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India e Cina, buona la crescita ma la povertà non diminuisce

Nonostante la grande crescita e i valori a doppia cifra dell’aumento dei Pil in Cina e in India molte persone vivono ancora in condizioni di povertà. Sono insufficienti gli sforzi compiuti dai rispettivi governi per aumentare il limite del reddito di indigenza e per promuovere programmi efficaci contro le situazioni di fame e malattia più gravi.

India e Cina, buona la crescita ma la povertà non diminuisce

Cina e India, due giganti dei Paesi emergenti, capisaldi dei Brics, che però non riescono ancora a mettere a punto riforme strutturali efficaci per combattare la povertà. Secondo l’Indice di Sviluppo umano delle Nazioni Unite (Human Development Index, Hdi), che misura il benessere delle persone (calcolato come un cocktail di reddito, educazione e speranza di vita) la Cina si situa al 101esimo posto – su 187 paesi – mentre la Banca Mondiale la pone 95esima in termini di Pil pro-capite.

Ieri, in un meeting nazionale sulla povertà, il governo di Pechino ha annunciato che potrebbe aumentare il reddito annuale limite per definire la condizione di povertà nelle campagne a 361 dollari, raddoppiando così il valore dello scorso anno. “Sradicare la povertà, migliorare lo stile di vita delle persone e la prosperità per tutti è un requisito fondamentale per il socialismo”, ha dichiarato il presidente cinese Hu Jintao. “Entro il 2020 gli indigenti del nostro Paese non avranno più bisogno di preoccuparsi del cibo e dei vestiti. Il loro accesso all’educazione obbligatoria, all’assistenza medica e la possibilità di avere un alloggio saranno assicurate a tutti”.

I buoni propositi e le belle parole non mancano ma gli effetti non sono ancora poco soddisfacenti. E’ vero che nelle regioni rurali la popolazione povera è scesa a 26,88 milioni di persone alla fine del 2010, mentre una decina di anni fa si contavano quasi 95 milioni di indigenti. Tuttavia, secondo i nuovi standard, circa 100 milioni di residenti nelle campagne verranno classificati come ufficialmente poveri e quindi elegibili per ricevere i sussidi anti-povertà. Inoltre se nel 2009 il Pil della Cina era aumentato 42 volte rispetto al 1985, la soglia di povertà nel 2000 ha registrato un aumento di solo 5 volte, a 1,197 renminbi dai 200 renminbi dell’85. Con un’inflazione che si è mantenuta sotto l’1% solo tra il 1999 e il 2001, e quest’anno si stima raggiungerà il 6% (dati Banca Mondiale). 

In India le cose non vanno meglio, anzi probabilmente la situazione è ancora più grave che nel vicino cinese. Lo scorso anno il Pil pro-capite era 124esimo nella classifica della Banca Mondiale e 134esimo nell’Indice dello Sviluppo Umano delle Nazioni Unite. Secondo l’Onu India conta più di 600 milioni di poveri – quasi la metà della popolazione totale. L’Indice di Fame globale (Global Hunger Index) considera ancora il Paese tra quelli nella zona di allarme. La linea di povertà è stata fissata a 26 rupie, circa 0,53 centesimi di dollari americani al giorno nelle campagne e di 32 rupie al giorno nelle città. I cittadini indiani stano protestando da mesi contro la corruione del governo e l’incapacità da parte di Nuova Dehli di prendere decisioni incisive. Le dichiarazioni che riguardano nuove misure continuano a essere molte. Ma i modi di portarle avanti non sono chiari a nessuno.

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