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Ilva, lo scudo penale che va e viene: tutta la storia

Dopo la seconda cancellazione dell’immunità penale, Arcelor Mittal potrebbe dare seguito alle minacce di chiusura dello stabilimento – Sono oltre 5mila i lavoratori a rischio – Ecco come si è arrivati a questo punto

Ilva, lo scudo penale che va e viene: tutta la storia

Lo scudo penale per i gestori dell’ex Ilva di Taranto è scomparso dal decreto Salva imprese, su cui giovedì 24 ottobre il Senato ha dato il via libera alla fiducia. Ad oggi, l’unica certezza è che la norma non potrà essere reinserita nello stesso provvedimento, atteso da una nuova blindatura alla Camera per evitare la decadenza il 3 novembre.

E quindi ora che succede? Sindacati e lavoratori temono che il gruppo franco-indiano Arcelor Mittal – attuale proprietario dello stabilimento siderurgico – dia seguito alle minacce di chiusura in assenza dello scudo. Non è chiara invece la posizione del governo. Alcuni esponenti della maggioranza puntano a ripristinare l’immunità penale (sarebbe la terza volta) con un provvedimento ad hoc da mettere a punto nelle prossime settimane; altri invece sono contrari.

La questione è centrale per la politica industriale italiana. Se l’ex Ilva di Taranto chiudesse, non solo più di 5mila persone perderebbero il lavoro, ma molte aziende italiane verrebbero private delle forniture d’acciaio garantite dal più grande impianto siderurgico d’Europa. E sarebbero costrette a rivolgersi all’estero, con il rischio d’incappare in prezzi più alti e qualità più scadente.

Per fare chiarezza, ripercorriamo le tappe fondamentali di questa storia.

SCUDO PENALE PER L’EX ILVA: COS’È E COME NASCE

Lo scudo penale dava ai gestori dell’ex Ilva la certezza di non finire a processo per eventuali problemi legati all’attuazione del piano ambientale. Fu introdotto ai tempi del governo Renzi dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ancor prima che entrasse in gioco Arcelor Mittal. All’epoca, nel 2015, l’obiettivo era trovare personalità d’alto profilo disposte a svolgere il ruolo di commissario, visto che nessuno avrebbe accettato con il rischio di essere perseguito. Dopo di che, lo scudo fu garantito anche al gruppo franco-indiano, sempre con la stessa logica: chi lavora nell’interesse dell’acciaieria non può essere accusato di reati che traggono origine dalla condotta dei precedenti gestori.

LA CANCELLAZIONE, LE MINACCE E I DUE RIPENSAMENTI

La prima retromarcia è arrivata lo scorso giugno, quando il governo Lega-M5S – per volere dei pentastellati – inserì nel decreto Crescita un emendamento che limitava al 6 settembre 2019 l’immunità penale sull’attuazione del piano ambientale. Con questa formula di compromesso, i grillini speravano di recuperare parte del consenso perduto dopo la mancata chiusura dell’acciaieria pugliese, una promessa elettorale non mantenuta.

A quel punto Arcelor Mittal – che senza lo scudo non avrebbe mai rilevato lo stabilimento – ha minacciato di chiudere l’acciaieria se il governo non avesse ripristinato l’immunità.

Risultato: sul finire dell’esperienza giallorossa, Luigi Di Maio ha fatto reinserire lo scudo penale nel decreto Salva imprese. Ma alla fine la norma è stata stralciata via emendamento dopo le proteste di 17 senatori M5S.

PROVENZANO: PER ARCELOR LA TUTELA LEGALE GIÀ ESISTE

Nel dibattito si è poi inserito il ministro del Sud, Peppe Provenzano (Pd), sostenendo che in realtà Arcelor Mittal è già tutelata dalla legge italiana. “Un Paese che cambia costantemente le regole del gioco non fa un buon servizio allo sviluppo – ha detto il ministro in un’intervista al Corriere della Sera – Ma ricordo che per l’articolo 51 del Codice penale chiunque agisce nell’adempimento di un dovere come per il piano ambientale non è punibile, tantomeno per colpe di altri ed errori commessi in precedenza. Dunque, una tutela c’è. Gli accordi con Arcelor Mittal restano validi. Non ci sono alibi o pretesti”.

Purtroppo, non sembra pensarla così il gruppo franco-indiano, che finora non ha ritirato la minaccia di chiudere l’acciaieria. Anzi, ha nominato amministratore di Arcelor Mittal Italia Lucia Morselli, che ha già lavorato nel settore siderurgico all’Ast di Terni e in quello metalmeccanico alla Breco. Due esperienze turbolente sotto il profilo sindacale, che non lasciano presagire nulla di buono ai lavoratori dell’ex Ilva.

“Ricordiamo al ministro Provenzano che in tutti questi mesi l’articolo 51 del Codice penale non è stato sufficiente per assicurare la tutela legale – ha detto Marco Bentivogli, numero uno della Fim Cisl – E non solo ai manager, ma anche ad altri lavoratori, fino agli impiegati di settimo livello, che durante la gestione commissariale si sono visti arrivare avvisi di garanzia con l’avvio di procedimenti giudiziari, eppure stavano operando per il piano ambientale”.

NIENTE DA FARE AL MISE

Venerdì 25 ottobre si è tenuto al Mise un incontro fra il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5S), il responsabile per la Coesione territoriale, Peppe Provenzano (Pd), e i rappresentanti dei sindacati.

“La preoccupazione è altissima – ha detto Bentivogli a margine del vertice – L’ad Morselli ha davanti due strade: consolidare la produzione di acciaio a 4 milioni di tonnellate annue, che significa ridurre l’organico di 5 mila persone, o, dopo il pasticcio fatto al Senato sullo scudo legale, fare letteralmente le valigie”.

Secondo il leader della Fiom, Francesca Re David, “una questione che riguarda più che altro gli equilibri parlamentari all’interno della maggioranza rischia di fornire all’azienda un alibi. Il cambio di amministratore delegato, di solito, significa che c’è un cambio di strategia”.

Il numero uno della Uilm, Rocco Palombella, ha sottolineato invece che “non esiste una posizione del governo: uno dice una cosa, uno un’altra. E continuano”.

“Una norma ad hoc non la reputo praticabile, una norma di ampio respiro potrà essere presa in considerazione se necessario – ha detto il ministro Patuanelli alla fine del vertice – L’azienda non ha posto questo problema. Laddove vi fossero ragionamenti complessivi che non riguardano per forza solo Taranto, una norma specifica mi sembra evidente – ha detto – non abbia una tenuta parlamentare. Se ci fossero dubbi sul fatto che l’applicazione di una norma come un piano ambientale possa portare ad azioni giudiziarie, nel caso sarà chiarita l’applicazione di questo dispositivo che vale in molti esempi”

Patuanelli ha poi annunciato che l’azienda e i sindacati saranno convocati al ministero per seconda settimana di novembre. “Chiederemo all’azienda di continuare a garantire il rispetto degli accordi. Da questo punto di vista dal governo c’è la massima chiarezza: noi chiediamo che ci sia il rispetto del piano industriale e occupazionale”, ha concluso il ministro.

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