGraw-Hill.

Nei giorni scorsi però è stato elaborato un rapporto, pubblicato oggi dallo studio legale Clyde & Co., secondo cui il 64% dei 170 operatori interpellati avrebbe criticato i metodi usati per fissare i benchmarks. Metodi troppo incompleti, poco rappresentativi, facili da manipolare, non del tutto indipendenti. La fiducia quindi viene a mancare, mentre proliferano le teorie di complotti per muovere artificiosamente le quotazioni.

Le commodities su cui pesano i sospetti di scarsa trasparenza nell’indicazione dei prezzi sono parecchie. I punti interrogativi si concentrano su carbone, minerale di ferro, fertilizzanti, gas naturale, petrolio, alcuni metalli. Peraltro diversi operatori, almeno il 30% degli intervistati, sono convinti della correttezza con cui i benchmark vengono elaborati e li usano con soddisfazione. Resta il fatto che la Commissione Europea ha proposto nuove regole per i punti di riferimento finanziari e delle materie prime.

Chi li amministra dovrebbe essere autorizzato e soggetto a supervisione e dovrebbe basare il metodo di calcolo su transazioni effettive e non su domande e offerte che poi non conducano a una reale compra-vendita. Quest’ultima ipotesi è però contestata da Nick Edwards, direttore del Gruppo Cru (Commodities Research Unit): “Se fossero le transazioni l’unica base per fissare i prezzi, si otterrebbe un perverso effetto sui mercati fisici, specialmente su quelli meno liquidi”.

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